GREPPI, Giovanni
Nacque a Milano il 19 sett. 1884 da Donato e da Luisa Frizzi. Primo di nove figli, iniziò presto a collaborare con il padre, titolare di una piccola impresa artigianale specializzata nella lavorazione del ferro battuto. Nel 1905 si iscrisse al primo corso della scuola speciale di architettura della Reale Accademia di belle arti a Milano, dove il docente incaricato della cattedra in architettura era Camillo Boito.
Il padre avrebbe preferito che lui continuasse a lavorare nell'impresa di famiglia; fu la madre a incoraggiarlo nello studio, che lo condusse nel 1907 a ottenere la patente di professore di disegno architettonico. Contemporaneamente sviluppò una vera passione per la pittura, e in particolar modo per la tecnica dell'acquarello, che usò spesso per rappresentare i suoi progetti di architettura e, ancora di più, i suoi allestimenti scenografici. In questo periodo fu assunto come architetto nello studio di Raimondo D'Aronco, in coincidenza con il momento nel quale quest'ultimo abbandonava i temi ispirati all'art nouveau e al movimento della Secessione viennese, importanti riferimenti in molte delle sue realizzazioni, ritornando verso quell'accademismo di maniera caratteristico delle sue prime opere. In coincidenza con il lavoro presso lo studio, il G. partecipò a diversi concorsi di progettazione, vincendone, tra gli altri, uno bandito dal governo italiano il cui premio consisteva in una pensione annuale per soggiornare all'estero. Grazie a questo, dal 1908 al 1910 frequentò l'École des beaux-arts a Parigi.
I lunghi viaggi e i soggiorni all'estero rappresentarono la sua vera formazione. Visitò anche Costantinopoli; ma fu il soggiorno a Roma e lo studio dal vero dell'architettura romana antica a influenzarlo maggiormente. In questa vide un richiamo alla verità del costruire e alla necessità che l'edificio si caratterizzasse attraverso la sua funzione. L'unione di questi due concetti nel razionale disegno della pianta, che aveva acquisito dalla tradizione lombarda, è il tema delle sue architetture, nelle quali le ragioni estetiche e le esigenze funzionali dell'edificio trovano nel progetto una soluzione unitaria.
Nel 1911 espose alcuni acquarelli nella mostra promossa dall'Associazione degli acquarellisti lombardi presso il palazzo della Società per le belle arti a Milano, aggiudicandosi il primo premio. Da questo momento e fino al 1926, quando decise di dedicarsi completamente all'architettura e di considerare la pittura esclusivamente come una passione personale, fu tra i protagonisti delle stagioni pittoriche milanesi.
Nel 1914 sposò Rosa Labus, nipote dello scultore Giovanni Labus e pronipote dell'omonimo epigrafista e archeologo, dalla quale ebbe una figlia, Giulia Rosa, nata il 12 dic. 1915.
La villa Greppi-Frizzi, progettata nel 1914 per i genitori a Varenna, sul lago di Como, è la sua prima opera costruita.
La razionalità della pianta trova configurazione in un volume leggermente articolato. Nel prospetto principale un bow-window al primo livello sulla sinistra è visivamente bilanciato da una grande finestra nel lato destro che, disegnata attraverso tre grandi archi in pietra, gira sull'angolo.
Con l'entrata in guerra dell'Italia contro l'Austria-Ungheria nel 1915 fu nominato sottotenente del genio militare e subito incaricato di realizzare delle acqueforti, poi riunite nel volume L'industria italiana per la guerra 1915-18 (Milano 1926), il ricavato delle quali servì a finanziare le scuole di educazione professionale istituite durante la guerra. Nel 1918 ricevette l'importante incarico di realizzare l'acquaforte con il Bollettino della vittoria di A. Diaz.
L'acquaforte fu un mezzo espressivo che lo affascinò per tutta la vita. Ogni anno, in corrispondenza delle feste natalizie, ne realizzava una che faceva stampare in numero corrispondente ai suoi amici, ai quali le inviava come messaggio di auguri. Conservò questa abitudine realizzando nel tempo una collezione comprendente oltre sessanta opere.
Subito dopo la fine della guerra riprese a Milano la sua attività di architetto con alcuni interventi di edilizia residenziale in piazza Piemonte e con la casa Collini in via Statuto, dove la sua ricercata essenzialità trovò felice compimento.
La sua attività come scenografo ebbe inizio, in un primo tempo, in collaborazione con Ettore Fagiuoli. Nel 1919 curarono insieme l'allestimento per la rappresentazione, all'Arena di Verona, dell'Aida, mentre nelle estati del 1920-21 il G. lavorò individualmente ad alcuni allestimenti scenici per rappresentazioni che ebbero luogo alla Scala di Milano (comunicazione di Giulia Rosa Greppi in Riva).
Nel 1923 fu membro della commissione ordinatrice della prima Mostra biennale internazionale delle arti decorative allestita nella villa reale di Monza; in seguito, con l'incarico di consigliere artistico, partecipò alla seconda Biennale del 1925 e alla terza del 1927. In questi anni lavorò alla realizzazione di una serie di ville in Val Vigezzo, principalmente tra Craveggia e Vocogno, per una committenza costituita, nella maggior parte dei casi, da suoi amici. Tra queste costruì anche la propria a Craveggia, che usò spesso come rifugio dove dedicarsi alla pittura. Uno degli acquarelli risalenti a questo periodo, intitolato Val Vigezzo, fa parte della collezione della Galleria nazionale d'arte moderna di Roma (attualmente in prestito presso il ministero della Pubblica Istruzione).
Nel 1926 il Comune di Como lo incaricò della progettazione dello stadio intitolato a Giuseppe Sinigaglia che però, dopo pochi anni dall'ultimazione dei lavori, fu profondamente modificato, su progetto di Gianni Mantero, per inserire nell'edificio la nuova Casa dei balilla. Contemporaneamente partecipò al concorso per il piano regolatore di Milano, con una soluzione nella quale l'espansione della città era misurata attraverso una maglia rettangolare interrotta da collegamenti radiali che univano le otto principali zone esterne con il centro.
Iniziò in questo periodo il suo lavoro più importante, che lo occupò dal 1925 al 1938 e che rappresentò una fondamentale esperienza nella sua attività professionale. Ricevette l'incarico di progettare l'intero insediamento del villaggio industriale di Dalmine, in provincia di Bergamo, che consisteva, di fatto, in un piano urbanistico per un piccolo centro urbano da costruire nelle vicinanze degli stabilimenti industriali.
Nella realizzazione il G. affrontò tutti i passaggi relativi alle diverse scale dell'intervento, che comprendeva residenze per gli operai, una chiesa, spazi ricreativi e per l'istruzione, strutture per le funzioni amministrative e per il commercio. Il complesso, concepito in armonia con il paesaggio circostante, ha un carattere unitario vagamente pittoresco che non degenera, però, nell'evocazione folcloristica o nella nostalgia archeologica. Negli edifici la simmetria ordina i volumi che disegnano prospetti articolati, e la volontaria essenzialità è interrotta dalle soluzioni decorative nell'asilo e nella chiesa parrocchiale. Nei particolari interni di questa, poi, si nota la perizia con la quale il G. seppe lavorare il ferro battuto, capacità acquisita durante gli anni nei quali aveva collaborato con il padre. Il padiglione per la mostra dei prodotti è un'opera a parte, risolta con la grande vetrata, in pianta mistilinea, compressa tra due sottili fasce di muratura.
Il suo rapporto con il fascismo fu espressione di un volontario distacco. Non aderì al regime ma non si oppose a esso, convinto che l'arte fosse al di sopra delle ragioni umane e che l'artista non dovesse lasciarsi coinvolgere in questioni politiche.
Due opere raffinate, e tra loro molto differenti, di questi anni furono il padiglione dell'Irpinia alla fiera campionaria di Milano del 1927 e la centrale elettrica del Piottino a Lavorgo, nel Canton Ticino, del 1930.
Se nella prima a una pianta geometricamente complessa corrisponde in alzato un'intersezione di volumi che trova conclusione nel grande lucernario a gradoni della copertura, la centrale elettrica è un parallelepipedo omogeneo coperto a falde, misurato sui lati da una serie continua di alte e strette vetrate che, nella parte centrale, si differenziano dalle altre nella larghezza.
A queste realizzazioni, espressioni di un compiuto punto di arrivo nella sua ricerca, corrisposero altre di carattere involutivo, nelle quali il G. cercò una sintesi tra i risultati raggiunti e il decorativismo a lui contemporaneo. Appartengono a questo secondo gruppo la casa Piazza-Valesi in via Goldoni a Milano e la casa Facetti-Suitermaister in via Poerio, sempre a Milano, nel cui prospetto sono debolmente riproposte le soluzioni adottate nella casa Collini.
La nuova sede centrale della Banca popolare di Milano in piazza Crispi, inaugurata nel dicembre del 1931, fu comunque l'espressione più compiuta di questa ricercata sintesi.
Tra i molti istituti bancari costruiti in questi anni il modello di riferimento è spesso il palazzo municipale o il palazzo signorile. Il G. cercò invece di realizzare un edificio che fosse capace di esprimere la monumentalità del tipo edilizio senza rinunciare a renderne chiara la funzione. Nel prospetto principale a un basamento continuo è sovrapposto un ordine gigante che definisce nove campi verticali, con il centrale e i due laterali più grandi degli altri. La facciata si conclude in alto con un grande timpano privo di ornamenti. Gli ambienti interni sono studiati seguendo le esigenze delle funzioni a essi collegate; e ogni particolare, dalle inferriate ai mobili, ai banchi del cambio, alla camera del tesoro e alla sala di riunione del consiglio, è stato progettato dallo stesso Greppi. Il salone centrale, in corrispondenza del cortile dell'edificio, è coperto da una grande cupola su costoloni che consente alla luce naturale di entrare all'interno.
Forte dell'esperienza acquisita attraverso la costruzione di quest'opera, vinse il concorso per la nuova sede della Cassa di risparmio in via Verdi, sempre a Milano, nella realizzazione della quale fu affiancato da Giovanni Muzio. Quest'ultimo era allora il massimo esponente riconosciuto del movimento "Novecento architettonico", principalmente milanese e di cui fece parte lo stesso G., che si opponeva all'internazionalismo propugnando un richiamo all'ordine nel nome della tradizione classica.
Tra il 1932 e il 1935 il G. realizzò il sacrario militare del monte Grappa, al quale seguirono poi i progetti di altri ossari a Pian di Salisei, Timau, Caporetto e San Candido. La più conosciuta tra queste realizzazioni è quella del sacrario di Redipuglia del 1938.
L'opera si trova sulle pendici del monte Sei Busi, dove avvennero molte battaglie durante la prima fase della prima guerra mondiale, ed è il più grande sacrario militare italiano. Una strada, con ai lati lapidi di bronzo che riportano i nomi dei luoghi dove combatté la 3ª armata, conduce a una grande scalinata di ventidue gradoni. Qui sono disposte le salme dei 39.857 caduti i cui nomi sono ricordati su targhe di bronzo dominate dalla parola "presente", mentre nell'ultimo gradone riposano le salme di 60.330 caduti ignoti, in due grandi tombe comuni, ai lati della cappella votiva e vicino alle tre croci luminose. La struttura evoca nella sua pulita essenzialità uno schieramento militare disposto in maniera ascendente, con alla base la tomba del duca d'Aosta, comandante della 3ª armata, e ai lati quelle dei suoi generali.
Con la seconda guerra mondiale l'attività professionale del G. si ridusse in maniera considerevole ed egli trascorse sempre più tempo nella casa in Val Vigezzo.
Negli anni del dopoguerra ricevette numerosi incarichi di progettazione. Tra il 1950 e il 1960 realizzò ventuno sedi della Banca popolare di Novara, tra le quali anche la sede centrale, che rappresentò un saggio dell'esperienza acquisita in oltre quaranta anni di attività.
Nella primavera del 1959 restò vittima di un grave incidente stradale in seguito al quale morì un anno dopo, a Milano, il 12 apr. 1960.
Fonti e Bibl.: Comunicazioni orali gentilmente fornite dalla signora Giulia Rosa Greppi in Riva; G. G., prefazione di R. Calzini, Genève 1932; S.A. Stabilimenti Dalmine, La Dalmine durante i cinquant'anni, Dalmine 1956; M. Grandi - A. Pracchi, Milano. Guida all'architettura moderna, Bologna 1984, ad indicem.