VIVES, Giovanni Ludovico
Nato a Valenza in Spagna nel marzo 1492, morto a Bruges il 6 maggio 1540. Andò nel 1509 a Parigi, di là nel 1512 a Bruges, sede di una colonia spagnola, e quindi a Lovanio, dove insegnò umanità all'università e divenne maestro, verso il 1518, del giovane cardinale Guglielmo de Croy. In quel periodo strinse amicizia anche con Guglielmo Budé e con Erasmo da Rotterdam. Nel 1523 fu chiamato a insegnare latino all'università di Oxford. Nella grande controversia per il divorzio tra il re e la regina, tenne le parti di questa e fu precettore della principessa Maria, vivendo a corte. Caduto in disgrazia, fu costretto a lasciare l'Inghilterra e perdette ogni pensione. Nel 1529 tornò a Bruges, dove rimase, insegnando, scrivendo e patrocinando una riforma interna della chiesa cattolica, fino alla morte.
Umanista fra i più dotti del tempo, ricco d'interessi filosofici, oltre che teologo esperto, egli rappresenta una reazione vivace contro gran parte del sapere scolastico e dei metodi tradizionali, con idee spesso moderne, e compie un consapevole tentativo d'inserire un nuovo sapere, umanistico e scientifico, nell'educazione. Nel De anima et vita, in 3 libri (1538), pur seguendo Aristotele e sostenendo l'immortalità dell'anima in base all'argomento che "res omnis sic se habet ad esse, quemadmodum ad operari", assegna peraltro alla psicologia come suo proprio compito lo studio empirico dei fatti e processi dell'anima e, con le sue osservazioni sull'associazione delle idee, la memoria, la teoria degli affetti, ecc., va posto fra i precursori non solo dell'antropologia del. sec. XVII, ma della psicologia moderna. Da ricordare, fra i suoi scritti pedagogici, il De institutione foeminae christianae (1529), dedicato alla regina Caterina, che espone le regole di vita per la fanciulla, la sposa e la vedova, assegnando all'educazione femminile un ideale etico-religioso, nel quale però l'istruzione ha parte importante come mezzo alle virtù proprie della donna, sebbene con contenuto umanistico assai limitato, e precorrendo, sulle orme del Bruni e, più, di Erasmo, il trattato del Fénelon; il De ratione studii puerilis (1523), che contiene due lettere sui metodi e sul programma d'un'educazione umanistica; il De disciplinis (1531), diviso in 3 parti, la 1ª in 7 libri, De causis corruptarum artium, la 2ª in 5 libri, De tradendis disciplinis, la 3ª in 8 libri, De artibus. La prima parte è una critica, spesso acuta, della vacuità o dell'artificiosità delle discipline insegnate ai suoi tempi, retorica, dialettica, ecc., e si collega all'opera In pseudodialecticos del 1519, segnando, sia pur senza chiara impostazione d'un nuovo metodo scientifico, e con influssi nominalistici, un distacco dalla tradizione aristotelica e scolastica più temperato e criticamente più positivo e fecondo che quello, ad es., del Ramus e d'altri. Nel De tr. disc. si pone come fondamento dell'educazione la conoscenza degl'ingegni singoli e il rispetto della natura individuale, da osservare in atto, attraverso i giuochi, gli uffici affidati all'allievo, ecc. Nella psicologia è già cercata la base della pedagogia. Fine dell'educazione è la pietas, ma questa deve abbracciare un largo sapere, ché non c'è conoscenza che a quella contrasti. E, per il V., la scuola laica è preferibile a quella ecclesiastica o conventuale e al convitto. La collaborazione tra famiglia e scuola, la preparazione del maestro, con tutte le indispensabili garanzie, l'ambiente scolastico, sono problemi su cui egli insiste particolarmente. Il corso di studî, dai 7 anni alla virilità, è il seguente: grammatica - ch'egli designa col termine linguae -, logica, fisica, filosofia prima, dialectica inventrix, retorica, matematica. Sotto l'influsso dell'ambiente culturale spagnolo e in contrasto con Erasmo e con tutto l'Umanesimo, il V. apprezza il vernacolo e per mezzo di questo insegna il latino. Condanna la grammatica fondata sulla logica, e le preferisce l'uso; condanna gli Excerpta, preferisce la conoscenza diretta degli autori, e per il contenuto oltre e più che per la forma, vuole la storia insegnata fino agli autori e ai tempi moderni, e con prevalenza della storia civile; la physica deve essere studiata sulla natura, e completata con la lettura dei naturalisti antichi; la matematica deve comprendere aritmetica, geometria, ottica, architettura, musica, astronomia. Sotto l'azione di Erasmo e di Agricola, V. è però un umanista che supera già l'Umanesimo: e la sua opera è il primo grande sistema pedagogico che segna il passaggio dall'Umanesimo all'età moderna. Per l'esercizio della lingua latina V. compilò la Linguae latinae Exercitatio (1538) in dialoghi, che ebbe molte edizioni col titolo di Colloquia. Da ricordare anche il De conscribendis Epistolis libellus (1536), l'Introductio ad veram Sapientiam. Item Satellitium animi (1532), i Rhetoricae, sive de ratione dicendi libri tres (1537), il De veritate fidei christianae in 5 libri (1543), il commento al De Civitate Dei (1522), ecc. Edizioni delle sue opere: Basilea 1555; Valenza 1782-90 (in 8 volumi).
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