LERDA, Giovanni
Nacque a Fenestrelle, presso Pinerolo, il 29 sett. 1853 da Bartolomeo e Natalina Taro. All'età di tredici anni le condizioni di difficoltà in cui venne a trovarsi la famiglia per la morte del padre lo costrinsero ad abbandonare gli studi. Trovò allora lavoro a Torino dapprima in una libreria, quindi presso la casa editrice Bocca, in cui entrò come semplice impiegato, divenendone direttore nel 1880.
L'attività editoriale lo mise in contatto con gli ambienti più vivaci del mondo intellettuale torinese, in specie con il nucleo di scienziati, medici, antropologi che fecero della città subalpina uno fra i maggiori centri di diffusione in Italia del positivismo e del materialismo evoluzionistico. Estimatore in particolare della scuola lombrosiana, partecipò al primo congresso internazionale di antropologia criminale che si tenne a Roma nel 1885 e collaborò alla rivista di C. Lombroso, Archivio di psichiatria, antropologia criminalee scienze penali.
La frequentazione di tale milieu culturale, permeato di un'etica laica che sovente sconfinava nell'anticlericalismo, ebbe un ruolo decisivo nella formazione politica del L., favorendone l'avvicinamento sia al nascente movimento socialista sia alla massoneria. Così fra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta prese a collaborare ad alcuni periodici di orientamento anarchico e socialista, come Proximus tuus e La questione sociale. Nell'aprile 1891 fondò con P. Schiaparelli il giornale Ventesimo secolo, organo di quella Lega democratico-sociale, che costituì l'embrione della prima sezione torinese del Partito dei lavoratori, di cui fu candidato alle elezioni politiche del 1892.
La sua adesione alla massoneria risale invece presumibilmente al 1884, quando fu affiliato nella loggia Dante Alighieri di Torino, dando inizio a una militanza all'interno del Grande Oriente d'Italia che non conobbe mai interruzione. Nel 1914, infatti, allorché il congresso socialista di Ancona dichiarò incompatibile l'appartenenza alla massoneria per gli iscritti al partito, il L. preferì abbandonare quest'ultimo, di cui nel frattempo era divenuto uno dei maggiori dirigenti nazionali.
Nel 1893 si trasferì a Genova, dove insieme con G. Ricci rilevò la proprietà della libreria Moderna e avviò un'intensa attività di propaganda degli ideali socialisti, fondando nel marzo 1894 il giornale Era nuova e collaborando al Secolo XIX. A partire dal 1893 fu candidato dai socialisti nel collegio di Voltri, dove si ripresentò sistematicamente in tutte le elezioni politiche successive dal 1895 al 1913, risultando sempre sconfitto, ma vedendo crescere progressivamente i suffragi in suo favore: dai 470 del 1893 ai 6800 del 1913. Nel 1894 partecipò al primo congresso socialista ligure, svolgendo una relazione sul tema "L'azione socialista nella conquista dei comuni" e pronunciandosi a favore del decentramento amministrativo. Al quarto congresso regionale, tenutosi a Genova nell'aprile 1896, si fece promotore di un'indagine statistica sulle condizioni materiali di vita dei lavoratori, di cui condensò poi i risultati nell'opuscolo Perché gli operai sono poveri (Genova 1896). La pubblicazione, immediatamente sequestrata dalle forze dell'ordine, gli costò una condanna a quattro mesi e mezzo di carcere, poi ridotta in appello e definitivamente amnistiata nell'ottobre 1896.
Non fu questa la sola misura di polizia di cui il L. fu fatto oggetto in questo periodo per la sua opera di pubblicista e di conferenziere: già proposto nel settembre 1895 per il domicilio coatto dalla questura di Genova (la richiesta fu però respinta dalle autorità competenti), nel luglio 1897 fu di nuovo denunciato per "eccitamento all'odio di classe" e condannato a tre mesi, poi amnistiati.
L'intensificarsi delle forme di sorveglianza e dei provvedimenti repressivi nei suoi confronti andò di pari passo con la crescita del suo ruolo nel movimento socialista italiano e internazionale. Nell'aprile 1896 entrò a far parte del comitato regionale ligure del Partito socialista e nel febbraio 1898 divenne membro di quello nazionale, carica che nel maggio seguente, al momento della proclamazione dello stato d'assedio per i fatti di Milano, lo costrinse a emigrare clandestinamente in Svizzera, dove visse fino all'aprile 1899. Ma soprattutto contribuirono a farne crescere la fama e l'autorevolezza i rapporti di collaborazione che egli instaurò, anche grazie ai contatti garantitigli dalla sua compagna Oda Olberg, con alcune riviste socialiste europee. Fin dal 1896 egli svolse infatti attività di corrispondente per il Sozialistische Akademiker, i Sozialistische Monatshefte, la Neue Zeit e Le Devenir social. Notevole eco, almeno a livello internazionale, ebbe fra il 1896 e il 1897 la sua polemica con E. Bernstein nella Neue Zeit, che gli servì per mettere a punto, in opposizione alle tesi revisionistiche dell'esponente tedesco, una visione intransigente dell'ortodossia socialista, volta a difendere l'unità della classe operaia da ogni pericolosa contaminazione col paternalismo delle classi dirigenti borghesi. Il L. venne meglio precisando queste sue posizioni negli anni successivi, quando prese parte attiva alla lotta politica fra le diverse componenti del partito socialista, nella cui direzione nazionale entrò nel novembre 1900 per restarvi fino al 1906. Al congresso di Imola del settembre 1902 svolse la relazione sull'organizzazione politica del Partito socialista italiano (PSI) e votò insieme con A. Labriola in favore dell'ordine del giorno presentato da E. Ferri, che coagulò l'opposizione di sinistra, ancora minoritaria, al riformismo turatiano.
Con Ferri nacque una stretta collaborazione, che divenne ancora più solida alla fine del 1902 dopo il trasferimento a Roma, dove il L., che dall'agosto 1902 scriveva per Il Martello di Sestri Ponente, entrò nella redazione della rivista ferriana Il Socialismo divenendone nel dicembre 1903 redattore capo. Proprio in rappresentanza del gruppo di Ferri, uscito vincitore dal congresso di Bologna dell'aprile 1904, egli fu confermato nella direzione nazionale del PSI. Tuttavia la successiva dispersione della composita maggioranza rivoluzionaria formatasi nel 1904 e la nascita di una corrente integralista guidata da O. Morgari e Ferri indussero il L. a dar vita a un gruppo autonomo di cosiddetti "intransigenti", che al congresso di Roma del 1906 presentò un ordine del giorno, su cui confluirono 1161 voti. In esso si ribadiva la fede nel principio della lotta di classe, differenziandosi dai sindacalisti rivoluzionari per la difesa esplicita del ruolo del partito accanto alle organizzazioni economiche di resistenza, si respingeva ogni ipotesi di ministerialismo, adombrata in certe affermazioni degli integralisti ferriani, e si indicava la funzione prioritaria svolta dalla "educazione socialista delle masse".
Il L., che nel 1907 fu inviato dalla direzione del PSI nel Canton Ticino per dirimere alcune questioni insorte fra le organizzazioni socialiste locali, divenne il leader riconosciuto del raggruppamento intransigente, che, pur privo di una struttura permanente e di un organo di stampa di riferimento, consolidò le proprie posizioni e al congresso di Firenze del settembre 1908 raccolse quasi un quinto dei voti. In vista del congresso di Milano dell'ottobre 1910 fu tra i promotori di un coordinamento dei vari gruppi intransigenti-rivoluzionari, che portò alla costituzione di una frazione organizzata, diretta da una commissione esecutiva, con delegati in tutte le province e dotata dal maggio 1911 di un organo ufficiale, La Soffitta, di cui il L. fu direttore insieme con C. Lazzari. Non a caso un attento osservatore delle vicende politiche del tempo come N. Colajanni definì "lerdismo" la corrente intransigente del PSI (I partiti politici in Italia, Roma 1912, p. 102).
Il L., che già nel 1893 in un articolo apparso nella Critica sociale aveva fatto esplicita professione di antimilitarismo, fu decisamente contrario alla guerra di Libia. Egli vi intravide un momento di svolta della politica estera giolittiana, che giudicò in parte il risultato dei processi di concentrazione industriale in atto nel Paese e in parte il tentativo, seppur tardivo, dell'Italia, di inserirsi nelle competizioni capitalistiche internazionali.
In una serie di lucidi articoli apparsi fra il 1911 e il 1912 sottolineò inoltre l'inevitabilità di una prossima grande guerra europea e i limiti della seconda Internazionale, ritenuta non in grado di opporvisi. Al congresso di Reggio Emilia del 1912 il L. si dichiarò perciò a favore dell'espulsione dal partito dei riformisti di destra filotripolini, mentre auspicò una nuova maggioranza che includesse anche i riformisti di sinistra. Il congresso, fra l'altro, approvò un suo ordine del giorno, nel quale, in vista delle prossime elezioni politiche, pur affermando la necessità di seguire il metodo intransigente e di presentare candidature socialiste in tutti i collegi, si lasciava alla direzione la facoltà di autorizzare gli iscritti a votare nei ballottaggi per i candidati dei partiti affini.
L'approvazione a Reggio Emilia di un ordine del giorno contro la massoneria lo indusse a rassegnare immediatamente le dimissioni dal PSI, che il congresso però con voto unanime respinse. La definitiva uscita dal partito del L., cui nel luglio 1912 fu persino offerta la direzione dell'Avanti!, da lui rifiutata, si concretizzò dopo il congresso di Ancona del 1914. Posto di fronte a una secca alternativa, come si è visto, egli optò per la permanenza nel Grande Oriente d'Italia, che di lì a poco lo chiamò a far parte della propria giunta esecutiva, confermandolo in tale carica anche nel 1919 sotto la gran maestranza di E. Nathan. L'appartenenza alla massoneria ebbe poi probabilmente un certo peso nel suo progressivo allinearsi su posizioni interventiste, che contribuì a farne uno dei punti di riferimento dei gruppi socialisti dissidenti. Di uno di essi, avente sede a Milano, fu nominato segretario nel gennaio 1917, mentre nel febbraio seguente fu eletto insieme con B. Mussolini per rappresentare tale movimento al congresso dei partiti socialisti dei paesi dell'Intesa, che avrebbe dovuto svolgersi a Parigi e non ebbe più luogo per il precipitare delle vicende belliche e, in particolare, di quelle russe.
Una fonte di polizia del marzo 1917, che non ha però altri riscontri, lo indicava come possibile tramite di finanziamenti versati dalla massoneria a favore del Popolo d'Italia di Mussolini. Ben documentati sono invece il suo intervento al congresso del Partito socialista riformista, tenutosi a Roma nell'aprile 1917, e, nel giugno successivo, il suo viaggio in Russia con A. Labriola, I. Cappa e O. Raimondo per caldeggiare la continuazione della guerra da parte della Russia a fianco dell'Intesa.
Nel maggio 1918 il L. fu tra i fondatori dell'Unione socialista italiana, in cui confluirono molti elementi dell'interventismo di sinistra, e nell'agosto 1918 entrò a far parte della sua direzione centrale. Dopo esser stato candidato alle elezioni politiche del novembre 1919 a Genova nelle fila del Partito del lavoro e dopo aver duramente polemizzato durante il "biennio rosso" contro il velleitarismo massimalista, concluse il suo percorso politico aderendo nel 1922 al Partito socialista unitario. Anzi a tale partito affittò una parte della propria casa romana, nella quale posero la propria sede anche alcune organizzazioni sindacali e la redazione del giornale La Giustizia.
Sottoposto a stretta sorveglianza da parte della polizia e perseguitato dalle squadre fasciste, nel marzo 1927 si trasferì a Torino. Qui morì il 16 maggio seguente, mentre stava progettando la fuga all'estero.
Opere. Oltre agli innumerevoli articoli disseminati in giornali e riviste, si rammentino: Il socialismo e la sua tattica, Genova 1897; Influenza del cristianesimo sulla economia, Milano 1898; Gli italiani all'estero, Genova 1900; Sull'organizzazione politica del Partito socialista italiano, Imola 1902; Appoggio ad indirizzi di governo e partecipazione al potere, Roma 1910; Elezioni generali politiche: programma e tattica del partito, ibid. 1912.
Fonti e Bibl.: L'indicazione delle fonti d'archivio e dei principali studi sul L. apparsi fino al 1969 si trova nella voce redatta da M. Degl'Innocenti in Il movimento operaio italiano. Diz. biografico, 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, Roma 1977, III, pp. 101-109. Oltre a Lavoro nuovo, 24 ag. 1952 e C. Finale, Gli anni genovesi di G. L. e la polemica con Bernstein, in Movimento operaio e socialista, VIII (1962), 1, pp. 35-59, occorre integrare la bibliografia almeno con: G. Lombroso Ferrero, C. Lombroso. Storia della vita e delle opere, Bologna 1921, pp. 249, 317; R. Colapietra, L. Bissolati, Milano 1958, pp. 18, 60, 70-72, 91, 113, 137, 153 s., 166, 178, 180, 190, 248, 253; R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920, Torino 1965, pp. 96, 115, 117 s., 125-127, 133, 191, 343, 355. Fra le opere più recenti: D. Marucco, A. Labriola e il sindacalismo rivoluzionario italiano in Italia, Torino 1970, pp. 82, 84, 236, 238 s., 243, 247; P. Spriano, Storia di Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci, Torino 1972, pp. 22 s., 26, 34, 223; M. Degl'Innocenti, Il socialismo italiano e la guerra di Libia, Roma 1976, ad ind.; L. Mangoni, Una crisi di fine secolo. La cultura italiana e la Francia fra Otto e Novecento, Torino 1981, pp. 134, 151; M. Degl'Innocenti, Geografia e istituzioni del socialismo italiano, 1892-1914, Napoli 1983, pp. 28, 119, 232 s., 236 s., 243; G. Oliva, Esercito, paese e movimento operaio. L'antimilitarismo dal 1861 all'età giolittiana, Milano 1986, pp. 123, 125, 128; A. Casali, C. Treves. Dalla giovinezza torinese alla guerra di Libia, Milano 1989, pp. 48, 52, 91, 150, 174, 186, 244, 299, 314; A.A. Mola, Da quale Oriente sorse, nel Piemonte del 1892, il "sol dell'avvenire"?, in Studi piemontesi, XXI (1992), 1, pp. 73 s.; Id., Storia della massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano 1992, pp. 368, 371, 383, 385, 388, 430, 478; M. Ridolfi, Il PSI e la nascita del partito di massa, 1892-1922, Roma-Bari 1992, pp. 17, 19 s., 52, 126, 138, 172, 178, 185, 213, 215; Z. Ciuffoletti, Storia del PSI, I, Le origini e l'età giolittiana, Roma-Bari 1992, ad ind.; L. Garibbo, I ceti dirigenti tra età liberale e fascismo, in Storia d'Italia (Einaudi), Le regioni dall'Unità a oggi. La Liguria, a cura di A. Gibelli - P. Rugafiori, Torino 1994, pp. 237 s., 241; M. Scavino, Con la penna e con la lima. Operai e intellettuali nella nascita del socialismo torinese (1889-1893), Torino 1999, ad ind.; M. Pignotti, Notabili, candidati, elezioni. Lotta municipale e politica nella Liguria giolittiana, Milano 2001, ad ind.; F. Conti, Storia della massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, Bologna 2003, pp. 216, 219, 223, 238, 242, 255, 412, 418; D. Frigessi, C. Lombroso, Torino 2003, p. 265.