LAGARINO, Giovanni
Nacque in data imprecisata, ma nella seconda metà del Quattrocento, dalla famiglia parmense dei Donnini, trasferitasi ad Ala, in Trentino, dove risiedeva lo zio del L., Antonello da Costrignano, attestato come arciprete nei registri parrocchiali dal 1483 fino al 1498, quando rinunciò alla rettoria di S. Maria in favore di un Giovanni, cugino del Lagarino. Forse a causa di questa omonimia il L. cambiò il cognome mutuandolo dalla vallata trentina in cui verosimilmente era nato; a tale origine potrebbe alludere anche il carme che gli dedicò il poeta trentino Alberto Alberti, che lo chiama "sodalis / attribuit vallis cui Lagarina genus". Con l'Alberti il L. dovette essere in confidenza sin da giovane se, come riferisce lo stesso componimento, egli aveva cominciato a dedicarsi alla poesia per incitamento dell'amico. È per lo più dai carmi del L., traditi dal ms. Ashb. 270 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, che si possono ricavare le scarne notizie sulla vita e l'opera.
Già appartenuto alla raccolta del veronese Giulio Saibante, l'Ashb. 270 è un codice cartaceo di 177 carte vergato da mani diverse, riconducibili per lo più alla famiglia Betta d'Arco, nel quale Antonio (negli anni 1431-61) e Ludovico Betta (dal 1495 al 1497) copiarono composizioni proprie e di poeti loro contemporanei. Del L., Ludovico trascrisse una quarantina di poesie in distici elegiaci, per lo più epigrammi di ispirazione ovidiana e marzialesca, indirizzati a parenti, amici e letterati con cui il L. doveva essere in relazione.
Sicuramente dalla fine del 1496 il L. fu a Treviso: alla città rinvia l'unico documento datato del L., una lettera spedita il 3 genn. 1497 a un parente per consolarlo dei suoi dispiaceri. Qui compì probabilmente gli studi di greco e latino presso i maestri ed editori di classici Bartolomeo Gerardino e Antonio Partenio da Lazise, quest'ultimo commentatore di Catullo e docente per un periodo anche a Verona, dove forse il L. si trovò pure a soggiornare, se alcuni dei suoi componimenti sono indirizzati a personaggi di quella città. Tra loro si possono annoverare il poeta Girolamo Verità, il conte Giacomo Giuliari, il patrizio e poeta Dante [III] Alighieri (morto a Mantova nel 1515), il poeta Giacomo Guarienti detto Filomuso, cui si rivolgono sette componimenti e di cui si conserva anche un carme responsivo. A Treviso il L. dovette risiedere per alcuni anni, periodo al quale sono da far risalire i carmi indirizzati Ad consanguineos, allo zio Antonello (di cui scrisse anche, non prima della morte dello stesso zio, nel 1499, l'epitafio), al cugino Giovanni (non anteriore al 1498, quando questi divenne parroco) e a un altro parente, Antonio, pure sacerdote e poi pievano di Ala dal 1533. Agli anni trevigiani devono anche risalire le poesie indirizzate all'Alberti, a Ludovico Betta e a Pietro Antonio Zanoni (Ianionius), notaio appartenente a una famiglia trasferitasi ad Arco e destinatario pure di un'elegia del più famoso umanista e poeta Nicolò d'Arco.
Al 1507 risale invece un'elegia mitologico-storica in 58 versi al vescovo di Trento Giorgio di Neydeck, datata "ex Allano pago" e recante la sottoscrizione "Io. Lagarinus sacerdos", da cui si deduce che il L., come molti dei suoi familiari, aveva abbracciato la vita ecclesiastica. A qualche anno più tardi pare inoltre da ricondursi un distico del ms. Ashb. 266 (Biblioteca Medicea Laurenziana), dove Nicolò d'Arco rievoca come passato il tempo in cui il L. si dedicava alle muse.
L'ultima testimonianza poetica ascrivibile al L. si trova in un'epigrafe tombale del 1512, rinvenuta nella chiesa di S. Marco a Rovereto, il cui epitafio è siglato dalle parole "Donini Parmensis carmen". È questo l'estremo, incerto, dato cronologico della biografia del L., di cui restano ignoti data e luogo di morte.
Tra gli altri destinatari delle poesie del L., quali personaggi a lui probabilmente legati da rapporti personali, si possono annoverare (seguendo le identificazioni del Papaleoni, 1886) Bartolomeo Vico, Pier Leone di Ceneda, il bresciano Antonio Avogadro, un Palladio (forse il padovano Palladio Negri o il veronese Giovanni Palladio), i trevigiani Tomaso da Prato e Pietro Maria Pennacchi, quest'ultimo pittore, il bellunese Giuseppe Faustino, e infine i più noti nomi di Laura Brenzoni Schioppo (cui si riferisce il carme De Laura effigiata, nonché un epigramma In invidum che la ricorda celebrata dal Filomuso) e di Panfilo Sasso, cui il L. diresse quattro brevi componimenti e ricevendone uno in replica.
Fonti e Bibl.: Trento, Biblioteca comunale, Mss., 167: G.G. Tovazzi, Biblioteca tirolese, I, p. 279; B. Bonelli, Notizie istorico critiche della Chiesa di Trento, III, Trento 1760, p. 171; S. Maffei, Verona illustrata, II, Milano 1825, p. 209; G. Papaleoni, G. L., in Archivio trentino, V (1886), pp. 79-112; F. Ambrosi, Scrittori ed artisti trentini, Trento 1894, p. 131; G. Papaleoni, Un epitafio di G. L. in S. Marco di Rovereto, in Studi trentini di scienze storiche, XV (1934), pp. 154 s.; E. Franceschini, Discorso breve sull'umanesimo nel Trentino, in Aevum, XXXIV (1961), pp. 247-272; M. Welber, I Numeri di Nicolò d'Arco, Trento 1996, p. 4; Id., "Nobiscum bibe, lude, scribe, canta". Appunti sul contributo di Nicolò d'Arco alla mappa della cultura gardesana, in Giulio Cesare Scaligero e Nicolò d'Arco: la cultura umanistica nelle terre del Sommolago tra XV e XVI secolo, a cura di F. Bruzzo - F. Fanizza, Trento-Riva del Garda 1999, p. 97.