GUARNA, Giovanni
Nacque presumibilmente nel primo quarto del sec. XV, terzogenito di Nicola (Cola) Matteo, nobile salernitano di antica schiatta, procuratore e oratore del conte Sforza, e di una Angela di cui si ignora il casato.
Avviato alla carriera delle armi insieme col fratello maggiore Giacomaccio, che fu condottiero di fama, servì come soldato e familiare di Roberto Sanseverino conte di Marsico e Sanseverino, uno dei maggiori feudatari di Principato Citra, che diverrà, nel 1463, principe di Salerno. Da questo nel 1454 ricevette conferma del feudo di una "sturla" sita nei casali di Sanseverino, donata a suo padre da Tommaso Sanseverino, conte di Marsico, zio paterno del suddetto Roberto.
Scomparsi tra il '52 e il '54 il padre e il fratello, il G. ereditò anche gli altri beni di famiglia posti nel Regno: nel 1454 versava infatti alla Regia Tesoreria la somma di 35 ducati, 1 tarì e 15 grani per la tassa di successione del casale del Caracciolo, acquistato dal padre nel '31.
Allo scoppio della guerra di successione che seguì alla morte di Alfonso V d'Aragona, il G. tenne per la parte angioina, e corse a militare tra le schiere dei ribelli. Nel 1460 ricevette dal primogenito e luogotenente di Renato d'Angiò, Giovanni duca di Lorena - giunto nel Regno per rivendicare la corona sottratta al padre tre lustri innanzi da Alfonso V - tutti i beni mobili, stabili e feudali appartenenti al nobile cavaliere salernitano Troiano di Santomango, signore di San Vetriano e di molte altre terre site in Principato Citra, dichiarato ribelle per aver conservato la fedeltà al successore dell'Aragonese; nel 1461 Ferdinando I d'Aragona, re di Napoli, investì a sua volta il fedele Troiano del feudo del Caracciolo, strappandolo al G., luogo del resto già appartenuto, per donazione di re Ladislao d'Angiò Durazzo del 1395, al patrimonio della famiglia Santomango.
In questo periodo i rapporti tra il G. e il principe francese furono stretti, e fu proprio di ritorno da un incontro con il duca di Lorena che nel dicembre del '60 egli venne catturato con la sua compagnia a Mercato Sanseverino dal conte Roberto suo signore, tornato alla fedeltà di Ferdinando, e dal condottiero sforzesco Roberto Sanseverino, cugino del primo e nipote di Francesco Sforza; un atto che venne salutato dall'oratore milanese a Napoli, Antonio da Trezzo, come uno dei più salutari per il consolidamento dell'autorità del re Ferdinando in Principato Citra: "et credo che la cità de Salerno se redurrà alla fidelità del re molto più presto che non haria facto, perché […] dicto misser Johanne era capo de la factione angioyna in quella cità" (Senatore, p. 62); un passo che la dice lunga sull'influenza esercitata dal G. a Salerno.
Dopo averlo catturato, il conte di Sanseverino cercò di portare il G. alla fedeltà del re aragonese, ma quello restò fermo sulle sue posizioni. La prigionia tuttavia durò poco: il mese successivo alla cattura il G. riusciva a fuggire dal castello di Sanseverino. Questa evasione provocò una certa ansia alla corte del re Ferdinando, benché il fatto venisse minimizzato: si temeva che il G. potesse rafforzare la resistenza di Salerno, passata all'Angioino e stretta dalle forze aragonesi. In effetti il G., recatosi presso il duca di Lorena, brigò subito per convincere quest'ultimo a recarsi con l'esercito in contado di Sanseverino e sostenere così Salerno. Anche a Milano però la notizia della fuga del G. fece scalpore, e non furono pochi coloro che ne attribuirono la responsabilità al condottiero Roberto Sanseverino, amico del G. e della sua famiglia, oltre che suo commilitone (tra il 1457 e il 1459 il G. aveva militato nell'esercito sforzesco).
Nel luglio del '61 il G. si trovava ancora al seguito del principe angioino: se ne allontanò in novembre, assai deluso, a quel che sembra, del trattamento ricevuto, e voglioso di riacquistare la fiducia dell'Aragonese, come comunicava ad Antonio da Trezzo, forse nel tentativo di recuperare i beni aviti, devoluti, come si è detto, dal re al Santomango. Tornato a Salerno in dicembre, ne fu allontanato quasi subito a seguito di una sanguinosa disputa scoppiata con i membri della sua stessa fazione. Nel '62 era però nuovamente nella città natale, durante l'estrema resistenza di questa alle armi aragonesi, guidate dal conte di Sanseverino, che vi pose l'assedio dal giugno al settembre di quell'anno, e che riuscì a ottenerla a patti.
È dubbio se il G., deluso, come si è detto, del trattamento ricevuto dal duca di Lorena, lasciasse il Regno quell'anno stesso o se continuasse a militare tra le schiere filoangioine fino alla totale sconfitta del partito francese, avvenuta nel '64; certamente egli fu esule volontario, come ricorda Tommaso Guardati, suo intimo amico, nell'esordio della novella XLIII del Novellino, a lui dedicata.
Il G. riappare nel 1466 a Milano, presente al battesimo della figlia di Sforza Secondo Sforza, detto Sforzino, figlio illegittimo del duca Francesco, insieme con due altri "squadreri del Reame", come informa l'oratore mantovano Marsilio Andreasi.
Non è escluso che egli, già intrinseco della famiglia Sforza per antiche relazioni amicali e di compagnonaggio, ma anche per la lunga e delicata funzione svolta dal padre presso il duca Francesco, fosse giunto in Lombardia in cerca di un facile ingaggio: anche Sforza Secondo, di cui egli si mostrava intimo, esercitava infatti il mestiere delle armi; il fratello del G., inoltre, Giacomaccio, era stato uno dei principali condottieri sforzeschi e a Cremona, dove il fratello e il padre avevano preso dimora, viveva un suo nipote, Bernardo, anch'egli condottiero: l'opzione lombarda era dunque obbligata per l'esule Guarna.
Lo spirito intraprendente del G., tuttavia, che già aveva determinato il suo allontanamento dal Regno, lo portò a lasciare rapidamente anche il Ducato di Milano. Il periodo di residenza lombardo lo vide infatti implicato nel movimento di dissenso che coinvolse molti condottieri veterani all'indomani della morte di Francesco Sforza (8 marzo 1466). Fu lui infatti l'ispiratore della fuga dal Ducato di Sforza Secondo - entrato in conflitto con il fratellastro, e duca, Galeazzo Maria - avvenuta dopo quelle di due altri importanti condottieri, Donato de' Borri da Milano e Troilo di Muro da Rossano, nel gennaio del '67.
È probabile che il G., così come Sforza Secondo, avesse avuto informazione dei negoziati che proprio in quei giorni erano stati avviati tra la Serenissima e Alessandro Sforza, signore di Pesaro e zio dello Sforzino, in vista della stipula di un contratto di condotta: nel marzo di quell'anno i due si trovavano infatti a Venezia presso quel signore, che faceva loro dono di nuove armature, e apprestava i padiglioni per una campagna militare. In quei tempi Venezia si preparava a rompere la pace d'Italia sostenendo in segreto l'iniziativa, apparentemente autonoma, del suo capitano generale, Bartolomeo Colleoni, volta ad appoggiare l'azione dei fuorusciti fiorentini contro il regime mediceo: il G., spirito avventuroso, dovette vedere in quei fatti un'ottima possibilità di carriera per sé e per i suoi protettori, di qui l'invito a Sforza Secondo ad allontanarsi dal Ducato.
Insieme con Alessandro, il G. e Sforza Secondo, nella cui compagnia il primo militava, presero soldo dunque con Venezia, unendosi all'enorme esercito che il Colleoni in primavera mosse verso l'Italia centrale. Il duro scontro avvenuto il 23 luglio alla Riccardina presso Bologna tra il Colleoni e le forze della Lega, guidate da Federico da Montefeltro, che, pur non decisivo, pose tuttavia fine alle mire espansionistiche di Venezia e ai sogni di gloria del condottiero bergamasco, inibì anche i progetti del Guarna. Ferito nella battaglia, il G., coerente con le proprie scelte, non tornò però a Milano con Sforza Secondo, riconciliatosi già in settembre con il duca Galeazzo Maria, ma restò al soldo di Venezia. A questo punto perdiamo le sue tracce, giusta anche, presumibilmente, la relativa pace che regnò in Italia nel decennio 1468-78.
Egli dovette far parte tuttavia del contingente stanziato dalla Serenissima alle frontiere orientali del dominio di Terraferma contro le minacce provenienti dai territori imperiali e soprattutto dai Turchi, che tra gli anni Sessanta e Settanta, avendo conquistato Albania e Bosnia, si erano avvicinati ai domini veneti. Lo ritroviamo infatti l'ultima volta nel '77 tra i condottieri accorsi a contenere il dilagare delle milizie del Sangiaccato di Bosnia, entrate in Friuli dopo aver abbattuto la resistenza delle squadre di Girolamo Novello da Verona.
Il G. morì a Venezia in data imprecisata, e fu sepolto nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo. L'anno della sua morte non dev'essere distante comunque da quello della sua ultima apparizione in qualità di condottiero.
Nel protocollo di notar Giuliano Barbarito di Salerno, infatti, in data 26 dic. 1482, compare il testamento della nobile Covella Braida dei signori di Molicerno, sua vedova, con il quale ella lascia i propri beni alle figlie, Guarnia, Verità e Angela, e fa esecutori testamentari Giovanni Andrea Guarna e Nicola Capograsso suoi cognati, disponendo altresì di essere tumulata nella chiesa di S. Nicola nella cappella di famiglia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Tesoreria generale antica, 1, IV, Cedola di Perot Mecader, tesoriere generale del Regno per l'anno 1454; Arch. di Stato di Salerno, ms. in microfilm: Prignano, c. 370r; Napoli, Biblioteca della Società napoletana di storia patria, ms. III corr./V.a.4: Spigolature d'archivio sulla famiglia Guarna fatte dall'archeologo Luigi Staibano, passim; Dispacci sforzeschi da Napoli, IV, 1° gennaio - 26 dic. 1461, a cura di F. Storti, Salerno 1998, pp. 23, 26, 41 s., 67, 240, 361, 363, 403; Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca (1450-1500), III, 1461, a cura di I. Lazzarini, Roma 2000, pp. 85, 95, 113; VII, 1466-1467, a cura di F. Leverotti, ibid. 1999, pp. 98, 212, 258; F. Senatore, Il Principato di Salerno durante la guerra dei baroni (1460-1463), in Rassegna storica salernitana, n.s., XI (1994), pp. 62, 89 s., 92 s.; M.N. Covini, L'esercito del duca. Organizzazione militare e istituzioni al tempo degli Sforza (1450-1480), Roma 1998, p. 194; Enc. biografica e bibliografica "Italiana", C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, II, p. 56.