LATERZA, Giovanni
Nacque a Putignano, presso Bari, il 27 apr. 1873, da Giuseppe, falegname, e Maria Pugliese, figlia di proprietari terrieri.
Fu il fratello maggiore del L., Vito (1867-1935), a dare avvio all'azienda editoriale di famiglia: emigrato nel 1880 ad Alessandria d'Egitto, dove aveva lavorato in un'ebanisteria di cui era titolare uno zio, al ritorno a Putignano due anni dopo aprì una cartoleria, che poi trasferì a Taranto e, nell'ottobre 1889, a Bari. Nella cartoleria, contrassegnata con la sigla commerciale Gius. Laterza & figli, poiché Vito era ancora minorenne, si impiegarono i fratelli Pasquale e Francesco. Nel 1896 Vito acquistò una tipografia, che fino ad allora aveva stampato il giornale umoristico barese Fra' Melitone, affidandola alla direzione di un altro fratello, Luigi, che aveva lavorato presso una litografia di Napoli.
In quello stesso 1896 il L., trasferitosi da Milano, dove aveva lavorato come barbiere e aveva sposato Agostina Broggi, commessa della libreria Vallardi, si inserì nell'impresa aprendo una libreria, e dando vita, in seguito, alla casa editrice vera e propria, la Gius. Laterza & figli tipografi-editori-librai.
In una circolare datata 10 maggio 1901 si annunciava, infatti, l'avvio dell'attività nell'intento di contribuire alla valorizzazione culturale del Mezzogiorno e di "cooperare con tutte le nostre forze a rendere la nostra Bari nota tra le altre città d'Italia non solo come emporio industriale e commerciale ma anche come centro di cultura".
Erano in programma la collana "Piccola biblioteca di cultura moderna", affidata alla direzione di G. Chiaia e G.A. Amatucci del liceo Cirillo di Bari, e una "Biblioteca di cultura moderna", per "opere letterarie e scientifiche di maggior importanza e maggior mole". Il progetto editoriale del L., pur rivolgendosi anzitutto agli studiosi pugliesi, aveva intenti più ambiziosi, volendo riunire studi che avessero "relazione direttamente o indirettamente col movimento del pensiero contemporaneo" (Laterza un secolo…, p. 12). Per dar vita a una casa editrice non esclusivamente legata alla produzione locale, ma di respiro nazionale, il L. era consapevole della necessità di allargare i propri rapporti e di stabilire collegamenti con Napoli, vivo centro di cultura e, fino ad allora, sede dell'unica università del Mezzogiorno continentale. Qui incontrò F.S. Nitti - con il quale avviò il progetto di una collana di studi sull'"Italia meridionale", di cui tuttavia uscì un solo volume - e B. Croce, con il quale stabilì, invece, un'intesa profonda, e che, a differenza di Nitti, aveva un'impostazione del lavoro editoriale basata maggiormente sui tempi lunghi e indirizzata a una élite intellettuale.
"Credo […] - scriveva infatti Croce al L. il 4 giugno 1902 (ibid., p. 14) - che fareste bene ad astenervi almeno dall'accettare libri di romanzi, novelle e letteratura amena: e ciò per comparire come editore con una fisionomia determinata: ossia come editore di libri politici, storici, di storia artistica, di filosofia, ecc.: editore di roba grave".
Interrompendo gradualmente i rapporti con Nitti, il L. si affidò al consiglio del solo Croce, e questa, come scrisse qualche anno dopo a F. Nicolini, fu la sua "fortuna".
"Io rilevai in quell'uomo sin dal primo giorno […] una grandezza non comune e volli, veramente volli, che egli fosse la mia guida" (27 genn. 1914; cfr. Coli, p. 71). In una fase in cui l'editoria italiana, nell'ambito dello sviluppo economico del Paese di inizio secolo, conosceva una discreta espansione e si avviava sulla strada dell'industrializzazione, il L. aveva compreso che il modo per imporsi era quello di dare alla propria impresa appunto una "fisionomia determinata", caratterizzandola come casa editrice di saggistica che si inseriva nella corrente spirituale e ideale del tempo. Il suo intento era quello di produrre opere di cultura, riuscendo al tempo stesso a far quadrare i bilanci e a costruire un'azienda solida: libri quindi non "elementari e di semplice speculazione", bensì "seri e nello stesso tempo di smercio sicuro", come ribadiva in una lettera a G. Gentile il 13 febbr. 1909 (Turi, p. 183). E gli era altresì chiaro che per attuare questo programma aveva bisogno del sostegno e dei consigli di un uomo di cultura, con il quale condividere le medesime convinzioni.
Non si trattò comunque né di un rapporto semplice, né di una sottomissione dell'editore alle scelte del filosofo: "Io e Croce siamo sempre stati come suocera e nuora - soleva ripetere il L., secondo il ricordo di L. Russo (p. 603) -: la suocera assai forte e imperiosa, ma anche la nuora, pur sottomessa e affezionatissima, risentita la sua parte". Tale fu Croce fin dal primo incontro, quando stroncò il volume della "Biblioteca di cultura moderna" che il L. gli aveva portato (lo studio di P. Orano, Psicologia sociale), e così sarebbe stato in seguito sia per le scelte editoriali, sia per quelle redazionali, pretendendo fermamente di controllare la lavorazione dei volumi in tutte le loro fasi, compresi i campioni della carta destinata al testo e alla copertina: "io desidero aver tutto dei volumi che portano in fronte il mio nome", scriveva in una lettera del 31 ott. 1906 (Laterza un secolo…, p. 18). Ma il L. non era certo lo stampatore che accettava supinamente qualsiasi richiesta, rivendicando la scelta di appoggiarsi all'illustre filosofo come scelta fatta consapevolmente, altrimenti, scriveva, se "avessi immaginato di diventare per Lei un semplice mezzo Le assicuro che non mi sarei permesso di venirLa a trovare": "Io accetto le Sue proposte perché le trovo buone, ma voglio avere il merito se non di altro di averle sapute apprezzare, non la triste realtà di seguirLa ciecamente, e di non saper far nulla senza il Suo visto. Domando a Lei la maggior parte dei consigli perché non conosco altri che stimo più di Lei, ma non vorrei per questo vedermi sparire la mia personalità di fronte a me stesso!" (2 nov. 1906, ibid.).
La casa editrice del L. divenne in effetti lo strumento attraverso il quale Croce, insieme con Gentile e i loro collaboratori e discepoli, attuò quel programma di "generale risveglio dello spirito filosofico", preannunciato nel primo fascicolo della Critica del 1903. Di tale rivista il L. curò la stampa e l'amministrazione dal 1906, dopo la morte del tipografo V. Vecchi di Trani che l'aveva stampata fino ad allora. Di Croce, oltre a pubblicare nelle diverse collane i volumi che scrisse nel corso degli anni, il L. curò l'edizione completa delle Opere, che furono avviate nel 1908 per essere ultimate in oltre 70 volumi nel 1963.
La prima collana di cui Croce divenne tacitamente il direttore - non venendone pubblicato alcun titolo senza la sua approvazione - fu proprio la "Biblioteca di cultura moderna", dove apparvero volumi di storia politica, sociale ed economica, di critica letteraria e filologica, di filosofia e di storia della filosofia. Alla collaborazione fra Croce e Gentile risale la collana dei "Classici della filosofia moderna", avviata nel 1905, che presentava testi la cui lettura era stata fino a quel momento ostacolata dalla mancanza di traduzioni e di buone edizioni; a questa seguirono "Filosofi antichi e medievali", diretta dal solo Gentile, e altre raccolte. Da un progetto di Croce nacque, in altro ambito, la collana degli "Scrittori d'Italia", che doveva comprendere in accurate edizioni, affidate a specialisti, quelle opere - letterarie, storiche, di memorialistica, di critica, epistolari, scritti minori - che nei secoli avevano contribuito alla formazione della lingua e della cultura italiana.
Iniziata nel 1910, avrebbe dovuto comprendere 600 titoli (è arrivata a 273 titoli nel 1987), e fu diretta da F. Nicolini, poi S. Caramella, quindi L. Russo. Il cinquantesimo titolo, il Sommario della storia d'Italia di C. Balbo, fu presentato nel giugno 1914 dal L., insieme con Nicolini, a Vittorio Emanuele III.
Furono poi avviate, tra le altre collezioni, le "Opere di A. Oriani", promosse nel 1913 da Croce, e, dopo la guerra, le "Opere di G. Gentile", e la "Collezione storica" diretta da A. Omodeo.
Le iniziative del L. non furono tutte esclusivamente sotto il controllo di Croce, come fu il caso della collana di "Studi religiosi ed esoterici", alla quale Croce rimase del tutto "estraneo" e non volle "mai volgere l'occhio".
Vi si pubblicarono volumi di mistica e di teosofia che furono, come scrisse lo stesso Croce, "editorialmente di molto spaccio, che mi parevano un equo compenso agli altri, talvolta commercialmente passivi o di lento spaccio, che io ti facevo pubblicare" (Croce, p. 13). In questo versante di studi il L. si avvalse della collaborazione del geologo G. De Lorenzo, che pubblicò e curò diversi volumi sul buddismo e, successivamente, dello storico delle religioni E. Buonaiuti. Vi apparvero studi che, nel loro ambito, avrebbero lasciato segni profondi, come Totem e tabù (1930), che fu la prima opera di S. Freud apparsa in Italia; ma vi furono pubblicati anche lavori di J. Evola e volumi da lui proposti.
Nel 1910 il L. venne nominato cavaliere di gran croce per i meriti nel campo della cultura e nel 1912 cavaliere del lavoro. La guerra avrebbe rafforzato ulteriormente il legame fra Croce e il L., che gli fu vicino nella battaglia contro quelli che lo studioso definiva "gli spropositi del falso patriottismo" (9 dic. 1915; Coli, p. 91). Ma il legame si sarebbe cementato ancor più all'indomani della presa del potere da parte del fascismo e dell'avvio della dittatura: per il L. schierarsi nettamente, come fece, con Croce, significava schierarsi contro Gentile e contro il regime, e perdere, di conseguenza, tutti quei vantaggi politici ed economici che avrebbe potuto avere e di cui avrebbe avuto bisogno proprio in quei primi anni Venti, trovandosi la casa editrice in gravi difficoltà (morirono poi, a metà del decennio, i fratelli Luigi e Franco). Così, quando Croce, come ha ricordato egli stesso, prese posto "tra i rei maggiori, segno di esclusioni e di persecuzioni", l'editore non esitò a rimanere con lui.
"Io La seguirò - gli disse - in tutto ciò che Lei vorrà fare; non si dia pensiero di me: me la caverò". "E te la cavasti - proseguiva Croce nel suo ricordo -, aiutato dalla tua fermezza, dal tuo franco parlare, dal tuo buon senso, da una sorta di allegria che ritrovavi in te, e ne acquistasti universale stima e rispetto" (Croce, pp. 13 s.).
Mentre la fine dell'amicizia e della collaborazione fra Croce e Gentile si faceva definitiva all'indomani del congresso di Bologna del marzo 1925 e della pubblicazione del Manifesto degli intellettuali fascisti, anche i rapporti tra Gentile e il L. andarono logorandosi, per terminare in occasione della pubblicazione della crociana Storia d'Italia nel 1928.
Non accettando Gentile che in quest'opera si affermasse che "il cosiddetto idealismo attuale" si era svelato sempre più apertamente "come un complesso di equivoche generalità e un non limpido consigliere pratico" (B. Croce, Storia d'Italia dal 1871 al 1915, Bari 1966, p. 269), e non ritenendo di poter "lasciar passare la cosa sotto silenzio", pose il problema al L., che tentò un'inutile mediazione con Croce, chiedendogli di modificare la frase in una ristampa. Croce non ne volle sapere e Gentile, non potendo "ammettere che un editore mio amico pubblichi un libro in cui si fa strazio del mio onore insinuandosi che la mia dottrina non è limpida consigliera pratica, come se io avessi commesso scorrettezze fuorviato dalla mia falsa filosofia" (30 genn. 1928: Laterza un secolo…, p. 28), pose fine alla collaborazione e all'amicizia con il Laterza.
Nel corso del Ventennio l'attività editoriale del L. si caratterizzò per l'alto valore culturale e scientifico che la collocava al di fuori della propaganda e della retorica nazionalista del regime, contribuendo così a costruire un patrimonio di cultura che avrebbe garantito la continuità della vita intellettuale del Paese all'indomani della caduta del fascismo.
I titoli della Laterza assumevano un valore duraturo nel tempo e, se a volte erano espliciti nel loro messaggio e molti autori della casa editrice erano notoriamente antifascisti (A. Omodeo, L. Salvatorelli, U. Cosmo, F. Ruffini, L. Russo, A. Capitini, per fare qualche esempio), più in generale essi si distinguevano per voler riprodurre opere di vera cultura. Ad alcuni fascisti baresi che trasmisero al L. le rimostranze del partito perché non pubblicava "libri fascistici", egli infatti rispose significativamente: "Io non conosco libri fascistici e non fascistici, ma solo libri buoni e cattivi, e se Lor signori hanno qualche buon libro da propormi, sono pronto a pubblicarlo" (Croce, p. 14).
Il L. dovette affrontare non poche ritorsioni, ma tenne ferma la propria posizione di editore non allineato al regime, rifiutandosi, tra l'altro, fin quasi alla fine di scrivere sulle copertine dei propri volumi l'anno dell'"era fascista". Con A.F. Formiggini e, più avanti, G. Einaudi, fu l'unico grande editore a non avere rappresentanti negli organi direttivi della Federazione nazionale fascista dell'industria editoriale. Risentì, naturalmente, oltre che della censura, del clima generale e fu costretto, come scriveva con amarezza a Croce il 18 dic. 1930, a "limitare la produzione tanta è l'indifferenza per tutto ciò che ora si pubblica" (Laterza un secolo…, p. 36).
La Critica, sotto la direzione di Croce, in stretta collaborazione con G. De Ruggiero e A. Omodeo, continuò comunque a uscire e solo nel 1940 le fu imposto di chiudere, in base alle nuove norme di contenimento del numero delle riviste esistenti, ma Croce e il L. riuscirono a ottenere dal ministero della Cultura popolare la revoca del provvedimento. I sequestri e i rifiuti dei nulla osta si fecero più numerosi nella seconda metà degli anni Trenta, mentre la Storia d'Europa di Croce veniva, nel 1932, messa all'Indice. Nel 1938 tutta la produzione della casa editrice fu passata al vaglio della commissione per la Bonifica libraria, con il sequestro di 22 volumi. Anche di fronte alle leggi razziali il L. mantenne un atteggiamento di fermezza.
Nel settembre 1938, alla richiesta del ministro della Cultura popolare, D. Alfieri, di fornire entro pochi giorni i nomi dei componenti e dei collaboratori della casa editrice "di razza ebraica", il L. rispondeva infatti di non aver mai sentito che "genitori od avi avessero altra fede se non quella cattolica e altra razza se non quella che è tipica dei popoli pugliesi: forte, tenace e laboriosa"; e che comunque, per quanto riguardava gli autori della casa editrice, non era possibile "in così breve termine assumere la responsabilità di una risposta definitiva" (ibid., p. 31). In una lettera a Croce aveva d'altra parte ribadito che "nel latifondo di casa Laterza, senza volere sfidare la volontà del Signore, c'è posto per la sinagoga e per i templi di tutte le religioni e che i singoli fedeli che si comportano bene, secondo i doveri dell'ospitalità, non debbono temere espulsioni" (3 ag. 1938; Coli, p. 109).
Per quel che concerne la produzione editoriale, proseguirono nel corso del Ventennio le collane avviate all'inizio della collaborazione con Croce e Gentile, in particolare gli "Scrittori d'Italia" e la "Biblioteca di cultura moderna", che pubblicò circa 280 titoli fra classici e opere letterarie, politiche e sociali.
Fra questi non mancarono voci nuove, come quella di Capitini (Elementi di un'esperienza religiosa, 1937), con il suo messaggio di non violenza e di pace; studi relativi alla storia del socialismo e del pensiero marxista, che fu argomento sul quale Croce insistette particolarmente, pubblicando fra l'altro, nel 1938, La concezione materialistica della storia di A. Labriola; volumi di storiografia e di storia italiana, di storia economica, come la Storia della grande industria in Italia di R. Morandi (1931), di etnologia, con il primo saggio di E. De Martino, Naturalismo e storicismo nell'etnologia (1941). Di Croce uscirono in questi anni opere fondamentali come le già citate Storia d'Italia e Storia d'Europa nel secolo decimonono, e la Storia come pensiero e come azione (1938).
Sul finire degli anni Trenta villa Laterza, dove Croce era ospite quando si recava a Bari, divenne sempre più non solo un centro di cultura, ma anche un luogo di incontro politico per intellettuali e studiosi, molti dei quali facevano capo al movimento di Giustizia e libertà ed erano impegnati - a differenza del filosofo abruzzese - in una concreta attività di opposizione al fascismo. La villa venne di conseguenza tenuta sotto controllo dalla polizia fascista, che la perquisì e pedinò i suoi ospiti.
"Le noie da parte della polizia politica non sono ancora cessate", narrava il L. a Croce in una lettera del 23 apr. 1942, dopo che nel mese precedente erano stati perquisiti gli uffici della casa editrice, "Ieri subimmo interrogatori io, Nino e Franco. Si tende a far risultare che le Sue venute a Bari avevano carattere politico e che gli amici studiosi che invitavo a colazione e cena durante la Sua permanenza avessero scopi politici. […] Naturalmente ho spiegato il motivo ed il piacere che io ho sempre provato, da tanti anni, nel dare occasione agli studiosi che lavorano di poterLa avvicinare, parlare dei loro studi e ricevere da Lei indirizzi e chiarimenti" (V. Laterza, p. 28).
Nella primavera 1943 - nel contesto di un'ondata di arresti che colpì in tutta Italia i militanti del Partito d'azione -, T. Fiore, G. De Ruggiero, G. Calogero e Giuseppe (Nino) Laterza, figlio del L., vennero arrestati e trasferiti nel carcere di Bari perché in possesso di volantini antifascisti e sospetti di cospirazione. Il 28 luglio l'Esercito aprì il fuoco contro un corteo di antifascisti che si recava al carcere per chiederne la liberazione e uccise 22 manifestanti, tra i quali il figlio di Fiore.
Il L., già malato da tempo, morì a Bari, il 21 ag. 1943.
Aveva appena avuto il tempo di felicitarsi per la notizia della caduta di B. Mussolini, data che volle segnare, secondo il ricordo di Russo e di Croce, dando ordine che sulle fatture della giornata fosse scritto: "Dio sia lodato!". Il lavoro da lui costruito in tanti anni, venne ripreso dai figli Franco, che già lo affiancava, per la casa editrice, e Nino, per la libreria, e dal nipote Giuseppe (figlio di Vito), che dal 1926 dirigeva la tipografia.
Fonti e Bibl.: Il carteggio editoriale della casa editrice Laterza dal 1901 al 1951 è conservato presso l'Archivio di Stato di Bari, nelle due serie Archivio autori e Registri copialettere. Il carteggio fra il L. e B. Croce è in corso di stampa, a cura di A. Pompilio, I, 1901-1910, Roma-Bari 2004. I documenti più significativi e ampia scelta di lettere sono riprodotti in Mostra storica della casa editrice Laterza, Milano… 1961, Bari 1961; Catalogo della mostra storica della casa editrice Laterza, Roma… 1962, ibid. 1962; Laterza, un secolo di libri, 1885-1985; Roma-Bari 1989.
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