LANFREDINI, Giovanni
Nacque a Firenze nel 1437 da Orsino di Lanfredino e da Ginevra di Piero Capponi, nel quartiere di S. Spirito, "gonfalone" Drago.
La sua giovinezza - tipica di un grande mercante-banchiere fiorentino rampollo di una famiglia del popolo grasso segnalatasi fin dal Trecento nel cambio e nel commercio della lana -, fu spesa in lunghi periodi di permanenza fuori dalla patria, specialmente a Venezia e a Ferrara. Entro il 1470 sposò Alessandra di Bernardo Ridolfi, dalla quale ebbe Ginevra, Orsino, Lucrezia, Francesca, Bernardo, Iacopo e Lorenzo.
Dal punto di vista politico-sociale, i suoi orientamenti ricalcarono quelli del fratello maggiore Iacopo, che seppe conquistare la fiducia dei Medici e fu da essi coinvolto in compiti di estrema delicatezza, ricompensati con l'attribuzione delle più alte cariche dello Stato. Iniziata sotto il padre Orsino, la rimonta politica dei Lanfredini, illustre casata impoveritasi ed eclissatasi lungamente dalla vita pubblica fra il tumulto dei ciompi e il periodo albizzesco, conobbe una decisiva conferma col fratello Iacopo (che fu priore nel 1460 e 1471, gonfaloniere nel 1477, ambasciatore nel 1476 e 1478-79, membro delle Balie del 1458, 1466, 1471 e 1480, anno in cui fu cooptato nel Consiglio dei settanta); ma fu con il L. che la famiglia attinse alla massima gloria, rappresentata da una prossimità con la casa Medici e i suoi arcana imperii quale poche famiglie fiorentine potevano vantare. I rapporti fra il L. e il cuore del regime erano già assidui sotto Piero di Cosimo de' Medici, oggetto di visite confidenziali nella villa di Careggi. Nella suddivisione dei compiti utili al rafforzamento dello Stato concertata da Piero, i Lanfredini e la loro compagnia ebbero assegnato il collegamento con la piazza bancaria veneziana, dove il banco Medici aveva liquidato per ragioni politiche la sua filiale ma si trovava pur sempre nella necessità di mantenere un addentellato. Secondo la prassi dell'epoca, la prestazione di servizi commerciali e finanziari si mescolò con la trasmissione di notizie politico-diplomatiche che il L. raccoglieva sul luogo: fattore che, tra il 1469 e il 1471, mise ulteriormente in risalto il suo legame confidenziale con i Medici. Da segnalare che, durante gli anni veneziani, il L. ebbe sotto di sé in qualità di assistente un futuro protagonista della vita politica fiorentina come Giovanni Battista Ridolfi.
Le benemerenze maturate dal L. come rappresentante fiduciario dei Medici trovarono una sanzione ufficiale nel 1471, quando il giovane Lorenzo di Piero, da due anni assurto a capo del "reggimento", decise di riaprire quale atto dimostrativo la filiale veneziana del banco affidandone al L. la direzione. Tre anni dopo il L. sarebbe stato chiamato a consolidare da Venezia una complessa manovra politica, condotta dal fratello Iacopo di concerto con Lorenzo de' Medici. Facente aggio su una consuetudine di transazioni finanziarie rivestita di favore cortigiano, che all'occasione poteva essere commutata in elemento di garanzia, l'operazione si può considerare il debutto del L. nel mondo dell'alta diplomazia italiana.
Da diversi anni i fratelli Lanfredini si erano imposti alla corte di Ferrara, area gravitante finanziariamente su Venezia, come banchieri tra i più apprezzati da casa d'Este, dalla quale ottennero, il 20 febbr. 1469, per concessione del marchese Borso, il privilegio di familiarità con relative esenzioni. Oltre a gestire l'appalto di entrate fiscali, curavano anche il commercio dei grani di Romagna; agenzie della loro compagnia furono aperte a Ferrara e a Lendinara, malgrado a Ferrara fosse attivo anche il banco Medici. Sembra certo che per i bisogni finanziari Borso trovasse preferibile ricorrere a loro, politicamente neutrali ma pur sempre eredi di antiche connessioni mercantili con Palla Strozzi, piuttosto che ai Medici, con i quali l'Este non intratteneva buone relazioni.
La corte estense, che fin dal 1435 si era segnalata come ricettacolo dei più illustri fuorusciti fiorentini, ancora nel 1467 diede protezione e rifugio ai cospiratori nemici di Piero de' Medici. Nel 1471, morto Borso d'Este, Lorenzo tentò il riavvicinamento con il di lui fratellastro e successore Ercole, che sapeva necessitato a compensare con la ricerca di nuovi alleati il suo difetto di legittimità nella successione. Quale ambasciatore a Ferrara fu designato Iacopo, fratello del L., abile a far scorrere nelle casse estensi quelle elargizioni monetarie che facilitarono la conclusione di un patto di mutuo sostegno fra due esordienti al governo, il quarantenne Ercole da e il ventunenne Lorenzo.
Aspetto complementare della manovra furono le pressioni congiunte di Milano e Firenze su Venezia affinché negasse definitivamente ogni appoggio al pretendente rivale di Ercole d'Este. Il ruolo svolto dal L. al proposito, benché ufficioso, dovette essere rilevante e trovò un riconoscimento quando, composta la vertenza a favore di Ercole, nel novembre 1474 fu stipulata la lega tra Milano e Venezia, di cui Firenze fu membro aggiunto. L'accordo fu celebrato con una visita di Stato del duca Galeazzo Maria Sforza a Venezia, alla quale intervenne una solenne ambasciata fiorentina guidata da Tommaso Soderini, zio di Lorenzo il Magnifico. Dietro a lui, in qualità di segretario coadiutore, stava il L., che poteva ormai ambire a un autonomo spazio nella diplomazia fiorentina, sia pur muovendosi nella scia di quella amicizia mediceo-estense intessuta, con tutti i suoi retroscena finanziari, dal fratello Iacopo.
Il credito di riconoscenza cumulato dai fratelli Lanfredini tra il 1471 e il 1474, con la malleveria dell'alleanza Este-Medici e il lavorio per un suo organico inserimento entro lo schema di un'alleanza generale fra Milano e la Serenissima, trovò espressione ufficiale il 18 febbr. 1475, quando Ercole d'Este emise un diploma con cui riconfermò tutte le franchigie loro concesse nel 1469 da Borso, aggiungendovi l'aggregazione alla casata ducale con diritto di fregiarsi delle insegne. In particolare, del L. fu lodata la "praecipua et incredibilis humanitas", un'affabilità solerte, non priva di momenti arguti, con cui egli era solito espletare i suoi doveri (Mansfield, p. 265). È probabilmente da associare alla frequentazione della corte ferrarese un dettaglio di non poca importanza, quale la committenza di una medaglia celebrativa del L. con le sue fattezze, opera di Sperandio da Mantova (Sperandio Savelli).
Il 30 maggio 1476, sempre risiedendo a Venezia, il L. passò da dipendente a socio di Lorenzo e Giuliano de' Medici: si affiancò a loro nella titolarità del banco veneziano e divenne loro procuratore generale. Agli inizi dell'anno successivo Tommaso Soderini fu trasferito d'urgenza da Venezia a Milano, a fronteggiare la crisi intervenuta con l'assassinio del duca Galeazzo Maria; sulla laguna rimase il L., detentore pro tempore delle funzioni di oratore residente. Senza reggere mai questa dignità, il L. si limitò a trasmettere notizie e a riferire le consegne, affiancando all'occasione l'ambasciatore ufficiale, che nel 1478 fu Pierfilippo Pandolfini.
In questa posizione semiprivata, dovette far fronte al tracollo politico-militare sofferto dalla Repubblica tra il 1478 e il 1479 a seguito della congiura dei Pazzi, affannandosi, in verità senza grandi risultati, per assicurare la fedeltà della Serenissima all'impegno di tutelare con le armi la sicurezza della minacciata Firenze. Il suo operato si intrecciò con quello del fratello Iacopo, inviato come ambasciatore a Bologna e a Mantova per tenere fermi quei potentati dell'area padana nella lotta di sopravvivenza ingaggiata da casa Medici.
Terminata fortunosamente la guerra, ebbe luogo una ridefinizione delle alleanze che portò Venezia e Firenze su due fronti opposti, tanto che il 20 luglio 1480 il L. fu arrestato per ordine del Consiglio dei dieci con l'accusa di spionaggio. Espulso da Venezia nell'agosto, riparò a Ferrara, da dove rientrò a Firenze a novembre. Mentre Lorenzo decretava lo scioglimento della filiale veneziana, per il L. fu prevista a dicembre una nuova dislocazione alla corte ferrarese, dove con il pretesto della riscossione di certi crediti avrebbe dovuto curare l'allineamento di Ercole agli interessi medicei. Frequenti furono i suoi sopralluoghi a Firenze, dove nel gennaio 1481 dettò due lettere a nome di Lorenzo, dirette a Ercole d'Este e al suo segretario. Alla fine di quell'anno, effettuò una breve missione a Lucca.
Tra il 1482 e il 1483 si concluse un primo lungo ciclo della sua vita in cui egli si era distinto soprattutto come abile e versatile amministratore del banco Medici, di cui verosimilmente dovette condividere le perdite sofferte a seguito dello sfortunato andamento della filiale veneziana. La stima che si era saputo conquistare con le sue capacità gestionali fu comunque tale che nel 1482, mentre compariva ancora come socio della compagnia dei Medici, fu avanzata la sua candidatura alla "Tavola" fiorentina, la direzione centrale del banco, insieme con Ludovico Masi. Ma la ragion di Stato medicea pendette a favore dell'utilizzo delle sue qualità non per il riordino della vacillante struttura del banco, ma per il servizio in un ambito di ancor maggiore urgenza: la diplomazia.
Nell'aprile 1483, durante la seconda fase della guerra di Ferrara, il L. seppe leggere i reconditi desideri del Magnifico e si offrì per una missione segreta a Chioggia, mediante la quale avrebbe allacciato a titolo personale una pratica di pace con i Veneziani, così da risparmiare a Firenze le spese e i disagi di un conflitto che ristagnava a causa del disimpegno di Milano e di Napoli. Benché la proposta fosse fallita, il coraggio e l'affidabilità di cui il L. aveva dato prova convinsero Lorenzo ad assegnargli, quando ancora la guerra di Ferrara non era finita e minacciava di trascinarsi improduttivamente, la legazione di maggior peso nel sistema di alleanze fiorentino: l'ambasceria a Napoli.
Non è esagerato dire che, in quel frangente, la missione del L. assolse al bisogno più essenziale, ma anche più spinoso, della strategia diplomatica che Lorenzo aveva elaborato, su basi nuove, dopo il suo ritorno da Napoli nel 1479, quando la prospettiva di ricavare il massimo vantaggio da una composizione inaspettatamente onorevole della guerra dei Pazzi si sovrappose a stanchezza e disillusione nei confronti di Milano e di Venezia. A partire dal 1480 l'asse privilegiato con Ferdinando d'Aragona divenne il cardine di quella che, retrospettivamente, fu battezzata la "politica dell'equilibrio", ossia la tecnica della concertazione preventiva tra Firenze e Napoli finalizzata a tenere a freno le conflagrazioni belliche nella penisola.
Pur senza impedire lo scoppio di una nuova guerra nel 1482, provocata dall'invasione veneziana dello Stato estense, l'intesa bilaterale mediceo-aragonese fra 1480 e 1484 diede prova di robustezza, tanto da rappresentare, agli occhi di Lorenzo, il più valido presupposto per un rilancio della potenza fiorentina finalizzato alla riconquista di Sarzana, presidio di frontiera andato perduto durante la guerra, nel 1479.
La svolta filonapoletana rappresentò tuttavia per Lorenzo un'opzione assai impopolare, che egli faticò a imporre a un mondo fiorentino dominato da umori antiaragonesi e da sospetti verso le manovre occulte e verticistiche del regime. Per tutti questi motivi il detentore della dignità di ambasciatore a Napoli, che per ragioni istituzionali doveva essere membro fra i più in vista dell'alto patriziato fiorentino, doveva in questo caso possedere una particolare sintonia di vedute con il Magnifico, unita a perizia e riservatezza: fattori che, nel restringere a pochissimi nomi la rosa dei candidati alla legazione napoletana, andarono a premiare il talento del L. come agente diplomatico, relegando di lì in avanti in secondo piano la sua originaria fisionomia di mercante-banchiere.
Nell'estate 1483 sembra che il L. fosse incaricato di una prima informale missione a Napoli, dove tra l'altro poté esercitare un'azione protettiva a favore di Ercole d'Este. Passata la fase cruciale della guerra di Ferrara, senza tuttavia che il conflitto fosse terminato, fu predisposto l'avvicendamento alla carica di ambasciatore residente a Napoli, dove il L. si sarebbe insediato nella primavera 1484. Durante un intervallo fra i suoi impegni diplomatici, il L. poté conseguire anche quelle cariche al vertice dello Stato che fino ad allora erano state appannaggio del fratello Iacopo, ormai anziano: nel trimestre gennaio-marzo 1484 fu gonfaloniere di Giustizia. Occorre sottolineare che la sua presenza tra le massime magistrature repubblicane fu sporadica e dovuta essenzialmente allo scopo di mantenervi costante la presenza della casata. Nell'aprile 1484, terminato il mandato di gonfaloniere, il L. fu nominato ambasciatore residente della Repubblica a Napoli, in sostituzione di Piero Nasi. Vi sarebbe rimasto fino all'autunno 1486, collaborando a mantenere salda l'alleanza con Napoli in cui Lorenzo aveva gettato tutte le sue fortune, attratto dal miraggio del recupero di Sarzana attraverso l'accensione di un fronte di guerra tra Versilia e Lunigiana, col sostegno aragonese.
Anche se per prima cosa il L. dovette negoziare la restituzione dei castelli in Val di Chiana e in Val d'Elsa occupati dagli Aragonesi nel 1479, è verosimile che l'impresa sarzanese, chiave di volta del progetto di risistemazione e consolidamento dello Stato territoriale che Lorenzo inseguiva, non tardasse a imporsi quale obiettivo primario della sua missione. Ma dopo i primi successi, che portarono alla conquista di Pietrasanta, sopraggiunse a congelare le speranze fiorentine di una rapida vittoria la pace unilaterale negoziata con i Veneziani da Ludovico il Moro a Bagnolo, che portò a una cessazione generale delle ostilità e ritardò di altri tre anni la presa di Sarzana.
A meno di un anno dall'arrivo del L. emersero fra la corte partenopea e il Regno le avvisaglie di quella ribellione generale, nota come la congiura dei baroni, che tra il 1485 e il 1486 avrebbe trascinato la casa d'Aragona in una campagna repressiva interna dai risvolti cruenti, a cui si sovrappose una guerra esterna con il Papato. A salvare Ferdinando I dal rischio di venire travolto e detronizzato fu soprattutto l'aiuto subito arrecatogli da Lorenzo de' Medici, che dovette largamente rimettersi alla discrezione del L. per mantenere la propria azione filoaragonese al riparo dal sindacato della Signoria e dell'opinione pubblica fiorentina.
Come di prammatica in questi casi, Ferdinando contrasse nei confronti dell'ambasciatore fiorentino un debito di riconoscenza che si tradusse nei termini patronali di una considerazione di cui il L. avrebbe continuato a godere, a titolo personale, anche dopo la fine del suo mandato. Ancora maggiori furono gli onori che il re tributò per mezzo di lui alla Repubblica, alla quale donò un palazzo che fungesse da abitazione dell'ambasciatore oppure, in assenza di questo, del console della nazione fiorentina. Altro segno di riguardo fu la restituzione della reliquia di s. Giulia, predata dai soldati aragonesi a Certaldo durante la guerra della congiura dei Pazzi.
Malgrado tali attestazioni, non sembra che il L. desiderasse prolungare oltre il dovuto il suo soggiorno alla corte napoletana, da cui nell'agosto 1486 pregò insistentemente di essere richiamato, onde provvedere a certi suoi interessi in patria. Fu esaudito, e nell'ottobre 1486 rientrò a Firenze. Quali che fossero gli affari privati a cui dovette dedicarsi, non poté concentrarsi a lungo su di essi, poiché Lorenzo ricorse ancora una volta a lui per il compimento della nuova grande operazione diplomatica che aveva intrapreso in concomitanza con la fine della guerra dei baroni, tra il 1486 e il 1487: la riapertura di un canale diplomatico con la corte di Roma, da cui i Medici erano stati tenuti lontani da circa un decennio a causa dei gravi dissapori con il Papato, sorti sotto Sisto IV e proseguiti sotto Innocenzo VIII.
Nella sua veste pubblica di ambasciatore il L. fu deputato a convalidare e amplificare l'operato svolto in sede privata da Pierfilippo Pandolfini, altro strettissimo collaboratore di Lorenzo, il cui genio negoziale aveva consentito al Medici di suturare l'annosa divergenza con Innocenzo VIII e addirittura di imporsi come il nuovo interlocutore privilegiato del Papato, attraverso il matrimonio, combinato entro la fine del 1487 e celebrato nel gennaio 1488, tra Francesco (Franceschetto) Cibo, figlio naturale del pontefice, e Maddalena de' Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico.
Nominato ambasciatore residente presso il pontefice nel maggio 1487, il L. si trasferì a Roma con la convinzione che il parentado Cibo-Medici avrebbe potuto costituire il presupposto per un traguardo ancor più ambizioso: non si sa se tale ipotesi gli venisse ventilata dallo stesso Lorenzo, il quale invero attese qualche tempo prima di scoprire i suoi piani reconditi e preferì che a formularli esplicitamente fosse il suo ambasciatore di fiducia. Così, in un dialogo tipicamente laurenziano condotto a distanza per cenni, prese forma quella che può considerarsi la massima impresa nella quale il L. cimentò con successo le sue consumate doti di mediatore: la creazione cardinalizia del tredicenne Giovanni de' Medici (futuro Leone X), figlio di Lorenzo; una vittoria assoluta per casa Medici, che però fu sapientemente fatta passare come atto nepotistico, finalizzato a tutelare le fortune della discendenza del papa attraverso l'esaltazione dei potenti parenti fiorentini.
Copiosamente documentata dal ricco e vivacissimo carteggio romano del L., fortunatamente sopravvissuto e utilizzato a suo tempo da Picotti per la sua magistrale ricostruzione de La giovinezza di Leone X, la vicenda che nel giro di due anni di intense trattative registrò un trionfo senza precedenti della casata medicea nell'arena curiale ebbe come protagonista l'ambasciatore residente, i cui dispacci personali a Lorenzo offrono un repertorio ineguagliato delle tecniche negoziali e suasorie in auge nella corte papale di fine Quattrocento. Il suo affiatamento col Magnifico era tale da consentirgli, quando necessario, l'uso di lettere a papa e cardinali che egli stesso redigeva su fogli appositamente sottoscritti e presigillati a nome del Medici.
Durante la sua ambasceria gli toccarono incombenze memorabili dal punto di vista della storia artistica e culturale. Fu lui a introdurre in corte di Roma nel 1484 - su raccomandazione di Lorenzo che desiderava venisse attribuita a uno scultore fiorentino l'esecuzione della tomba di Sisto IV - Antonio del Pollaiolo (Antonio Benci), artista particolarmente legato ai fratelli Lanfredini, i quali nei decenni precedenti, attraverso una serie di committenze domestiche, ne avevano favorito il passaggio dall'oreficeria alla pittura. Nella condivisione di un gusto artistico raffinatissimo e aggiornato è possibile cogliere un riflesso della comunanza di tendenze che lo legava a Lorenzo, del quale recepì pure la passione archeologica, curando per lui l'acquisto sulla piazza romana di marmi antichi. Non meno significativo è l'impegno che il L. profuse tra il 1487 e il 1488 per la protezione di Giovanni Pico della Mirandola dalla macchia di eterodossia imputatagli dalla Curia. Né andrà dimenticata la diffusione della fama del Poliziano come letterato e traduttore che il L. procurò nell'ambiente romano.
Nel marzo 1489 il L. poté mietere i frutti del massimo colpo che attraverso di lui la diplomazia laurenziana mise a segno, quando Innocenzo VIII decretò in concistoro la creazione segreta del giovanissimo Medici. Il trionfo gli era stato tuttavia funestato dalla morte, occorsa alla fine dell'anno precedente, del figlio sedicenne Orsino, che viveva con lui a Roma e che egli aveva già cominciato a dotare di benefici, intendendo avviarlo alla carriera ecclesiastica con il favore dei potenti della corte. La lettera consolatoria inviatagli da Lorenzo il 18 genn. 1489 prometteva sempiterna tutela dell'onore e dell'utile di casa Lanfredini da parte dei Medici, ma sorvolava su una questione centrale nei rapporti fra i due: le somme cospicue di cui il L. risultava tuttora debitore al banco Medici, fattore che contribuisce a spiegare la dedizione senza limiti da lui esibita nei negoziati piùdecisivi per la causa medicea.
Certo anche a causa del sovraffaticamento a cui il L. si era esposto man mano che il traguardo del cappello rosso per casa Medici era apparso sempre più in vista, le sue condizioni di salute peggiorarono: nel novembre 1489 l'aggravarsi della sua malattia indusse il governo fiorentino ad affiancargli come coadiutore nell'ambasciata Niccolò Michelozzi, il più autorevole tra i cancellieri privati del Magnifico, che potéŽfra l'altro riordinare e preservare le sue carte, in previsione dell'arrivo del suo successore, designato in Pierfilippo Pandolfini.
Il L. morì a Roma il 5 genn. 1490, vittima di un male che i contemporanei interpretarono come punizione divina per lo spergiuro con cui, per facilitargli la promozione, aveva attribuito a Giovanni de' Medici un'età superiore a quella effettiva.
Alla sua scomparsa si diffuse il commento che era morto chi "teneva in pugno a Lorenzo" la corte di Roma (Bizzocchi, p. 144). Ebbe sepoltura, con i massimi onori e a spese della nazione fiorentina, nella sacrestia di S. Pietro, nel sarcofago dove già riposava il figlio. Contemporaneamente, gli fu reso il solenne commiato a spese della Repubblica a Firenze, nella chiesa del Carmine, dove si trovava la tomba di famiglia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Tratte, 80, c. 27v; Medici e speziali, 247, c. 1r; Mss., 394 (Carte Dei), XXVIII, 22; 598 (Carte Pucci), 8; Catasto, 794, c. 119; 100, cc. 241-242; Carte Strozziane, s. 1, III, cc. 93, 97, 116-120, 124-125, 127-128, 130, 132-134; Signoria, Dieci di balia, Otto di pratica, Legazioni e commissarie, Missive e responsive, 20 (copialettere della legazione romana, 1488-89). Molte decine di sue lettere ai Medici reperibili in: Arch. di Stato di Firenze, Arch. Mediceo avanti il principato. Inventario, I-IV, Roma 1955-66, ad ind.; Firenze, Biblioteca nazionale, Mss., II.V.15 (copialettere della legazione napoletana, 1484-85, parzialmente edito da Scarton); II.V.16 (minutario di legazioni varie, 1477-83); II.V.18 (minutario della legazione napoletana, 1485-87, in fase di pubblicazione); II.V.19 (raccolta di lettere, 1485-87); II.V.20 (copialettere, 1485-87); II.V.12.13 (documenti commerciali e varie, soprattutto da Venezia); Manoscritti Passerini, 189; Poligrafo Gargani, 1093-1094; Lorenzo de' Medici, Lettere, a cura di R. Fubini et al., I-IX, Firenze 1977-2002, ad indices; Corrispondenza degli ambasciatori fiorentini a Napoli, II, Giovanni Lanfredini (maggio 1485-1486), a cura di E. Scarton, Salerno 2002; E. Gamurrini, Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane, IV, Firenze 1679, pp. 280 s.; M. Mansfield, A family of decent folk (1200-1741). A study…, Florence 1922, pp. 185-212, 265; G.B. Picotti, La giovinezza di Leone X, Milano 1928, ad ind.; C.F. Hill, A corpus of Italian medals of the Renaissance before Cellini, London 1930, p. 96 n. 377; R. de Roover, The rise and decline of the Medici bank 1397-1494, Cambridge, MA, 1963, pp. 239, 253, 345, 354 s., 368; R. Bizzocchi, Chiesa e potere nella Toscana del Quattrocento, Bologna 1987, pp. 129 s., 133-135, 144, 161, 300-302, 345; R. Fuda, Un oratore: G. L., in Consorterie politiche e mutamenti istituzionali in età laurenziana (catal., Firenze), a cura di M.A. Morelli Timpanaro - R. Manno Tolu - P. Viti, Cinisello Balsamo 1992, pp. 139 s.