GRANDI, Giovanni Girolamo (Gian Girolamo, Girolamo)
Figlio del lapicida vicentino Giammatteo e di Eva Brunello, nacque a Padova, dove il padre si era trasferito da qualche anno, nel 1508, come si può dedurre dall'epitaffio apposto sulla sua tomba, che lo dice morto nel 1560 all'età di cinquantadue anni (Salomonio).
Come i due fratelli Francesco e Antonio, probabilmente maggiori di lui, venne indirizzato a seguire le orme della professione paterna, ma ben presto dovette dar segno di capacità e ambizioni che andavano oltre le possibilità di formazione e impiego offerte dalla modesta bottega paterna. Forse per questo, nonché per i dissapori con la madre e i fratelli - le cui tracce affiorano a più riprese nei documenti (Sartori, pp. 124-126) - il G. si trasferì presso lo zio paterno Vincenzo, anch'egli scultore, ma già avviato a più cospicui successi, nell'abitazione padovana di piazza Castello, dove rimase pressoché stabilmente, a parte i periodi di assenza dalla città natale, fino agli ultimi anni di vita.
Con lo zio Vincenzo il G. rimase sempre in ottimi rapporti e tra i due si stabilì un affiatamento che li portò a collaborare per le commissioni importanti lungo tutta la loro carriera. Ancora nel 1569 Francesco Grandi ricordava di fronte a un notaio che "nihil occultum inter ipsos erat quod alteri eorum notum non esset" (Sartori, p. 124). Non stupisce perciò che nel 1532, quando Vincenzo venne chiamato dal vescovo di Trento, cardinale Bernardo Cles, a partecipare alla nuova decorazione degli interni del castello del Buonconsiglio, lo scultore portasse con sé il promettente nipote appena ventiquattrenne, che dovette dunque affiancarlo nella realizzazione del maestoso camino per la sala grande e negli altri compiti in cui la bottega dei lapicidi padovani venne impegnata.
Non si sa precisamente in cosa consistettero gli interventi diretti del giovane G. nel "Magno Palazzo" del vescovo Cles; ma qui una prima traccia di quelle abilità tecniche che ne avrebbero fatto un ricercato bronzista e cesellatore si è voluta riconoscere nella creazione dei due alari che corredavano il grande camino, oggi dispersi, ma ricordati persino nei versi eulogistici che il celebre botanico e archiatra di Cles, Pietro Antonio Mattioli, dedicò nel 1539 alla magnifica residenza del vescovo di Trento.
Un'altra e più cospicua possibilità di dar prova del proprio talento plastico si presentò al G. poco più tardi, nel 1534, e di nuovo a Trento, quando Giovanni Antonio Zurletta commissionò alla bottega dello zio l'impresa della cantoria per l'organo di S. Maria Maggiore.
Anche qui, nel florido tripudio di elementi decorativi non è facile sceverare con certezza la parte avuta dall'uno e dall'altro artista, e neppure dagli apporti di bottega. La critica sembra oggi comunque relativamente unanime nel riconoscere al G. quegli elementi di maggiore impegno scultoreo che denunciano un'inflessione stilistica più "moderna", non solo assimilabile alle cose di Andrea Briosco detto il Riccio - verosimilmente conosciuto di persona a Padova - ma anche proiettata verso la maniera sansoviniana e addirittura anticipatrice dei modi di Alessandro Vittoria, il quale, secondo tradizione, si sarebbe appunto formato inizialmente alla bottega dei Grandi, prima di trasferirsi a Venezia nel 1543. Queste considerazioni valgono, oltre che per i plutei con l'Adorazione dei pastori e l'Epifania (in cui alcuni hanno voluto ravvisare una compresenza di mani diverse: Cessi, 1967), soprattutto per i tre busti bronzei inseriti nei clipei sul soffitto del basamento della cantoria. Qui le tre figure di Davide e degli evangelisti Luca e Matteo spiccano, aggettando quasi a tutto tondo, con un piglio realistico e insieme un'eleganza di grafismi, attitudini e panneggi che possono far pensare addirittura ai rilievi sansoviniani per i pergoli e la porta della sacrestia di S. Marco a Venezia. La non banale caratterizzazione fisionomica dei volti aveva non per caso indotto già Zanella a riconoscere nei busti degli evangelisti i ritratti del committente Zurletta e del capobottega Vincenzo. Più recentemente (De Gramatica, 1999) è stata invece avanzata l'ipotesi che il S. Luca possa riprodurre proprio le fattezze dello stesso Grandi.
Agli anni del soggiorno trentino si deve far risalire anche la prima attività del G. come bronzista.
Alla sua bottega, se non proprio alla sua mano, vengono generalmente attribuiti vari oggetti - campanelli da tavolo, secchielli, picchiotti, mortai, placchette per legature - prodotti per l'entourage del cardinale Cles e oggi conservati in larga parte al Museo nazionale di Trento.
Più impegnativa e certo più prestigiosa fu invece la commissione dei due candelabri donati alla chiesa di S. Vigilio cattedrale di Trento (attualmente nella cappella del Ss. Sacramento) da Cristoforo Madruzzo, in veste di amministratore apostolico di Bressanone, intorno al 1545, commissione che oggi viene appunto ricondotta alla produzione del G. (Koeppe - Lupo, 1991; 1993).
I rapporti con la committenza trentina dovettero comunque rimanere vivi anche dopo il ritorno dell'artista nella propria città natale, come dimostra almeno il campanello del canonico G. Roccabruna (Trento, Museo nazionale), inviato da Padova nel 1554.
A Padova, infatti, il G. si ritrova alla metà del quinto decennio del secolo, quando, il 23 apr. del 1545, stipulò un contratto da 55 ducati d'oro - ratificato lo stesso giorno dallo zio Vincenzo - per la realizzazione del monumento funebre del giureconsulto Giovanni Antonio De Rossi da erigersi nella chiesa di S. Giovanni di Verdara (oggi trasferito nel chiostro del Noviziato al Santo). A tal fine gli venne mostrata la maschera mortuaria del defunto, che sarebbe servita per la realizzazione della scultura in pietra vicentina del ritratto commemorativo. La tomba, eseguita come al solito in stretta collaborazione con il socio più anziano, fu esemplata sul tipo già sperimentato decenni prima da Vincenzo con il sepolcro Trombetta.
L'anno successivo il G. firmò con la scritta: "Hier(onimus) p(atavinus) faciebat" un piedritto scolpito nella cappella dell'Arca al Santo che, se confrontato con l'altro da poco portato a termine dallo zio nello stesso luogo, rivela bene il più vivace gusto chiaroscurale e il più spiccato virtuosismo naturalistico del G. nella drôlerie del tralcio di vite "abitato" da vari animali.
Sempre al 1546 data un atto notarile a proposito della dote della moglie Elisabetta Badia, dalla quale ebbe tre figli: Bernardino, Maria e Faustina. Nonostante le accresciute dimensioni della famiglia, il G. continuò a vivere nella vecchia casa di piazza Castello, insieme con Vincenzo.
In questo medesimo torno di anni è stata ipotizzata (Rigoni) un'attività vicentina del G., per cui sarebbe plausibile ascrivergli le statue della Vergine col Bambino e dei Ss. Rocco e Sebastiano nella chiesa dell'Annunziata a Nanto (ma provenienti dall'antica parrocchiale dell'Annunciazione), nonché le sculture di S. Giovanni Battista e di un Apostolo sull'altare Velo nella chiesa dei servi a Vicenza, figure stilisticamente accostabili, secondo C. Rigoni, ai busti bronzei della cantoria di Trento.
Nel gennaio 1551 è invece documentata una commissione al G. per un pastorale (opera non rintracciabile) da realizzarsi per le monache benedettine di S. Stefano a Padova, per il quale l'artista ricevette un acconto di 40 ducati.
Essendo poi sorta una controversia circa il restante emolumento da versare per la consegna dell'opera, le parti in causa convennero di inviare il detto pastorale a Venezia, nella "ruga de' zioelieri" a Rialto, affinché fosse stimato da esperti super partes e la stima fosse ratificata da un notaio. In una non dissimile controversia si ritrovò di lì a poco nuovamente coinvolto il G., questa volta con i massari dell'Arca, i quali gli avevano allogato due ceri d'argento (opere non rintracciabili) e pagato la caparra sul prezzo pattuito di 180 ducati. A un anno di distanza, nel luglio 1552, non si era però ancora giunti, nonostante i reiterati ricorsi a esperti veneziani e alle competenti autorità civili, a comporre le pretese dell'artista e le rivendicazioni dei committenti.
Ormai le qualità e l'abilità del G. come orafo e cesellatore dovevano essere stimate e ricercate, se i documenti dell'Archivio dell'Arca attestano, in data 10 dic. 1557, un nuovo incarico unitamente alla delibera di consegnare 14 once d'argento "a maestro Girolamo scultore per far il tabernaculo delle spine" (opera non rintracciabile: Sartori, p. 127).
Ma il lavoro più celebre e lodato del G., stando almeno alle fonti, fu il busto di Girolamo Confalonieri, eseguito per la chiesa di S. Maria Maddalena, nel convento padovano dei crociferi, firmato e datato, come riporta Pietrucci (p. 142), "Jo(hannes) Hier(onimus) Grandus pat(avinus) sculpebat 1549". La scultura, che andò dispersa con la distruzione della chiesa tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, veniva giudicata da Rossetti, ancora nel 1765, come "opera eccellente dell'egregio statuario padovano" (Cessi, 1967, p. 50).
I documenti disponibili non testimoniano altri impegni dell'artista durante gli ultimi anni di vita, se non un occasionale intervento di restauro su un reliquiario. Registrano, invece, alcuni contratti di affitto, un'attività di compravendita di terreni nelle vicinanze di Padova e di Vicenza, città con cui evidentemente il G. aveva mantenuto dei contatti, e le vertenze con la madre e i fratelli per questioni di eredità.
Oltre alle opere già citate, si sono volute comunque riferire all'estrema attività artistica del G., sebbene in via del tutto ipotetica, la realizzazione del camino della sala delle Imprese di Carlo V, nella villa delle Albere e così pure le sculture per la sorgente monumentale di Belfonte di Villazzano, subito fuori Trento, opere ricordate dalle fonti come commissioni volute dal cardinale Madruzzo (Passamani, 1993).
Il G. morì a Padova il 23 marzo 1560 e venne sepolto nel chiostro di S. Agostino, demolito agli inizi dell'Ottocento; l'epitaffio, riportato da I. Salomonio, lo celebrava come "statuario eximio/ variaq(ue) caelatura auri, argenti/ gemmarum aerisq(ue) praestantissimo".
Fonti e Bibl.: P.A. Mattioli, Il Magno Palazzo del cardinale di Trento, Venezia 1539, ottave 282, 408; I. Salomonio, Urbis Patavinae inscriptiones, Patavii 1701, p. 84; N. Pietrucci, Biografie degli artisti padovani, Padova 1858, pp. 142 s.; G.B. Zanella, S. Maria di Trento. Cenni storici, Trento 1879, pp. 23 s.; M. Benedetti, Nuovi documenti sullo scultore Vincenzo de' Grandi, in Studi trentini, IV (1923), pp. 28-40; G. Ciccolini, L'autore del celebre organo di S. Maria Maggiore in Trento, in Scritti di storia organaria per il restauro dell'organo di S. Maria Maggiore in Trento, Trento 1925, pp. 21-40; G. Gerola, Il castello del Buonconsiglio nelle sue vicende e nel suo ripristino, in Trentino, VII (1931), 7, pp. 215-231; E. Lunelli, La cantoria dei Grandi, in I bellissimi organi della basilica di S. Maria Maggiore in Trento, Trento 1953, pp. 57-62; Id., Vincenzo e G.G. Grandi scultori della cantoria di S. Maria Maggiore a Trento, in Studi trentini, XXXII (1953), pp. 21-42; F. Cessi, Scultori nella cappella dell'Arca al Santo: Vincenzo e Gerolamo Grandi, in Padova, IV (1958), pp. 14-20; Id., Vincenzo e Gian Girolamo Grandi bronzisti padovani del XVI secolo, ibid., V (1959), pp. 16-22; Id., Vincenzo e Gian Girolamo Grandi bronzisti padovani del XVI secolo, ibid., VI (1960), pp. 5-14; Id., Tipologia trentina di alcuni bronzetti veneti del XVI e XVII secolo, in Studi trentini, XLIV (1965), pp. 111-116; Id., Vincenzo e Gian Gerolamo Grandi scultori, Trento 1967; Id., Un'aggiunta al catalogo dei Grandi, bronzisti al servizio di Bernardo Cles, in Studi trentini, L (1971), pp. 405-407; Id., in Dopo Mantegna. Arte a Padova e nel territorio nei secoli XV e XVI, Padova 1976, p. 133; A. Sartori, Documenti per la storia dell'arte a Padova, Vicenza 1976, pp. 120-129; F. Cessi, Medaglie e piccole sculture nel Cinquecento a Padova, in Alvise Cornaro e il suo tempo, a cura di L. Puppi, Padova 1980, pp. 116-118; F. Barbieri, Scultori a Vicenza, 1480-1520, Vicenza 1984, pp. 9-12; F. De Gramatica, Fonti figurative nella cantoria di Vincenzo e Gian Gerolamo Grandi in S. Maria Maggiore a Trento, in Studi trentini, LXX (1991), pp. 217-274; W. Koeppe - M. Lupo, in Ori e argenti dei santi. Il tesoro del duomo di Trento, a cura di E. Castelnuovo, Trento 1991, pp. 174-177; W. Koeppe - M. Lupo, in I Madruzzo e l'Europa, 1593-1658. I principi vescovi di Trento tra Papato e Impero, a cura di L. Dal Prà, Milano-Firenze 1993, pp. 371-377; B. Passamani, La scultura nel secolo dei Madruzzo, ibid., p. 284; S.B. McHam, The chapel of St. Anthony at the Santo and the development of Venetian Renaissance sculpture, Cambridge 1994, pp. 21, 48, 55, 59, 66-69, 75, 97, 109, 127, 221, 225, 236; F. De Gramatica, Vincenzo e Gian Gerolamo Grandi a Trento: aggiunte al catalogo, in Paragone, XLV (1994), 44-46, pp. 81-88; Id., La scultura cinquecentesca del Castello del Buonconsiglio nel recupero di Giuseppe Gerola, in Un museo nel castello del Buonconsiglio. Acquisizioni, contributi, restauri, a cura di L. Dal Prà, Trento 1995, pp. 287-316; B. Passamani, Un tajapreda paduano, in Il Castello del Buonconsiglio, I, Percorso nel Magno Palazzo, a cura di E. Castelnuovo, Trento 1995, pp. 297-331; F. De Gramatica, Vincenzo e Gian Gerolamo Grandi, in "La bellissima maniera". Alessandro Vittoria e la scultura veneta del Cinquecento, a cura di A. Bacchi - L. Camerlengo - M. Leithe-Jasper, Trento 1999 (con bibl.); C. Rigoni, Le botteghe del primo Cinquecento, in Scultura a Vicenza, a cura di C. Rigoni, Vicenza 1999, pp. 81-99; F. De Gramatica, Vincenzo e Gian Gerolamo Grandi, in Donatello e il suo tempo. Il bronzetto a Padova nel Quattrocento e nel Cinquecento, a cura di D. Banzato - G.F. Martinoni - F. Pellegrini, Milano 2001, pp. 261-288.