CARAGLIO (Caralio, Caral, de Caraliis), Giovanni Iacopo
Incisore, medaglista, intagliatore di gemme e orefice, nacque nella città di Verona verso l'anno 1505.
La città di origine e la data di nascita sono ricavabili da un ritratto del C. attribuito a Paris Bordone, dal 1972 nelle Collezioni statali d'arte del castello di Wawel a Cracovia. L'artista è rappresentato "aetatis suae anno XXXXVII", in atto di ricevere da un'aquila con corona reale (emblema dello Stato polacco) e con il monogramma di Sigismondo Augusto sul petto, una catena d'oro, alla quale è appesa una medaglia con l'effigie del re; sul tavolo strumenti e oggetti di oreficeria (un anello con pietre preziose e un elmo dorato ornato di foglie d'acanto e guarnito di perle); in fondo l'arena di Verona. Il ritratto deve essere stato dipinto nel 1552 quando il C. fece un viaggio in Italia e ricevette il titolo di cavaliere (ill. in Antichità viva, IX [1970], 3, pp. 50 s.; Zerner, III, tav. 219, 1).Nulla sappiamo della sua formazione: il C. era a Roma nel 1527 quando, durante il Sacco, le botteghe calcografiche furono devastate e gli incisori dispersi. Lasciando incompiuto il cosiddetto Ratto delle Sabine, da disegno del Rosso Fiorentino (Bartsch, n. 63: ma vedi Zerner, I, p. 693), si rifugiò a Venezia dove era ancora operante, come incisore, nel 1537.
Dalla sua incisione con la Fortuna seduta sui flutti (Bartsch, n. 56) risulta chiaro che il C. non riuscì a sottrarsi all'influsso di Marcantonio Raimondi che dominava a quell'epoca incontrastato nella incisione.
Pietro Aretino (La Cortigiana, Venezia 1534, atto III, scena 7), giudicava il C. superiore a Marcantonio, e non tanto per amicizia quanto perché ne apprezzava l'indipendenza dal maestro nella traduzione incisoria di disegni e di chiaroscuri e nella interpretazione, spesso felice, sia delle opere di Raffaello e dei raffaelleschi di stretta osservanza, come Perin del Vaga, sia di quelle dei manieristi. Il C. infatti fu aperto alle nuove istanze del Parmigianino e specialmente del Rosso Fiorentino, talora liberamente interpretato e contaminato (Barocchi) in circa trenta stampe, in pratica la metà della sua produzione incisoria. Il C. era solito firmare generalmente le opere "Iacobus Caraio", "Iacobus Caralius", "Io. Jacobus Veronensis". Per quel che riguarda i monogrammi, invece, anche quelli attribuitigli, i problemi sollevati dal Bartsch e dal Nagler restano insoluti.
Nella sottoscrizione delle prime edizioni delle sue stampe di soggetti allora in voga (temi religiosi, mitologici, allegorici, un solo ritratto) non figura mai il nome del calcografo o dell'editore; ma è noto (Vasari, pp. 424 s.) che fu il Baviera, lo stampatore e il mercante di stampe di Marcantonio, interessato a tener salda la sua rete di interessi artistici e commerciali, a convincere il Rosso Fiorentino a far incidere al C. anzitutto l'allegoria del Furore (Bartsch, n. 58), poi le venti Divinità pagane entro nicchie (Bartsch, nn. 24-43), datate al 1526, le Fatiche d'Ercole, e la Disputa delle Muse e delle Pieridi (Bartsch, nn. 44-49, 53).
Sessantacinque sono le incisioni catalogate dal Bartsch dei periodi romano e veneziano (sessantanove secondo Le Blanc, che vi include alcune copie). Le incisioni del periodo romano, di cui alcune già lodate dal Vasari che le diceva "di bonissima mano", sono tratte da Raffaello, Giulio Romano, Perin del Vaga, Baccio Bandinelli, Rosso Fiorentino, Girolamo dei Libri (Madonna col Bimbo,s. Anna,s. Giacomo e s. Sebastiano; Bartsch, n. 7) e Parmigianino, per il cui Diogene (Bartsch, n. 61) il C., non immemore della silografia di Ugo da Carpi tratta dallo stesso modello, tenta una resa tridimensionale, servendosi del taglio girante poi ripreso da Claude Mellan. Ad esse vanno aggiunti un Cristo nel sepolcro, firm. "Joa-non-Jaco-po-Car-aglio", di proprietà del celebre collezionista P.-J. Mariette che lo ritenne un'esercitazione giovanile "assez mauvaise", e un Apollo che scortica Marsia con S. Pietro in Montorio nello sfondo, presumibilmente da disegno del Rosso Fiorentino (Petrucci, p. 96).
Agli anni veneziani sono ascrivibili due diligenti incisioni tratte da Tiziano, importanti soprattutto per essere le prime incisioni in rame da temi di Tiziano che fino ad allora aveva preferito la silografia: il Ritratto dell'Aretino in cornice ovale (Bartsch, n. 64), che testimonia i buoni rapporti intercorsi fra l'incisore e il letterato, e l'Annunciazione in una gloria di angeli (Bartsch, n. 3), che tramanda il ricordo del dipinto per S. Maria degli Angeli di Murano, menzionato in una lettera dell'Aretino del 1537 e disperso durante la Rivoluzione francese.
La fortuna delle incisioni del C., oltre che dal successo presso collezionisti a lui coevi come Anton Francesco Doni (possedette gli Amori degli dei: Bartsch, nn. 9-23; Petrucci, p. 200), è provata anche dal passaggio dei suoi rami ad editori romani per tirature posteriori (le Fatiche d'Ercole, tirate con l'excudit di Antonio Salamanca) e dai molti ritocchi e reincisioni a cui furono assoggettati per renderli ancora commerciabili: se la reincisione di Vulcano con Marte e Venere (Bartsch, n. 52) e della Disputa delle Muse e delle Pieridi (Bartsch, n. 53) curata da Enea Vico o i ritocchi alle Divinità entro nicchie ad opera di Francesco Villamena conservano ai rami una dignità d'arte, hanno invece soltanto intenti commerciali gli altri ritocchi come quelli di Michele Grechi Lucchese che ha aggiunto la sigla "M.L." e l'indicazione della paternità di Raffaello a Psiche portata nell'Olimpo da Mercurio (Bartsch, n. 50) e all'Assemblea degli dei (Bartsch, n. 54), che Vasari riteneva originariamente incisa da Agostino Veneziano in collaborazione con Marco Dente.
Numerose furono anche le copie, spesso in controparte: almeno tre volte furono copiate l'Adorazione deipastori dal Parmigianino (Bartsch, n. 4; la terza volta da Mauro Oddi) e le Divinità entro nicchie, già nel 1530 da Jacob Binck, prima della reincisione del Villamena, e contemporaneamente da Jacques Androuet du Cerceau che - dati i rapporti fra Roma e Parigi, fra gli artisti operanti a Roma e la scuola di Fontainebleau - copiò altre tre incisioni del C. (conservate a Parigi nella Biblioteca nazionale): fra queste un Davide uccide Golia il cui originale è ignoto ai repertori. Qualche copia si fregiò di nomi di editori illustri con un vasto giro di affari, come gli Amori di Marte e Venere, dal Rosso Fiorentino (Bartsch, n. 51), commissionati a un anonimo incisore da Antonio Lafréry a Roma, nel 1575; alla morte del Lafréry il rame passò a Paolo Graziani e a Pietro de Nobili. Altre incisioni del C. furono disinvoltamente riprodotte come la Piccola Sacra Famiglia detta Gonzaga (Bartsch, n. 5), limitata alle sole figure, da Cornelis Massys (Bianchi, p. 688 n. 250).
Attraverso il C., emigrato in Polonia prima del luglio 1539, si ebbe la diffusione nei paesi dell'Europa orientale del linguaggio incisorio del Raimondi e di alcuni incisori a lui coevi. In Polonia il C. giunse raccomandato forse da Pietro Aretino, il quale era in corrispondenza con Alessandro Passenti (Pesente), musico al servizio di Bona Sforza, moglie di Sigismondo I, al quale in una lettera, datata 17 luglio 1539, scrive l'Aretino: "Gian Iacopo Veronese, a voi cordiale servitore, e a me perfetto amico". Il 3 luglio 1545 il C. entrò al servizio del re Sigismondo I con lo stipendio annuale di 60 fiorini. Dopo la morte del sovrano, avvenuta nel 1548, l'artista rimase come "servitor regius" alla corte di Sigismondo II Augusto fino alla morte. Il 28 marzo 1552 ricevette ufficialmente la cittadinanza di Cracovia, nell'aprile dello stesso anno gli venne conferito dal Parlamento polacco (il Sejm), durante la seduta a Piotrków, il titolo di "eques aureatus" che lo introduceva nella nobiltà polacca; nell'occasione al vecchio stemma della famiglia Caraglio, che presentava sul fondo azzurro la fenice purpurea uscente dalle fiamme e mirante il sole, fu aggiunto il leone d'oro incoronato su sfondo rosso.
Si sposò con una Caterina di Cracovia e possedeva una casa nel paese di Czarna Wieś vicino alla capitale. Il 30 ag. 1552 ricevette 60 fiorini per un viaggio da Cracovia a Vilna in Lituania, seconda capitale del regno unito, dove si trasferì in quel tempo la corte reale, e dove lo stesso C. lavorò temporaneamente. Nei conti annuali della corte, all'inizio del 1553 viene menzionata la somma di 481 fiorini "pro viatico itineris in Italiam facti", che deve riferirsi ad un viaggio fatto nel corso dell'anno precedente, quasi sicuramente fra il maggio e l'agosto, come risulta dai dati sopramenzionati. Secondo il Vasari (p. 426) il C. "ha speso e rinvestito molti danari [guadagnati in Polonia] in sul Parmigiano, per ridursi in vecchiezza a godere la patria" ma dopo aver fatto testamento il 4 ag. 1565 (Salvaro, pp. 93-95) l'artista moriva a Cracovia il 26 ag. 1565. Venne sepolto nella chiesa dei carmelitani. Lasciava un figlio, Lodovico, ed una figlia illegittima, Caterina.
In Polonia il C. "ha atteso... non più alle stampe di rame, come cosa bassa; ma alle cose delle gioie, a lavorare d'incavo ed all'architettura" (Vasari, pp. 425 s.). Ma l'attività del C. architetto non è provata. Nella lettera già citata del 17 luglio 1539, l'Aretino ci fa sapere che l'artista gli aveva inviato due medaglie: una con il Ritratto della regina Bona, l'altra con quello del Passenti (esemplari di entrambi nel Münzkabinett degli Staatliche Museen di Berlino-Est, nel Museo civico di Padova e nel Civico Museo Correr di Venezia). Firmate dal C. ci sono conservate due gemme: una, con il Ritratto della regina Bona, del 1554, eseguita in calcedonio, ha una cornice a volute d'oro smaltata (New York, Metropolitan Museum of Art); l'altra, lunga cm 10, intagliata in cristallo parzialmente dorato, con l'Adorazione dei pastori (Parigi, Bibliothèque nationale, Cabinet des médailles), che si rifà chiaramente all'incisione dal Parmigianino (Zerner, III, tav. 221, nn. 8-9). Fece pure un cammeo con il Ritratto di Barbara Radziwiłł (Monaco di Baviera, Staatliche Münzsammlung), moglie di Sigismondo Augusto che, appassionato di oreficeria e gioielli, fu il suo committente principale. Si ritengono pure del C. due cammei con Busto del re Sigismondo Augusto (Leningrado, Ermitage; Berna, raccolta privata), un cristallo intagliato di forma ovale con Ritratto di Bona Sforza (Milano, Ambrosiana: vedi Kris), ed una medaglia con Busto di Sigismondo Augusto (Parigi, Musée numismatique; Leningrado, Ermitage). Tutti i lavori citati si distinguono per una grande maestria e finezza d'esecuzione. Si può anche supporre che fossero di mano del C. i medaglioni già nel tesoro della Corona nel castello di Wawel e andati perduti negli anni 1673-76; riccamente decorati con pietre preziose, rappresentavano per lo più scene della mitologia e della storia antica: Marco Curzio a cavallo che si precipita in un burrone,Muzio Scevola,Orfeo con gli animali,Marte e Venere con Cupido,Leda con il cigno, ed altre. Dai documenti si sa pure che il C. fece per il re nel gennaio 1551 una testa di vipera in oro, e negli anni 1552-53 uno scudo dorato, ornato di rosette d'oro e di una croce in smalto rosso, oltre a tre disegni di scudi d'argento con aquile in rilievo dorate, che furono eseguiti da altri orefici, fra i quali Gaspare da Castiglione, figlio dell'architetto Niccolò.
Fonti e Bibl.: Ricca bibl. in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 565 s.; ma v. anche: Varsavia, Arch. centr. dei docc. storici Metrica della Corona, n. 82, f. 222 s. v.; Cracovia, Arch. Czartoryski; Ibid., Bibl. dell'univ., ms. 5755, pp. 130-162; P. Aretino, Lettere sull'arte, a cura di E. Camesasca, I, Milano 1957, ad Indicem; G. Vasari, Le Vite…, a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, pp. 424-426; A. P. Giulianelli, Mem. degli intagliatori moderni in pietre dure,cammei,e gioje..., Livorno 1753, p. 39; A. Bartsch, Le peintre-graveur, XV, Vienne 1813, pp. 59-100; G. Bottari-S. Ticozzi, Lettere sulla pittura..., Milano 1822, V, pp. 251 s.; S. Ciampi, Not. di artisti ital. in Polonia..., Lucca 1830, p. 88; A. Zanetti, Cabinet Cicognara, Venezia 1837, pp. 357 s.; J. Labarte, Collection Debruge-Duménil, Paris 1847, p. 491 n. 415; P.J. Mariette, Abecedario, I, Paris 1851-1853, pp. 303 s.; Ch. Le Blanc, Manuel de l'amateur d'estampes, I, Paris 1854, p. 590; G. K. Nagler, Die Monogrammisten, I, München 1858 p. 679; A. Armand, Les médailleurs italiens..., I, Paris 1883, p. 154; H. Delaborde, Marc-Antoine Raimondi, Paris 1888, ad Indicem; L. Lepszy, Jakób C. w Polsce (I. C. in Polonia), in Sprawozdania Komisji Historii Sztuki (Rendiconti della Commissione di storia dell'arte), VI (1900), pp. LXXXI s.; Id., Sprawozdanie z Podróży po Niemczech i Włoszech w celu dalszych poszukiwań nad pracarni J. del C. (Relazioni dal viaggio in Germania e in Italia per ulter. ricerche sui lavori di I.C.), ibid., pp. CXXIII s.; M. Gumowski, Medale Jagiellonow (Medaglie degli Iagelloni), Kraków 1906, pp. 75, 81, A. M. Hind, A short History of Engraving and Etching, London 1908, p. 132; Zródła do historii sztuki i ciwilizacji w Polsce (Fonti per la storia dell'arte e della cultura in Polonia), a cura di A. Chmiel, Kraków 1911, I, pp. 25, 32, 33; Materiały do historii stosunków kulturalnych w XVI w. (Materiali per la storia dei rapporti culturali nel sec. XVI), a cura di S. Tomkowicz, Kraków 1915, pp. 16, 21, 29, 37, 152; V. G. Salvaro, G.I.C., Cenni bibliogr., in Madonna Verona, XI (1917), pp. 83-95; E. Kris, Di alcune opere ined. all'Ambrosiana, in Dedalo, IX (1928-29), pp. 387-90; M. Pittaluga, L'incisione ital. nel Cinquecento, Milano 1928, pp. 171-174, 200; E. Kris, Notes on Renaissance Cameos..., in Metropolitan Museum Studies, III (1930-31), pp. 2-6; Katalog wystawy dawnych rycin ze zbioru P.A.U: w Krakowie (Catalogo della Mostra di disegni antichi della coll. P.A.U. a Cracovia), Kraków 1931, p. 16; Parigi, Bibl. nationale, Département des estampes, Inventaire du Fond Française. Graveurs du XVIe siècle, Paris 1932, I, pp. 34 5.1 F. Mauroner, Le incisioni di Tiziano, Venezia 1941, pp. 22, 51, 67; P. Barocchi, Il Rosso Fiorentino, Roma 1950, ad Indicem; M. Calvesi, Note ai Carracci, in Commentari, VII (1956), pp. 269-275; M. Bonomi, Fonti iconografichedelle maioliche di F. Xanto Avelli,ibid., X (1959), p. 190; A. Petrucci, Panorama della incisioneitaliana. Il Cinquecento, Roma 1964, pp. 44 s., 96, 100; Cracovia Artificum 1551-1560, z. 1: 1551-1552, Wrocław 1966, pp. 147, 119; L. Bianchi La fortuna di Raffaello, in Raffaello. L'opera. Lefonti. La fortuna, Novara 1968, pp. 674, 677, 683, 686, 688; J. O. Kagan, Vnov' opredelennyeraboty,Dżana Jacopo Karal'o in Zapadno-evropejskoe iskusstwo. Sbornik statej (Precisazioni sulla attività di G.I.C. nell'arte occidentale europea. Raccolta di articoli), Leningrad 1970, pp. 44-50; H. Zerner. Sur G.J.C., in Actes du XXIIe Congrèsinternar. d'histoire de l'art (1969), Budapest 1972, I, pp. 691-695; III, tavv. 219-221 (lo stesso in Biuletyn historii sztuki, XXXIV 1197-21, nn. 3-4, pp. 295-300); Polski Słownik biograficzny (Dizion. biogr. polacco), III, 1937, ad vocem (F. Kopera); Słownik Artystów Polskich i Obcych w Polscedziałajacych (Dizion. degli artisti polacchi e stranieri che hanno svolto attività in Polonia), I, Wrocław 1971, ad vocem.