LORENZI, Giovanni
Nacque a Venezia intorno al 1440, da Francesco, di famiglia di modeste condizioni; aveva almeno un fratello, di nome Angelo. Il registro di prestito e una lista coeva di bibliotecari della Biblioteca apostolica Vaticana (Vat. lat., 3966, c. 128v) lo indicano come "Ioannes de Dionysiis", ma quasi sempre è menzionato come "Ioannes Laurentius".
Il L. studiò diritto all'Università di Padova, dove ottenne la laurea in utroque iure il 28 ag. 1469; era però più attratto dalle lettere e, sempre a Padova, dovette seguire i corsi di greco di Demetrio Calcondila e del poeta padovano Niccolò Lelio Cosmico, entrambi presenti alla discussione della sua tesi di laurea come "testi", suoi futuri fedeli amici e corrispondenti. In seguito il L. si perfezionò come grecista.
Nel 1472 il cardinale Marco Barbo passò per Padova sulla via della Germania, dove avrebbe esercitato la funzione di legato papale, e chiamò il L. a far parte della sua "famiglia". Da Wiener-Neustadt il L. scrisse al Calcondila e al Cosmico narrando loro gli avvenimenti intercorsi dopo la partenza affrettata: era giunto a Wiener-Neustadt il 14 aprile e dava notizie dei vescovi Janos Vitéz e Giano Pannonio e dei loro contrasti con Mattia Corvino, re di Ungheria, che tentava di impadronirsi delle loro diocesi, Esztergom e Pécs.
Il 26 ott. 1474, quando il Barbo rientrò a Roma al termine della legazione in Germania, il L. era con lui e rimase al suo servizio finché, nel 1476, ne divenne segretario. Prese stanza nel palazzo di cui il Barbo stava terminando la costruzione, ed entrò in relazione con gli eruditi, molti dei quali greci (Giorgio da Trebisonda, Teodoro Gaza, Michele Marullo e i due Cabacio Rallo, Manilio e Demetrio), che frequentavano il cardinale. Raffaele Maffei da Volterra presenta il L. come discepolo di Gaza.
Le lettere del Calcondila giungevano puntualmente al Lorenzi. Nel 1475 gli scrisse da Firenze, dove aveva sostituito Andronico Callisto nell'insegnamento del greco, menzionando il fratello del L., Angelo, che era stato suo allievo. In un'altra lettera, scritta probabilmente tra il 1478 e il 1479, accenna alla difficile situazione a Firenze e alla congiura dei Pazzi, chiede di inviargli la parte dell'opera di Strabone sull'Europa, che il L. possedeva in una copia migliore di quella di Calcondila, e l'Etica di Plutarco, trascritta dal L. stesso.
Che il L. si dedicasse allo studio dei manoscritti greci lo confermano le richieste di prestito alla Biblioteca Vaticana: il 26 sett. 1476 chiese al bibliotecario Platina (Bartolomeo Sacchi) un codice greco (probabilmente il Vat. gr., 100, una miscellanea di testi di Elio Aristide, Aristofane, Filostrato e di scritti grammaticali), ottenendolo; le richieste continuarono con puntualità fino al 1485.
Il L. prese gli ordini religiosi sicuramente prima del 27 sett. 1476, allorché Sisto IV gli concesse il decanato della chiesa di Nicosia. Nella bolla di nomina è designato come "secretarius et familiaris continuus commensalis" di Barbo. Il beneficio fu il primo di una lunga serie: pievi, parrocchie, prebende, tutte a Venezia o nel territorio della Repubblica veneta. Nel breve di nomina al beneficio della pieve di S. Benedetto, a Venezia, del 25 giugno 1479, è indicato come scrittore e familiare papale. In data ignota, infatti, il L. aveva ottenuto l'ufficio di scrittore apostolico.
Il L. partecipò, al servizio di Barbo, al conclave dell'agosto 1484, insieme con il canonico padovano Matteo Alibrandi. La sua fortuna iniziò proprio con quel conclave e con l'elezione di Giovan Battista Cibo, Innocenzo VIII, sul quale l'influenza del Barbo era considerevole. Il 12 sett. 1484 successe a Pietro da Noceto come segretario del papa, ufficio che conservò fino alla morte, e il 12 ottobre fu nominato abbreviatore de prima visione delle lettere apostoliche.
Tra gli inviati di Lorenzo il Magnifico a Roma per congratularsi con il nuovo pontefice vi era anche Angelo Ambrogini, il Poliziano, che entrò subito in contatto con gli eruditi romani. Il L. si mise a sua disposizione e probabilmente lo aiutò nelle ricerche nella Biblioteca Vaticana. Il 20 marzo 1485 il Poliziano gli scrisse da Firenze per ringraziarlo dell'accoglienza e per comunicargli che aveva riferito a Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici il desiderio del L. di consultare e trascrivere un codice di Pausania da lui posseduto. Inviava anche i suoi saluti a M. Cabacio Rallo, amico fraterno del Lorenzi. Il codice di Pausania giunse a Roma nel 1485. La corrispondenza tra il L. e il Poliziano continuò, auspice pure il comune amico Tommaso Fedra Inghirami, e ne risulta che il Poliziano aveva ottenuto in prestito volumi dal L. e dalla Vaticana.
Il 13 dic. 1485 sostituì Cristoforo Persona come bibliotecario presso la Biblioteca Vaticana. In data ignota il L. ottenne ancora il titolo di "magister in registro supplicationum". Tra le sue prerogative in Curia vi erano alcune funzioni liturgiche che gli spettavano periodicamente, relative soprattutto alla sua conoscenza del greco. Notizie sul L. e le sue funzioni curiali provengono da Jacopo Gherardi da Volterra, nunzio papale a Milano, che lo ricorda più volte nelle sue lettere. Nelle lettere di Gherardi il nome del L. è spesso associato a quello dell'altro segretario apostolico, Giovanni Pietro Arrivabene, tanto da far pensare a uno stretto legame tra i due.
Il 30 nov. 1488 si rifaceva vivo Calcondila, scontento di Firenze e desideroso di muovere verso Roma. Sembra che il L. si adoperasse per la nomina a cardinale del figlio di Lorenzo, Giovanni, ma in questo caso non si sarebbe trovato in sintonia con il suo protettore. Calcondila, comunque, avrebbe voluto che il L. usasse la sua influenza per ottenergli il posto di insegnante di greco del futuro cardinale, sperando così di spostarsi a Roma e allo stesso tempo di avere un impiego assicurato.
Negli anni 1489-91 il L. ebbe come famulus Jakob Questenberg, l'umanista tedesco che, formatosi presso di lui e presso Barbo, lavorò nella Biblioteca Vaticana dal 1489 al 1502. Il 22 maggio 1490 Innocenzo VIII concesse al L. un ampio passaporto di piena sicurezza e libertà di pedaggi, perché doveva spesso recarsi in vari luoghi d'Italia per i "suoi negozi". Quali fossero questi negozi non è noto, ma la concessione sembra gettare luce su una parte poco conosciuta della vita e dell'attività del Lorenzi. Il 23 ott. 1490 il L. è annoverato tra i "taxatores litterarum apostolicarum". Le fortune del L. in Curia si mantennero stabili anche dopo la morte del cardinale Barbo, il 2 marzo 1491.
Defunto Innocenzo VIII, il L., che fino ad allora aveva abitato nel palazzo di S. Martinella sul colle Vaticano, si ritirò in una sua casa in Borgo. Dopo l'elezione di Alessandro VI, fu sostituito nell'ufficio di bibliotecario da Pietro Garcia, vescovo di Barcellona. Rimase deluso il Poliziano, che aspirava a sostituire il L. e si era fatto raccomandare da Ludovico il Moro. Nonostante il L. mantenesse gli uffici curiali, non era ben visto dal nuovo papa e dalla sua cerchia perché non aveva mai nascosto di avversare i Borgia, come risulta dalla corrispondenza con il cardinale Barbo: da molti giudizi di persone vicine al L., risulta che era di carattere sarcastico e pungente e non celava le sue opinioni. Comunque, apparentemente proseguì nelle sue funzioni. Continuava a frequentare la Biblioteca Vaticana. Nel 1497 è segnalato per la prima volta quale piombatore pontificio, una carica ottenuta quindi durante il pontificato di Alessandro VI. I registri delle suppliche, di cui si occupava, sono pieni delle sue annotazioni; il L. mantenne l'ufficio di segretario apostolico fino alla morte.
Il L. morì non molto prima del 23 nov. 1501 a Viterbo, dove si era recato per curarsi, soprattutto dalla podagra.
L'umanista Giovanni Pietro Dalle Fosse (Pierio Valeriano) sostenne - unica fonte - che il L. fosse stato avvelenato. J. Burckard, maestro delle cerimonie e intimo del L., nel suo diario non accenna affatto all'improvvisa scomparsa, che dovette produrre un certo effetto nella Curia. Raffaele Maffei da Volterra, nei Commentariorum urbanorum libri, stilò un necrologio piuttosto severo: lo dice malato di podagra, possibile causa della morte, e riporta che i suoi beni e i libri, di cui era tanto geloso, furono oggetto di vandalismo. Aggiunge con acrimonia che tale sorte era meritata, perché delle sue ricchezze, a quanto pare considerevoli, non aveva fatto partecipe nessuno, nemmeno i fratelli (il che fa pensare che ve ne fossero altri oltre ad Angelo). Scrive poi che era troppo libero nel parlare, ma conclude l'epitaffio riconoscendogli dottrina e ingegno, nei quali pochi gli erano pari.
Il L. lasciò molte tracce atte a ricostruirne la personalità e l'attività. Nel Libro della Confraternita di S. Maria dell'Anima, la chiesa dei Tedeschi a Roma, è elencato come ottimo "promotor" dell'ospedale annesso alla confraternita. Vincenzo Calmeta dice che quando il poeta abruzzese Serafino Aquilano giunse a Roma fu ammesso alla cosiddetta "Accademia" che si radunava negli ultimi anni del Quattrocento in casa di Paolo Cortese, dove convenivano molti eruditi che si trovavano a Roma, tra i quali pone al primo posto il L. e quindi Pietro Gravina, M. Cabacio Rallo e altri. Il Calmeta stesso e Bernardo Accolti ne facevano parte. La consuetudine accademica non impedì a Paolo Cortese di criticare il modo sbrigativo del L. di compilare gli esordi dei suoi discorsi.
Il Vat. lat., 2990 (cc. 266-381) conserva una versione latina dei primi quattro libri del Contro i matematici di Sesto Empirico, opera del L. forse trascritta da Questenberg intorno al 1485, che costituiva pressoché l'unica testimonianza del pensiero della corrente filosofica degli scettici. Il L. lavorò alla traduzione su un manoscritto di Sesto Empirico presente negli inventari della biblioteca fino al 1518, ma poi scomparso. Il Vat. lat., 5641 è degli anni 1481-90 e contiene le lettere private del L. e parte della corrispondenza autografa che teneva da Roma con il cardinale Barbo quando questi si recava fuori Roma, soprattutto a Palestrina, di cui era vescovo. Paschini, che ha pubblicato le lettere, nota un certo atteggiamento deferente del L., che con il tempo si scioglie in una grande confidenza. Le lettere, in stile latino asciutto e chiaro, riportano gli avvenimenti della Curia, i riflessi su Roma degli eventi politici internazionali, ma anche note riguardanti la gestione quotidiana dei beni del cardinale. Naturalmente erano spesso presenti Venezia e i Veneziani. Gli eventi di maggiore rilievo di quegli anni entrano con forza nella corrispondenza: la drammatica presa di Otranto da parte dei Turchi (21 ag. 1480) e gli sforzi dei principi cristiani per riprenderla; le lotte intestine dei principi italiani nel 1481-82; la bolla di scomunica contro la Repubblica veneta di Sisto IV (23 maggio 1483) e l'elezione di Innocenzo VIII (29 ag. 1484).
Alcune traduzioni da Plutarco, opera del L., furono pubblicate postume: Plutarchi libellus aureus quomodo ab adulatore discernatur amicus. Ioanne Laurentio Veneto viro doctissimo interprete nuper ad utilitatem legentium summa diligentia publicatus, Roma, G. Mazzocchi, 1514; Plutarchus Cheroneus de bona valitudine interprete Io. Laurentio Veneto, ibid. 1514; Plutarchi opusculum de nugacitate ab Ioanne Laurentio Veneto, ibid. 1523; Plutarchus Chaeroneus. De curiositate. Item de nugacitate. Interprete Ioanne Laurentio Veneto, Roma, F. Minizio Calvo, 1524. Un lungo componimento del L., una lettera consolatoria a Francesco Tarsio per la morte di un giovane fratello, è conservato nel Vat. lat., 6176 (cc. 27-46). Uno dei suoi sermoni, probabilmente per il venerdì santo del 1 apr. 1485, è nel Capponiano, 235 (cc. 47v-60; il codice contiene anche due lettere del Poliziano al L.: cc. 122, 132).
Burckard, se tace sul L., dà invece notizie precise sulla fine del fratello, che sarebbe stato ucciso e gettato nel Tevere il 27 genn. 1502. Dopo la morte del L., Angelo si era trasferito nella casa di Borgo, dove aveva vissuto il fratello e dove si trovavano i beni e i libri di lui, che evidentemente aveva ereditato. Conosceva il greco, che aveva studiato con Calcondila, e tradusse in latino alcuni scritti greci del L. contro Alessandro VI e Cesare Borgia. Nel dicembre 1501 o nel gennaio 1502 Angelo inviò a Venezia la versione, forse destinata alla stampa. Ma doveva essere stato sospettato e spiato, perché lo scritto fu intercettato dagli uomini di Cesare Borgia, probabilmente capitanati dall'agente del duca, Miguel Corella, che eseguirono una perquisizione in casa di Angelo e requisirono tutte le cose di L. "senza lasciar nulla". Albareda sostiene che Angelo non fu ucciso subito, ma imprigionato, non concorda sulle circostanze della morte riferite da Burckard e ipotizza un processo e la pena capitale. Alle proteste giunte da Venezia, dove evidentemente era arrivata la notizia, Alessandro VI rispose che, essendo il fatto già compiuto, non c'era più nulla da fare. Anche sul saccheggio, Albareda dubita che la casa, rimasta incustodita, non fosse stata assalita e derubata da vandali. I beni dei Lorenzi, o quel che rimaneva, furono confiscati e assegnati alla Camera apostolica. Altro elemento assai sospetto della vicenda è che, qualche tempo dopo, la casa di Borgo fu assegnata al Corella, in conto di stipendi dovuti per non meglio identificati servizi. Dopo la morte di Alessandro VI, Giulio II fece intentare un processo contro il Corella per l'omicidio di Angelo, come di altri ben più noti (Pier Luigi Borgia, duca di Gandía, e il signore di Camerino Giulio Cesare da Varano). La casa in Borgo fu restituita con motu proprio di Giulio II a Marco Lorenzi, erede dei Lorenzi.
Fonti e Bibl.: R. Maffei (Raffaele da Volterra), Commentariorum urbanorum octo et triginta libri, Lugduni 1552, col. 642; G. Dalla Santa, Una lettera di G. L. al celebre umanista Demetrio Calcondila trascritta ed annotata, Venezia 1895; M. Bertola, I due primi registri di prestito della Biblioteca apostolica Vaticana: codici Vaticani Latini 3964, 3966, Città del Vaticano 1942, ad ind.; P. de Nolhac, G. L. bibliothécaire d'Innocent VIII, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, VIII (1888), pp. 3-18; V. Rossi, Niccolò Lelio Cosmico, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XIII (1989), p. 106; W.V. Hofmann, Forschungen zur Geschichte der kurialen Behörden vom Schisma bis zur Reformation, II, Roma 1914, pp. 85, 97, 116, 183; G. Mercati, Opere minori, IV, Città del Vaticano 1937, pp. 107 s., 441, 447, 528; P. Paschini, Un ellenista veneziano del Quattrocento: G. L., in Archivio veneto, LXXIII (1943), pp. 114-146; Il carteggio fra il card. Marco Barbo e G. L., a cura di P. Paschini, Città del Vaticano 1948; A.M. Albareda, Intorno alla fine del bibliotecario apostolico G. L., in Miscellanea Pio Paschini. Studi di storia ecclesiastica, II, Roma 1949, pp. 191-204; L. Bignami Odier, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à PieXI, Città del Vaticano 1973, pp. 24-26, 37 s., 348; Ch.B. Schmitt, An unstudied fifteenth century Latin translation of Sextus Empiricus by G. L. (Vat. lat. 2990), in Cultural aspects of the Italian Renaissance. Essays in honour of Paul Oskar Kristeller, Manchester 1976, pp. 244-261; V. Branca, Poliziano e l'Umanesimo della parola, Torino 1983, pp. 93 s.; A. Curti, Le rime di Baccio Ugolini, in Rinascimento, XXXVIII (1998), p. 170.