GIUSTINIAN (Giustiniani, Giustiniano), Giovanni
Nacque a Creta, probabilmente nella città di Candia (od. Hiraklion), intorno al 1501, come si rileva da una lettera inviatagli da Lorenzo Contarini nel settembre 1552, in cui è definito "quinquagenario maior" (Ioannis Iustiniani Cretensis Epistolae, p. 156). Riguardo alle sue origini (qualificate nobili dall'Aretino in una lettera a Luigi Alamanni), gli fu padre Nicolò di Bernardo "capitano in Candia", mentre della madre non si hanno notizie.
A dieci anni il G. si trovava già in Spagna, dove rimase per quasi un ventennio; non trova invece conferma l'ipotesi di un successivo soggiorno in Francia, cui allude un brano del Ragionamento delle corti di Pietro Aretino. Negli anni spagnoli entrò in contatto con J.L. Vives ("magna mihi olim amicitia familiaritateque coniunctus", Ioannis… Epistolae, p. 180) e con ogni probabilità è lui il Juan Justiniano che firmò nel 1528 la traduzione spagnola del De institutione foeminae Christianae del Vives (uscito ad Anversa nel 1524): nella lettera di dedica, intestata a Germana di Foix regina d'Aragona (seconda moglie di Ferdinando il Cattolico), palesa l'intenzione, rimasta senza seguito, di tradurre l'opera anche in italiano.
Il G. passò in Italia intorno al 1530 e intraprese l'attività di maestro di grammatica, condotta ininterrottamente negli anni successivi. Tra l'estate e l'autunno del 1533 indirizzò a Pietro Aretino due lettere, che si deducono interne a un commercio epistolare già ben avviato: nelle missive il G. si dichiara in cattive condizioni economiche, firmandosi "Giustiniano il povero" e chiedendo, alla fine di ottobre, "un honore de pochi denari". Sempre all'Aretino il G. si rivolse per ottenere facilitazioni nel contattare familiari rimasti a Candia; le medesime lettere palesano contatti con B. Agnello, ambasciatore di Mantova a Venezia, e intimità con P.P. Vergerio. Doveva anche essere lettore di manoscritti aretiniani, giacché scrive di attendere dall'Aretino le "stanze promisse", forse riferimento al terzo canto della Marfisa, andato a stampa nel 1535.
In questi anni, probabilmente fino al 1537, il G. visse a Capodistria, lavorando alla traduzione delle commedie di Terenzio in endecasillabi sdruccioli. Secondo la testimonianza di N. Franco si giovò di ripetuti consulti con vari studiosi e sodali (da G.B. Cipelli Egnazio a F. Spira, ad A. Bevazzano, fino allo stesso P. Bembo) e l'opera poteva dirsi comunque già conclusa alla metà del 1537 (una redazione di tutte le traduzioni terenziane è stata rinvenuta nel ms. Additional 41195 della British Library con una dedica a Margherita di Valois "sorella unica del […] re Enrico III", tuttavia molto più tarda, del 25 ott. 1549).
Nel 1537 il G. passò a Venezia, in stretto contatto con il circolo aretiniano: lo confermano, indirettamente, le quattro missive che ricevette da N. Franco nel giro di un anno e mezzo. Nella prima, del 4 giugno 1537, si fa menzione della traduzione terenziana, segnalando come il G. avesse emendato Terenzio dagli errori che caratterizzavano il precedente volgarizzamento, di autore anonimo ma stampato per la prima volta da Giacomo da Borgofranco a Venezia nel 1533. Nella seconda lettera il Franco, al quale si devono anche osservazioni sulla posizione del G. non allineato alla norma linguistica e grammaticale sancita dal Bembo nelle Prose, elogia la traduzione, eseguita dal G., della Philippica seconda di Cicerone (Venezia 1538) già terminata nel dicembre 1537. Appunto la traduzione ciceroniana denuncia l'avvio del prolungato rapporto del G. con Georges d'Armagnac (1500-85), vescovo di Rodez e oratore di Francesco I a Venezia, poi cardinale sotto Paolo III nel 1544. Nel dedicargli la Philippica il G. ricordò la "candidissima censura" cui l'Armagnac medesimo aveva sottoposto le commedie di Terenzio, decidendo poi di farle "in bellissima lettra descrivere per degnarle de la presenza del Christianissimo Re" Francesco I (c. Aiiv).
I rapporti con l'Aretino dovettero nel frattempo rinsaldarsi, sia per l'interesse che destavano le idee erasmiane e vivesiane, di cui il G. era portatore, sia per l'utilità delle sue versioni dei classici (il Terenzio volgare, ancora manoscritto, è stato ritenuto da Cairns, pp. 164 s., non estraneo all'elaborazione della Talanta e dell'Ipocrito aretiniani). Il punto culminante di questa vicinanza è rappresentato dall'inserimento del G. quale figura centrale nella seconda parte del Ragionamento delle corti composto dall'Aretino nel 1538: si è ritenuto che il G. andasse a sostituire nell'opera la figura di N. Franco, con cui l'Aretino era giunto in quei mesi a rottura polemica.
Sempre nel 1538, il G. si sposò con una non meglio nota Lucrezia. Nel corso del 1539 rese visita a Paolo Giovio di passaggio a Venezia. Da Montagnana, presso Venezia, al principio del 1540, inviò all'Aretino, per il tramite del nipote Iacopo Costantino, il manoscritto di una commedia da lui composta chiedendo, oltre che un parere, l'intervento presso F. Marcolini o altro editore veneziano per un'elegante edizione in quarto. Un'analoga richiesta dovette forse riguardare, nel 1538, anche la Philippica: nel Ragionamento aretiniano essa rappresenta infatti lo spunto per l'ingresso in scena del personaggio del Giustinian. Le commedie del G., tuttora irreperibili, per la cui pubblicazione egli affermò di aver interessato anche P. Giovio e A. Bagarotto, avrebbero raggiunto addirittura dodicimila versi.
In questi anni il G. tradusse i libri VII-XII dell'Eneide, riportati in verso sciolto: l'unica parte edita è Il libro ottavo de la Eneide (Venezia 1542), con dedica a Francesco I. Nella prima parte del 1542 l'Armagnac, presso la regina di Navarra, e l'Aretino, per il tramite di L. Alamanni, tentarono di guadagnare protezione e supporto al G. presso la corte francese (una rievocazione di questi tentativi si trova in Ioannis… Epistolae, pp. 41-48). Nella dedicatoria del 25 luglio 1542 il G. menzionò, oltre all'apprezzamento dell'Alamanni medesimo per la versione di Virgilio, un proprio lavoro di traduzione da Orazio, di cui però non abbiamo altre notizie.
Nel 1544, con dedica questa volta all'Armagnac, uscirono a Venezia due delle sei commedie terenziane, l'Andria e l'Eunuco: operazione cui il G. si dichiarò costretto dal rischio che altri pubblicasse malamente i suoi lavori che, dopo essere stati consegnati all'Armagnac, circolavano manoscritti. Dopo un nuovo passaggio a Venezia nel 1544, l'anno successivo il G. si trasferì a Padova, probabilmente per ragioni economiche. Appunto da Padova, in novembre, informava l'Armagnac a Ferrara di lavorare a una traduzione italiana di Svetonio, da dedicare ancora a Francesco I e, in collaborazione con G. de Montluc, alla versione del De veritate fidei del Vives, destinata a Margherita d'Angoulême, regina di Navarra. Mentre da una lettera del Bembo del 21 febbr. 1545 si deduce un'offerta del G. di un libro per la biblioteca del papa, a partire dal 1546 fino al 1549, il G. fece da precettore, in casa propria, a Manfredo dei conti di San Bonifacio, cui dedicò il volgarizzamento della ciceroniana Divinatio in C. Verrem (Padova 1549): dalla dedicatoria del 1° gennaio di quell'anno si deduce che esercitava l'insegnamento di base e che i suoi allievi passavano poi alle lezioni del celebre Lazzaro Bonamico.
Un sonetto del G. ("Quel, ch'a triomfi et ad imperi nacque") fu inserito nell'antologia di rime edita da G. Giolito nel 1547; nel 1549 propose a P. Manuzio un'edizione dei volgarizzamenti terenziani presso la tipografia aldina, interessando anche l'Armagnac al progetto. Da una lettera di risposta del Manuzio del 3 nov. 1550 si apprende che il G. aveva da poco intrapreso, sempre a Padova, studi giuridici, probabilmente tentando per questa via di risollevare le sue cattive condizioni economiche. Ancora in varia misura collegati all'insegnamento - all'offerta di modelli per i propri allievi - risultano tuttavia una serie di operette edite al principio degli anni Cinquanta, poi accorpate nell'edizione di Basilea del 1554 delle Epistolae: il Brevis commentariolus memorabili facti serenissimi principis Maximiliani Bohemiae regis (Padova 1550), resoconto di un'avventurosa vicenda occorsa a Massimiliano d'Asburgo, che il G. dedicò a Matteo Acquaviva figlio del duca d'Atri; l'Epistola expostulatoria iocosa, indirizzata a L. Bonamico e già pubblicata anonima sempre a Padova nel 1552, che si intratteneva ai limiti dell'irriverenza sulla scarsa produzione letteraria del maestro dello Studio padovano; un discorso intorno a s. Niccolò di Smirne (Venezia 1553), dedicato a Livio Pocodataro, zio di Gian Paolo, allievo del G. prematuramente scomparso. Nel 1552, intanto, il G. aveva deciso di rifiutare una cattedra offertagli dalla Comunità di Nicosia, mansione che avrebbe probabilmente reso più agiati i suoi ultimi anni, trascorsi invece in miseria. Nel giugno 1553, in una lettera a G. de La Haye, il G. dichiarò di attendere ancora alla traduzione del De veritate fidei del Vives: avviata proprio su richiesta del La Haye, funzionario imperiale a Venezia, la traduzione era compiuta per i libri in forma di trattato (I, II e V) e il G. dichiarò di avere già stilato anche una lettera prefatoria. Mentre si trovava ancora a Padova, pubblicò un Panegyrico per Cosimo I de' Medici e una declamazione, la Risposta di Carmide Atheniese a Tito Quinto Fulvio di Boccaccio, replica oratoria e magniloquente a un discorso tenuto dal personaggio di Decameron X, 8.
Nel 1554 uscirono le Epistolae familiares, scholasticae sive morales, declamatoriae presso quel Johan Herbster (Ioannes Oporinus), cui il G. tributò stima e amicizia nella lettera premessa alla raccolta (del luglio del 1553). Stretto per il tramite dichiarato di M. Gribaldi, docente a Padova dal 1548 al 1553 e di lì allontanatosi per sospetto di eresia, il rapporto con uno stampatore come l'Oporino, vicino ad ambienti riformati, era in linea con la dipendenza del G. da Erasmo e da Vives, evidente soprattutto nelle epistole scolastiche. Nella sezione delle familiares si leggono lettere, oltre che all'Armagnac, a P. Giovio e a P. Manuzio; nelle declamatoriae furono inserite due lettere di Lorenzo Contarini e M.A. Pisaura sull'eventuale trasferimento del G. a Cipro. Furono eliminati all'ultimo momento dalla stampa basileana altri due scritti di cui ci rimangono solo i titoli: una Apologia, forse riparatoria, e comunque connessa all'epistola al Bonamico, e una Declamatio ex persona Nestoris ad Achillem placandum.
Nel maggio 1555 il G. spedì da Padova una lettera ad A.F. Modrzewski, scrittore della corte polacca di Sigismondo II Augusto: per il tramite dell'Oporino, del quale era divenuto una sorta di consulente, il G. aveva letto il De republica emendanda del Modrzewski, che, dopo la prima stampa a Cracovia nel 1551, era uscito nel 1554 in latino appunto presso l'editore di Basilea (sarebbe poi stato inserito nell'Indice romano del 1559). Il G. apprezzò largamente l'opera e ne meditò tanto una versione complessiva in spagnolo quanto una traduzione in italiano: nel maggio dello stesso 1559 aveva già tradotto in spagnolo il terzo libro (De bello), quello meno rischioso dottrinariamente, modificando l'impianto del Modrzewski che invocava accordi e pacificazioni europee sotto l'auspicio di una guerra contro gli infedeli. Era dedicato a Massimiliano d'Asburgo, futuro imperatore, secondo di questo nome, anche se nel contempo il G. manifestò l'intenzione di inviare una copia della sua versione al re d'Inghilterra: del testo si conoscono due testimoni cinquecenteschi, il ms. Pal. Vindob. 2641 della Österreichische Nationalbibliothek di Vienna (con data 21 ag. 1555) e il ms. 296 della Lambeth Palace Library di Londra, con una lettera del 25 giugno 1555 indirizzata allo stesso Massimiliano.
Dal 1556 il G. era di nuovo a Capodistria, da dove scrisse nel maggio a Bartolomeo Canato una lettera celebrata per eleganza ed equilibrio, e ammessa, a partire dall'antologia di Lettere di diversi autori eccellenti curata da G. Ruscelli quello stesso anno, in numerose raccolte epistolari.
A Capodistria il G. morì probabilmente all'inizio del 1557 (Ziliotto, p. 103 nota).
Di molti suoi lavori possediamo soltanto notizia: oltre alle traduzioni oraziane, cui il G. stesso accenna, di una inverosimile traduzione in versi sdruccioli della Polianthea di D. Nani Mirabelli parla A.F. Doni in una sua lettera a Francesco Reveslà del marzo 1547; secondo F. Bussi (Viterbo, Bibl. comunale degli Ardenti, Mss., II.C.IV.20, c. 261) epistole latine del G. sarebbero comprese in una non precisata antologia epistolare curata da G. Ruscelli insieme con missive del cardinal Bessarione, I. Sadoleto, G. Contarini; infine Marco Mantova Benavides, nella lettera premessa alla Risposta di Carmide Atheniese (c. Aivr), fa riferimento alla redazione da parte del G. di "commenti spagnuoli sovra le canzoni del Petrarca".
Opere. Libro llamado instruction de muger christiana, traduzido aora nuevamente de latin en romance por Juan Justiniano, Valencia, por Jorge Costilla, 1528; Philippica seconda di Marco Tullio Cicerone tradotta in volgare per G. Giustiniano, Venetia, Venturino de' Roffinelli, 1538; Il libro ottavo de la Eneide di Vergilio, ibid., G.A. e P. Nicolini da Sabbio, 1542; L'Andria, et l'Eunucho di Terentio tradotte in verso sdrucciolo per messer Gio. Giustiniano di Candia, ibid., Francesco d'Asola, 1544; Rime di diversi nobili huomini et eccellenti poeti nella lingua toschana, ibid., G. Giolito, 1547, c. 164v; La divinatione di Marco Tullio Cicerone contra C. Verre tradotta in volgare per Giovanni Giustiniano, Padova, G. Fabriano, 1549; Libro primo delle rime spirituali, Venetia, al segno della Speranza, 1550; Brevis commentariolus memorabilis facti serenissimi principis Maximiliani Bohemiae regis, Patavii, G. Fabriano, 1550; Ad Lazarum Bonamicum epistola expostulatoria iocosa incerti authoris, [ibid.] 1552; De divo Nicolao Smirne pontifice Io. Iustiniani sermo, Venetiis, ad signum Spei, 1552; Lettere scritte al signor Pietro Aretino, Venezia, per Francesco Marcolini, 1552, pp. 149-153 (ed. anast. a cura di G. Floris - L. Mulas, Roma 1997); Risposta di Carmide Atheniese a Tito Quinto Fulvio di Boccaccio (Declamatione di Carmide Atheniese padre di Sophronia: ove si risponde a T.Q. Fulvio romano), Padova, G.B. Amico, 1553; Ioannis Iustiniani Cretensis Epistolae familiares, scholasticae sive morales, declamatoriae, Basileae, per Ioannem Oporinum, 1554; Lettere di diversi autori eccellenti, Venezia, appresso Giordano Ziletti all'insegna della Stella, 1556, pp. 791-796; Andreae Fricii Modrevii, Opera omnia, a cura di C. Kumanieki, Warszawa 1953, pp. 228-284, 557-561, 565-567.
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