GIULIANI, Giovanni
Originario di Lucca, discendeva con ogni probabilità da una famiglia di notai e mercanti i cui membri avevano più volte ricoperto la carica di anziano nel corso del XV e del XVI secolo. Non si conosce nulla di lui prima del 1624, quando venne scelto per recarsi in Crimea come missionario della neonata congregazione di Propaganda Fide, insieme con tre frati domenicani: Emidio Portelli da Ascoli, Arcangelo Capriata e Innocenzo Felici. In quel momento il G. si trovava nel convento di S. Domenico Maggiore a Napoli come fratello laico, converso del padre generale Serafino Secchi, e si era segnalato soprattutto per la sua profonda conoscenza del latino. Forse per questo era stato inserito nella missione, sollecitata dalla Congregazione domenicana d'Oriente e finanziata con i proventi di alcune proprietà siciliane dell'Ordine.
Nel 1475 Maometto II aveva deportato a Costantinopoli i genovesi di Caffa (l'odierna Feodosia, in Crimea) e disperso quelli delle altre colonie in Levante; di quei cristiani si era persa ogni traccia fino a quando Martin Broniewski, ambasciatore di Stefano Bathory in Crimea nel 1577, nella sua Tartariae descriptio (Coloniae 1596, p. 9) aveva testimoniato della presenza di numerosi discendenti degli antichi genovesi, che avevano perso la libertà e la lingua ma non la fede e che, al momento della sua ambasceria, erano assistiti da un frate francescano, Ercole Maggi da Otranto, che essi stessi avevano comperato al mercato degli schiavi.
Le notizie portate dal Broniewski avevano messo in moto l'Ordine dei predicatori, che a Caffa aveva posseduto una chiesa e un convento, e l'iniziativa di una missione era stata prontamente sostenuta dalla congregazione di Propaganda Fide. La missione avrebbe avuto più scopi: l'identificazione e il recupero dei cristiani dispersi; la cura pastorale dei tartari cattolici e dei numerosi mercanti italiani che viaggiavano in quelle terre; il riscatto dei molti schiavi cristiani, per lo più sudditi polacchi, detenuti dai musulmani; infine, la riunione con Roma della Chiesa armena, decisa ma non attuata dal concilio di Firenze.
Per il G. si trattò di un'esperienza decisiva, come appare dal vivacissimo resoconto che stese al suo rientro, nel 1633: la Relazione fatta da me fra Giovanni di Lucca domenicano missionario a' Tartari, Circassi, Abbazza e Mengrilli (Roma, Arch. della Sacra Congregazione di Propaganda Fide, Miscellanea diversa, 22, cc. 270r-282r), ampiamente diffusa manoscritta e a stampa, a partire dall'edizione, assai scorretta, di Melchisedec Thevenot (Relations de divers voyages curieux, qui n'ont point esté publiés, I, Paris 1663). Di fatto, tutto il resto della sua vita, per quanto ne conosciamo, ruoterà intorno alla missione di Crimea e del Caucaso, dove egli tornerà più volte, per diverse strade e sempre fortunosamente, fino al 1646, ultima data nota della sua vita.
Il G. ed Emidio d'Ascoli, poi nominato prefetto della missione, arrivavano a Costantinopoli nell'aprile del 1625 (gli altri confratelli li raggiunsero solo alla fine dell'anno) e quattro mesi più tardi a Caffa, dove trovarono sistemazione nella chiesa di S. Pietro, acquistata nel 1580 dalla Chiesa armena. Con i sacerdoti armeni i domenicani instaurarono immediatamente rapporti di amichevole collaborazione, dividendo con essi l'uso della chiesa e ricevendone consigli preziosi, primo fra tutti quello di spogliarsi del proprio abito e vestire piuttosto il loro. Così mimetizzati, ma forti anche dei privilegi ricevuti nel frattempo dal khan, Emidio e il G. iniziarono a prendersi cura della piccola comunità di schiavi cattolici della città, studiarono la lingua e si dedicarono a esplorare la regione alla ricerca degli altri cattolici che si diceva vivessero lì. A Fot-Salà, lungo il fiume Belbek, trovarono un consistente gruppo di circassi cattolici, un centinaio di anime che si definivano "franchi" e "dicono essere di sangue genovese, come ne conservano sino adhora la casata come Doria, Spinola, Marini, Giustiniani, Grimaldi e simili" (Relazione, c. 270v), che conoscevano a memoria il Pater noster e l'Ave Maria ma parlavano solo la lingua locale. Il lavoro da fare appariva molto e padre Emidio chiese alla congregazione l'autorizzazione a concedere al G., che da alcuni mesi risiedeva da solo a Fot-Salà, i voti e l'ordinazione sacerdotale; per motivi pratici suggeriva addirittura "se fosse possibile che l'ordinasse monsignore reverendissimo vescovo degl'Armeni, cum recte sentiat cum Ecclesia Catholica" (Prima relazione del p. Emidio Portelli, Roma, Arch. della Sacra Congregazione di Propaganda Fide, Scritture originali riferite nelle congregazioni generali, 209, c. 528v). Al contrario, il G. fu richiamato in Italia. Dopo un lungo viaggio da Costantinopoli a Marsiglia e a Livorno, il G. arrivò a Roma, il 15 nov. 1626 pronunciò i voti e fu ordinato sacerdote; avrebbe però potuto officiare soltanto "in Grecia, Thracia, Tartaria, Circassia, Mengrelia et ceteris orientalibus provinciis", dove si impegnava a risiedere per dieci anni (Roma, Arch. generale dell'Ordine dei predicatori, VI, 64, Missiones, c. 288v).
Rientrato nella sua terra di missione, il G. si dedicò alacremente a insegnare non solo il catechismo ma anche l'italiano e il latino; soprattutto, amministrava con zelo i sacramenti, celebrando un gran numero di matrimoni e di battesimi, a suo dire più di un migliaio nel corso degli otto anni circa della missione. Particolarmente interessante, soprattutto se confrontata alla realtà europea travagliata dagli scontri per divergenze confessionali, è ciò che il G. dice dei rapporti con le altre confessioni cristiane, gli armeni e i greco-ortodossi. Mentre con i primi le relazioni erano amichevoli e produttive a tutti i livelli, quelle con la gerarchia della Chiesa ortodossa rimanevano scarse e formali; i fedeli, invece, accoglievano di buon grado i frati domenicani: "molte volte ci chiamano che li ministriamo i sacramenti, perché i padri greci per tali funtioni si fanno pagare, et questi per essere poveri, e non havere che darli, chiamano à noi, poiché sanno che non pigliamo niente, come ho fatto io a molti, facendoli fare la professione della fede, et promettermi con giuramento che sariano stati obedienti alla Chiesa cattolica Romana, et così li sposava, et li insegnava ministrandoli i sacramenti senza nessuno interesse" (Relazione, c. 271r).
Sostituito nell'aprile 1629 da Innocenzo da Malta, il G. lasciò Fot-Salà e, dopo una breve sosta a Caffa, intraprese insieme con il padre Costanzo, pure lui lucchese, un lungo viaggio. Travestito da mercante e forte delle acquisite conoscenze linguistiche, il G. si recò in Circassia, Abchazia e Mingrelia: incontrava i principi locali, ottenendone, a suo dire, un'amichevole accoglienza; predicava e battezzava; celebrava dietro richiesta messe cantate; guariva anche, utilizzando alcuni pochi rimedi che aveva portato con sé ("un poco di orvietano e triaca, et un poco di reobarbaro", Relazione, c. 274v). Alla fine del 1629 il G. era nuovamente a Caffa, ma sino alla sua partenza per l'Italia nel maggio 1633 continuò a viaggiare per quei paesi, esercitando dappertutto il proprio ministero. A Caffa, nel frattempo, i missionari stabilirono rapporti particolarmente stretti con l'ambasciatore francese e il bailo veneto, tanto che, per motivi di sicurezza, Emidio Portelli sarà indotto ad accettare la dignità di console "nationis Venetorum", scelta disapprovata dalla congregazione di Propaganda Fide.
Al suo rientro a Roma, il 6 nov. 1633, il G. dovette discolparsi dall'accusa di aver commerciato in schiavi e in vino; accusa non infondata, perché, come emerge dalla sua dettagliata memoria difensiva, egli aveva trattato effettivamente l'acquisto di bambine cristiane, al fine di sottrarle a padroni musulmani che le avrebbero costrette all'abiura, e successivamente le aveva vendute - come tiene a specificare, a un prezzo molto inferiore a quello offertogli dagli infedeli - a cristiani veneziani e polacchi. Il caso venne presto archiviato e il G. ripartì e, passando per Venezia (dove incontrò il doge), si diresse in Polonia, iniziando un lungo girovagare per l'Europa devastata dalla guerra dei Trent'anni alla ricerca di appoggi politici per la sua missione in Tartaria e in Georgia. Nell'agosto del 1634, da Varsavia, scrisse al segretario di Propaganda Fide per esporgli il progetto di tornare in Crimea passando attraverso l'impero moscovita. In qualità di ambasciatore del sovrano di Polonia Ladislao VII presso lo scià di Persia Ṣafi I, il G. partì con l'incarico di sollecitare un'alleanza antiturca verso la fine del 1634 e nella primavera del 1635 giunse in Crimea. Al principio del 1637 era di ritorno, in compagnia dell'arcivescovo armeno Agostino Bajenz, inviato persiano alla corte polacca. Nel corso del lungo viaggio, visitò i luoghi della sua prima missione, toccò Astrachan (dove gli capitò di incontrare lo scrittore tedesco Adam Olearius) e si spinse sino a Erevan, in Armenia; sulla via del ritorno passò per Mosca, ottenendo breve udienza dallo zar Michail Fedorovič. L'attività diplomatica assorbiva ormai completamente il G., che, soprattutto, chiese con insistenza - ma invano - che la congregazione gli riconoscesse più ampi poteri e gli consentisse di condurre con sé confratelli che lo coadiuvassero nella sua missione. Cercò di tornare in Persia per tutte le vie possibili, progettando il viaggio ora per terra, attraverso l'Egitto, ora per mare, con la circumnavigazione del capo di Buona Speranza. Dando prova di notevole intraprendenza - tanto da indurre il sospetto che il fine non fosse esclusivamente quello dichiarato di tornare alla sua missione in Persia - il G. mantenne i contatti con la corte polacco-lituana, incontrò l'imperatore Ferdinando III e Filippo IV di Spagna.
Tra il 1639 e il 1640 si perdono le sue tracce, ma dal dicembre 1640 all'estate 1643 trascorse lunghi mesi di prigionia, prima nelle carceri portoghesi, poi in quelle francesi a Saint-Malo. I motivi di queste carcerazioni restano oscuri. Instancabile, progettò un nuovo viaggio verso la Persia attraverso la Moscovia, chiedendo al segretario di Propaganda Fide, Francesco Ingoli, che gli facesse avere "due caraffine di manna di s. Nicola di Bari con una lettera in forma breve di Sua Santità, o di Sua Eminenza il cardinale Antonio, o Francesco Barberino, per il Moscovita" (Roma, Arch. della Sacra Congregazione di Propaganda Fide, Lettere antiche, 127, c. 31). Rientrato in Italia, il G. ottenne dalla congregazione l'incarico di accompagnare a Caffa il vescovo designato e, attraverso la Polonia, nell'inverno del 1645 approdò finalmente nella sua missione. Dopo alcuni mesi trascorsi in solitudine, nell'aprile 1646 pensò a un nuovo viaggio e ne scrisse alla congregazione.
Questa volta, però, non riuscì a partire. Dopo una lunga malattia, secondo la testimonianza del padre Arcangelo Lamberti (Ibid., Scritture originali riferite nelle congregazioni generali, Georgia, I, cc. 127 s.), probabilmente nell'autunno del 1647, il G. concluse la sua vita.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. della Sacra Congregazione di Propaganda Fide, Scritture originali riferite nelle congregazioni generali, 209, cc. 544r-550v, 551v: G. Giuliani, Relatione al reverendissimo signore segretario Ingoli per la sacra congregatione de Propaganda Fide delle cose successe alli missionarii alli Tartari et Circassi (28 ott. 1626); Miscellanea diversa, 22, cc. 270r-282r: Relazione fatta da me fra Giovanni di Lucca domenicano missionario a Tartari, Circassi, Abbazza e Mengrilli; Scritture originali riferite nelle congregazioni generali, 2, cc. 80r-82v; 9, cc. 303, 304, 311; 19, cc. 379-380; 24, c. 118r; 41, cc. 450, 486r, 487r; 45, cc. 13, 50, 214r; 59, cc. 231r-234v; 62, cc. 142r, 161r, 180; 65, c. 296r; 76, cc. 25, 217r, 222; 81, c. 408r; 104, cc. 274r-276v; 113, cc. 57r, 332, 342r; 127, c. 53; 209, cc. 499r-500v, 522r-523r, 557r-558r, 567r-569r, 575r-578r, 579r-580v; Ibid., Arch. generale dell'Ordine dei predicatori, IV, 62, c. 329v; IV, 64, c. 288v; J. Quétif - J. Echard, Scriptores Ordinis praedicatorum recensiti, II, Lutetiae Parisiorum 1721, p. 523; S. Ciampi, Bibliografia critica delle antiche reciproche corrispondenze politiche, ecclesiastiche, scientifiche, letterarie, artistiche dell'Italia colla Russia, colla Polonia ed altre parti settentrionali, Firenze 1854, I, p. 157; II, pp. 52-72, 151, 206; P. Amat di San Filippo, Biografia dei viaggiatori italiani colla bibliografia delle loro opere, I, Roma 1882, p. 399; Marcellino da Civezza - T. Domenichelli, Orbis seraphicus, II, Quaracchi 1886, p. 744; E. šmurlo, Rossija i Italija (Russia e Italia), IV, Leningrad 1927, pp. 134, 144 s., 287; Id., Rimskaja kurija na russkom pravoslavnom vostoke v 1609-1654 godach (La Santa Sede e l'Oriente ortodosso russo 1609-1654), Praha 1928, pp. 125 s., 264; R.J. Loenertz, De missione fratrum praedicatorum in Taurica Chersoneo saeculo XVII, in Archivum scriptorum Ordinis praedicatorum, XXI (1933-34), pp. 45-55; Id., Le origini della missione secentesca dei domenicani in Crimea, in Archivum fratrum praedicatorum, V (1935), pp. 261-288; A. Eszer, Die Gemeinde von Cobrucičam Dnestr und die II Krim-Mission der Dominikaner, in Angelicum, XLVI (1966), pp. 371-373, 383 s.; Id., G. G. da Lucca O. P.: Forschungen zu seinem Leben und zu seinem Schriften, in Archivum fratrum praedicatorum, XXXVII (1967), pp. 353-468 (alle pp. 437-446 una bibliografia completa delle opere del G.; alle pp. 448-468 l'edizione della Relazione fatta da me…); Id., Missionen in Randzonen der Weltgeschichte: Krim, Kaukasien und Georgien, in Sacrae congregationis de Propaganda Fide memoria rerum (1622-1700), I-II, Roma-Freiburg-Wien 1972, pp. 651-653, 655-658, 666; G.M. Nicolai, G. da Lucca, in Id., Il grande orso bianco. Viaggiatori italiani in Russia, Roma 1999, pp. 117-126.