GIULIANI, Giovanni
Scultore, nato a Venezia verso la fine del 1663. Dei suoi genitori si sa soltanto che il padre era un fornaio. Nulla si conosce della sua formazione; come ugualmente oscure rimangono le modalità e le occasioni dei suoi esordi, anche se si è supposto che possa essere stato allievo dello scultore Giuseppe Mazza a Venezia e a Bologna.
In data imprecisata il G. dovette recarsi a Monaco, dove, probabilmente tra il 1680 e il 1690, fu attivo nella bottega di Andreas Faistenberger. Intorno al 1690 arrivò a Vienna, dove ebbe modo di realizzare indipendentemente quelle che sono le sue prime opere documentate, alcune statue per il giardino del principe Montecuccoli a Leopoldstadt: di esse, oggi disperse, rimane il primo bozzetto in terracotta ascrivibile all'artista, datato 1690, per un Mercurio (Heiligenkreuz, Stiftsmuseum).
In esso è ravvisabile la sua fase stilistica preliminare, segnata da un gusto spiccato per un'impostazione della figura ancora di maniera, palesata dalla postura quasi leziosa del dio, il quale, appoggiato a un tronco d'albero e lo sguardo rivolto in altra direzione, è stato giudicato il prodotto dell'influenza di Faistenberger, artista legato ancora ai modelli canonici del tardo Rinascimento.
Dalla data del suo arrivo a Vienna le tappe della vita del G. sono ampiamente documentate. Il 13 genn. 1693, nella parrocchiale di S. Leopoldo a Leopoldstadt, sposò Anna Felicita Grässl, figlia di un giardiniere, nel 1695 prestò giuramento civile a Vienna, e nello stesso periodo venne registrato come contribuente del Fisco. Dal 1695 e fino al 1699 il G. risiedette nella capitale presso il collegio dei gesuiti nel quartiere di Stuben, ma sin dal 1694 aveva cominciato a intrattenere rapporti di lavoro con l'abbazia di Heiligenkreuz, per la quale, in seguito, avrebbe realizzato le sue opere più importanti. Già il 13 dicembre di quell'anno, infatti, insieme con lo scultore Benedikt Sondermayr, aveva ricevuto dai monaci l'incarico per le statue dell'altare maggiore e di due altari laterali della grande chiesa abbaziale (Baum, pp. 67 s.). Tale commissione fu poi svolta essenzialmente dal solo G., poiché Sondermayr morì di lì a poco, come si evince dal nuovo matrimonio della vedova, avvenuto il 16 luglio 1696 alla presenza del G. in qualità di testimone.
Risale probabilmente a questo primo periodo viennese l'incarico ricevuto dai Kaunitz per alcune statue da giardino per la loro dimora di Slavkov (Stehlik, 1971) e, sempre in questi anni, dovette segnalarsi alla ricca famiglia del principe Johann Adam von Liechtenstein, il quale, in gara con il patriziato viennese, effettuava ampi investimenti immobiliari, concentrandosi specialmente, a partire dal 1689, sulla costruzione di un nuovo palazzo d'estate a Rossau, allora sobborgo alle porte di Vienna e oggi inglobato nella città, che si curò di ornare con un grandioso allestimento pittorico degli interni.
Prima dello scadere del secolo il G. tornò a Venezia insieme con il giovane principe Franz von Liechtenstein, occasione in cui fece visita ai suoi genitori; ma già nel 1699 lo si ritrova a Bregenz, secondo quanto riporta una cronaca del monastero femminile di Thalbach. Probabilmente il mancato ritorno immediato a Vienna fu dovuto a una penuria di occasioni di lavoro che lo spinse a visitare Augusta, anche se in questo periodo risulta essere stato sempre tassato dal governo austriaco.
Il 1° luglio 1699 gli vennero pagate le cinque statue da esterno relative al gruppo di Cristo nell'orto a Gaaden presso Mödling, ultima impresa del decennio.
Nella figura di Cristo ormai solamente superficiale è la cura formale dell'equilibrio dell'insieme: sebbene riprenda il modello consueto del Cristo inginocchiato, il G. compie la scultura più patetica da lui realizzata; l'espressione spontanea e dolente del volto, squadrato con tratti sommari atti a spartire nettamente le zone in ombra da quelle da porre in risalto, le mani, quasi solo accennate, manifestano un decisivo mutamento di concezione della forma scultorea, nettamente diversa da quella alla base del bozzetto per il Mercurio del 1690. In quest'ultimo la prima preoccupazione dell'artista sembra essere quella di dimostrare un pieno controllo della figura virile, resa con virtuosismi di tipo linearistico. I modelli per le statue di S. Gioacchino e di S. Anna della chiesa di Heiligenkreuz (ora ivi, Stiftsmuseum) sono invece già più slanciati e atti a recuperare una piena individualità realistica che li separa dal Mercurio, anche se le pieghe dei panneggi rammentano retaggi manieristici più che aperture verso il moderno naturalismo evidente nella figura di Cristo, dove il G., nella resa dei tessuti e degli attributi in generale, mette in evidenza solo le parti essenziali per raggiungere l'effetto ricercato, approntando uno stile sintetico che nella sua immediatezza si dimostra ormai pienamente in sintonia con la teatralità visionaria del barocco.
Ancora nel novembre dello stesso anno il G. ricevette dall'amministrazione del conte Traunschen a Petronell 40 fiorini e 10 barili di vino per statue da porre sulle fontane nel cortile del castello e del giardino, ma nel corso degli anni seguenti sarà sempre più impegnato per il principe di Liechtenstein, per il quale era già stato attivo nel 1697, scolpendo le sei statue di divinità (Minerva, Apollo, Giove, Giunone, Mercurio e Flora) sull'attico del palazzo di città nella Bankgasse, un edificio che il principe aveva fatto costruire su progetto di Domenico Martinelli sul sito dove sorgeva un palazzo incompiuto del conte Dominik Andreas Kaunitz, progettato da Enrico Zuccalli.
È questa la prima volta in cui il G. si cimenta con una fila di statue concepite con l'intento di collegare singole unità in una rappresentazione complessiva: le coppie di divinità sono messe in relazione visualmente tra loro da movimenti complementari, e tali da porre in evidenza il loro lato principale, assecondando la visuale prospettica determinata dall'orientamento del palazzo.
Sempre per il principe di Liechtenstein, tra il 1700 e il 1701, il G. lavorò per le statue da collocare sulle scuderie della tenuta di Eisgrub in Moravia, e fra il 1705 e il 1709 per la decorazione dei due palazzi di famiglia in Bankgasse a Vienna e a Rossau.
Nel primo dei due edifici, specialmente, il G. ebbe modo di progettare una decorazione scultorea ampia e complessa che divenne il mezzo espressivo più efficace per manifestare la grandiosità della famiglia che vi risiedeva. Già sulla fronte del palazzo il grande portale è fiancheggiato da due coppie di colonne poste idealmente a sostegno delle due statue riverse di Venere e Vulcano. Entrambe sono attorniate da putti e concepite quasi in forma di bassorilievo a tutto tondo, in modo da inserirsi più facilmente nella generalità dell'architettura, completando, a destra e a sinistra, la simmetria di un triangolo che ha per vertice il grande stemma in pietra posto sulla finestra al primo piano, sul quale due angeli pongono la corona principesca. All'interno, il G. scolpì ancora alcune statue di divinità pagane nel vestibolo successivo all'ingresso su strada e lungo le pareti dell'ampio scalone che porta al primo piano. Di molte di queste statue sono rimasti i modelli in terracotta, oggi per la maggior parte conservati presso l'abbazia di Heiligenkreuz, che aiutano non poco nel valutare l'opera dell'artista attraverso il suo percorso formativo. Nel caso del Nettuno, per esempio, il confronto tra modello e statua in pietra consente di ravvisare, nella prima idea dello scultore, una vitalità e un naturalismo nella concezione del nudo che si perdono, almeno in parte, nell'affettazione che si nota nella statua, in cui risalta ancora un certo sdilinquimento di maniera nell'esagerato contrapposto delle gambe del dio sostenuto da un cavallo marino in modo molto meno credibile che nel bozzetto. Gioiosi e scevri di ufficialità sono invece i gruppi con giochi di putti posti sopra la balaustra dello scalone, che con i loro volti alla Duquesnoy si rotolano tra loro in compagnia di capre e aquile a figurare un'atmosfera arcadica. Anche nelle allegorie per l'attico dei corpi laterali del palazzo di Rossau, il G. riprende l'idea, già sperimentata nel portale di Bankgasse, di gruppi scultorei concepiti secondo una visione da lontano e dal basso, ponendoli così in evidenza alla sommità della facciata come fossero rilievi di coronamento bidimensionali estesi in superficie. In essi, di conseguenza, il panneggio presenta pieghe più larghe e avvolgenti, la materia è più plastica e magmatica, e lo scultore sembra porre tutta la sua attenzione nella coerenza della concezione fisica dei gruppi, attento a calibrare con un equilibrio di forze rattenute i contatti tra le varie figure umane e animali che rappresentano i diversi soggetti, tra i quali ricordiamo l'Asia, l'Europa, l'Africa, la Luna e Endimione, Atalanta e infine Meleagro, di cui resta solo il bozzetto perché la statua non fu realizzata.
Fino alla sua entrata come fratello laico nel monastero di Heiligenkreuz nel 1711, il G. rimase al servizio del principe Liechtenstein, il quale già dal 1701 gli aveva messo a disposizione una sua casa a Schottenviertel, un tempo proprietà dei Kaunitz.
Con i primi anni del Settecento i rapporti tra il G. e l'abbazia di Heiligenkreuz si fecero sempre più stretti: nel 1705 compì i bozzetti in terracotta per due gruppi lignei per il chiostro, raffiguranti la Lavanda dei piedi, rispettivamente di Cristo a Pietro e della Maddalena a Cristo.
In questo caso, soprattutto nei bozzetti relativi, conservati nello Stiftsmuseum di Heiligenkreuz, il G. si cimentò con un nuovo tipo di tema scultoreo, in cui i soggetti non sono ideati come tessere di un insieme architettonico, bensì sono autonomi e connessi strettamente in un contesto narrativo estremamente convincente dal punto di vista emotivo e teatrale che pare derivare direttamente dal Cristo di Gaaden. Contemporanei delle statue del portale e del vestibolo del palazzo Liechtenstein di Bankgasse, i gruppi del chiostro dell'abbazia stilisticamente ne sono molto lontani: se le prime, come si è visto, risentono di uno spiccato carattere ufficiale e retorico, i secondi si distinguono per il naturalismo delle masse corporee e il realismo fisico e sentimentale con cui sono resi i personaggi.
Un fatto del tutto personale pare sia stato la causa del suo definitivo trasferimento presso i monaci di Heiligenkreuz: nell'agosto del 1705 il suo matrimonio venne annullato, e da quest'anno in poi la sua situazione economica peggiorò progressivamente fino al 1710, anno in cui fu costretto a lasciare Vienna per debiti insoluti. Dal 1707 al 1709, intanto, aveva compiuto i rilievi per gli stalli del coro ligneo della chiesa abbaziale, certo la sua creazione più nota per l'originalità e il virtuosismo dell'impresa.
La parte superiore degli stalli lignei, infatti, è istoriata con una sequela di scene a bassorilievo tratte dalla vita di Cristo, che nella loro scorrevolezza narrativa sono ormai esenti da ogni rimando manieristico. A sottolineare il realismo estremizzato dell'ampia composizione giocano un ruolo di primo piano i busti di vari tipi umani (il Prelato, il Monaco, il Vescovo, il Duca, l'Eremita, il Cardinale, il Poeta, il Papa e così via), posti alla sommità degli stalli, i quali, con le loro espressioni drammatiche fortemente individualizzate, conferiscono a tutto l'insieme il carattere di un'austera sacra rappresentazione. Un intervento, quest'ultimo, che per lo stile è stato avvicinato ai rilievi bronzei di Giuseppe Mazza per la cappella di S. Domenico nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo a Venezia.
Nel 1711, probabilmente sempre a causa delle sue condizioni economiche, il G. firmò un contratto con l'abbazia, con il quale veniva accettato come "familiare", potendo quindi risiedervi e avendo diritto a essere mantenuto. Per suo conto s'impegnava a eseguire senza alcun compenso tutti i lavori d'intaglio e di scultura che fosse stato necessario intraprendere per i monaci, e a lasciar loro in eredità tutti i suoi averi, compresi i modelli in terracotta, che tuttora sono conservati a Heiligenkreuz. Da questo punto in poi la sua attività sarà mirata alla realizzazione di statue e rilievi in legno e pietra connessi agli interessi dei religiosi e quindi sempre di soggetto sacro, cosicché la sua figura di artista dotato di ampia versatilità muta necessariamente in quella di specialista del settore. Tra le opere più espressive di questa seconda parte della sua vita, ricordiamo i macabri scheletri reggicandelabro della cripta della chiesa, l'allucinata moltitudine di figure sulla cosiddetta colonna della Trinità di Heiligenkreuz, opere in cui si avverte il peso delle ingerenze dei monaci dovute al rigorismo della regola. Dove invece l'artista sembra recuperare il suo passato creativo è, al solito, in alcuni bozzetti. Oltre a quello datato per un Giove del 1720, è il caso di ricordare il S. Francesco Borgia, un pezzo risalente a uno dei suoi ultimi anni di vita, il 1742, monumentale e armonico al contempo, nel quale la meditazione sulla morte testimoniata dalla presenza del teschio assume un tono pacato ed elegiaco. Contemporaneo è il bozzetto con S. Pietro Martire, in cui il corpo del santo è dissimulato in un ampio mantello dal quale fuoriesce il capo con il volto illuminato da una visione estatica. L'ultimo bozzetto è del 1743, quando il G. aveva ormai ottanta anni. Si tratta del S. Giuseppecol Cristo Bambino, nel quale ancora più evidente è il rapimento mistico di queste ultime opere.
Rimasto nell'abbazia per trentatré lunghi anni, vi morì il 5 sett. 1744. Il suo nome, oltre che alla sua opera, rimane legato al suo grande allievo degli anni viennesi Georg Raphael Donner.
Il G. può essere considerato uno dei maggiori artisti barocchi italiani attivi in Austria nella prima metà del Settecento, poiché giocò un ruolo di primo piano nella decorazione plastica di ambienti interni e di prospetti esterni di architetture, collaborando non poco, quindi, a quel sostanziale rinnovamento in senso pienamente barocco che caratterizza la pittura e la scultura della Vienna tra Sei e Settecento, verificatosi soprattutto grazie agli arrivi di opere di mano del bolognese Marcantonio Franceschini e alla presenza dei veneti Antonio Bellucci e Sebastiano Ricci, come anche del francese Louis Dorigny. Il suo arrivo in Austria coincide con il massimo splendore della fioritura dell'architettura barocca viennese, testimoniato dall'imponenza delle fabbriche di un architetto come Johann Fischer von Erlach, il quale, reduce da lunghi soggiorni italiani, aveva avuto modo d'impostare i suoi grandi progetti per l'aristocrazia più in vista, all'insegna di un elegante rigore classicista appreso presso lo studio romano di Carlo Fontana.
Fonti e Bibl.: E. Morpurgo, I busti sul coro del monastero di S. Croce in Austria, in Bollettino d'arte, IV (1925), pp. 364 s.; E. Baum, G. G., Wien-München 1964; M. Stehlik, Nuovi particolari sull'opera di G. G., in Sborník prací Filozofické Faculty Brnenské Univerzity, XIX-XX (1971), 14-15, pp. 271-277; Id., Italien und die Barockbildhauerei in Mähren, in Barockskulptur in Mittel- und Osteuropa, Poznań 1981, pp. 95 s.; R. Franz, Zwei Figurenöfen im Stadtpalais des Prinzen Eugen in Wien, in Weltkunst, LVIII (1988), 21, p. 3324; F. Magani, Antonio Bellucci, Rimini 1995, p. 28; L.A. Ronzoni, Beobachtungen zu den frühen Statuetten Georg Raphael Donners, in Städel Jahrbuch, 1995, n. 15, pp. 186-188, 205; M. Stehlik, Barocke Gartenskulptur in Mähren, in Studien zur barocken Gartenskulptur…, a cura di K. Kalinowski, Poznań 1999, pp. 34-37; M. Pötzl-Malikova, Zur Typenbildung bei G. Giuliani. Die Bedeutung der Statuetten Duquesnoys in der Liechtensteinischen Kunstkammer für sein Werk, in corso di stampa; I. Schemper Sparholz, Bemerkungen zur Stilbildung bei G. G., in Sborník prací Filozofické Faculty Brnenské Univerzity, Festschrift M. Stehlik, in corso di stampa; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, pp. 206 s.