CALEPIO, Giovanni Girolamo
Nato a Bergamo il 2 marzo 1732 dal patrizio Corrado e da Giulia degli Abati, entrò giovanissimo fra i benedettini cassinesi nel monastero di S. Paolo d'Argon presso la città natale. Egli stesso più tardi, commemorando il più insigne maestro di quegli anni, l'abate Costantino Rotigni, ne ricordava il senso dei misteri cristiani attinto alla celebrazione liturgica, l'insegnamento biblico poggiato sulle opere ermeneutiche di J. J. Duguet, l'intento rivolto a cogliere i disegni di Dio e la divina "onnipotenza anche sopra la volontà degli uomini liberi" (Elogio storico del P. D. C. Rotigni abate cassinese, in Nuova Racc. d'opusc. scient. e filol., a cura di A. Calogerà, XXXI, Venezia 1777, n. 4, p. 21). Ma è probabile che, come il Rotigni, anche il C. non sia giunto a una sintesi tra teologia e dottrina spirituale. Mentre infatti aderì al tomismo del priore Gerardo Speroni, ispirato al sorbonico L. F. Boursier, dall'altra fece propria la riflessione agostinista del Duguet. Segretario del Rotigni negli anni in cui questi fu abate di S. Paolo d'Argon (1762-1769) e forse da lui spronato, collaborò dapprima alla versione italiana della Spiegazione del libro della Genesi del Duguet (Bergamo 1764); tradusse poi e annotò sempre del Duguet Ilsepolcro di Gesù Cristo ossia spiegazione del mistero della sepoltura (Brescia 1766, 2 voll., dedicati al benedettino Nicolò Giustiniani, vescovo di Verona). Assimilando l'ermeneutica allegorista del giansenista Duguet, il C. maturò intanto una propria riflessione sugli eventi del tempo e la espresse in una dissertazione anonima, che lo avrebbe tuttavia portato a notorietà: Del ritorno degli ebrei e di ciò che vi ha da porgere occasione (Brescia 1772).
Secondo il C. nella Chiesa si stava verificando la massiccia defezione dalla fede prefigurata nella storia del Vecchio e del Nuovo Testamento, e descritta da Padri della Chiesa e da scrittori autorevoli. Quest'apostasia non era da intendere come uno scisma, ma come interna corruzione della compagine ecclesiale. Nell'infedeltà sarebbero caduti gli stessi ecclesiastici. Questi anzi, adombrati nella bestia dell'Apocalisse (cap. 13) avrebbero avuto un ruolo importante nella defezione quasi generale. Quando la depravazione fosse giunta al suo colmo, allora gli ebrei si sarebbero convertiti e sarebbero divenuti i nuovi apostoli della fede. L'antico ceppo sarebbe rinverdito, solo allora i rami secchi sarebbero stati troncati e i superstiti fedeli, avvertiti da un angelo, si sarebbero riuniti al nuovo pollone staccandosi dalla Babilonia (pp. 36, 85-87). Finalmente anche la massa dei gentili si sarebbe risvegliata e la fede avrebbe avuto un lungo periodo di fioridezza.
Contro il C. intervenne a più riprese l'ex gesuita bergamasco Luigi Mozzi, il quale pubblicò: Lettere ad un amico sopra certa dissertazione pubblicata a Brescia sul ritorno degli ebrei alla Chiesa, Lucca (ma Bergamo) 1777; Lettera confidenziale di un teologo ad un teologo, Vicenza 1778; Il falso discepolo di s. Agostino e di s. Tommaso convinto d'errore…, Venezia 1779 (contro Viatore da Coccaglio, il C., Giuseppe M. Pujati e altri).
Secondo il Mozzi era concepibile la conversione degli ebrei, se pensata in epoca intermedia, come preludio di un lungo rifiorimento ecclesiale. La venuta dell'Anticristo, la defezione quasi totale dalla fede e la conversione degli ebrei sarebbero stati accadimenti del triennio immediatamente anteriore alla fine del mondo. Il Mozzi accusò anzi il C. di avere negata l'indefettibilità della Chiesa e la Chiesa stessa, sostituendovi una società fondata dagli ebrei. In altri termini al giudizio negativo sui propri tempi egli contrapponeva un apprezzamento in sostanza ottimistico. Al recupero delle antiche categorie mistiche, tentato dal C., contrapponeva l'ecclesiologia moderna, che alla prerogativa della "universalità" aveva dato un senso prevalente spazio-temporale e a quello di "visibilità" e "indefettibilità" aveva diminuito il significato mistico a vantaggio di quello giuridico e sociale. Il piccolo numero di superstiti era chiara allusione non tanto ai fedeli, quanto al drappello giansenista.
Il C. replicò con l'opera Dell'epoca della conversione degli ebrei… (Venezia 1779, anonima, dedicata al conte Carlo Firmian), apportando precisazioni ecclesiologiche. La bestia apocalittica e la mistica Babilonia non adombravano la Chiesa cattolica, ma "i perversi che son nella Chiesa, o più tosto una gran parte di loro" (p. 258). La Chiesa sarebbe durata "fino alla fine del mondo senz'alcuna interruzione, sempre santa, sempre visibile, sempre composta di pastori e di pecore, sempre infallibile" (p. 267); e tuttavia non è da intendersi "suo privilegio, che la totalità morale dei pastori e dei popoli conosca sempre e insegni tutte le verità; ma sibbene che il totale deposito delle verità si conosca, s'insegni, e serbisi inviolabilmente sol dai pastori e dai popoli della Chiesa Cattolica" (p. 276). La Babilonia infernale e la Gerusalemme celeste non erano due società contrapposte, ma due realtà misteriosamente commiste nel grembo della vera Chiesa (p. 258).
Nella polemica circa il tempo della conversione degli ebrei il C. poté contare sull'appoggio silenzioso di personaggi influenti a Bergamo, Venezia e Roma. In suo favore intervenne pubblicamente G. M. Pujati con tre opuscoli: Lettera di un teologo agli estensori dell'Effemeridi letterarie di Roma (Roma 1775), Lettera al P. D. C[amillo] V[arisco] sopra le contraddizioni dell'Effemeridi…(Milano 1778), Lettera al P. D. C. V[arisco] sopra la risposta d'un sacerdote romano…(Milano 1778). Il Pujati, affffiandosi al monastero di S. Paolo d'Argon (1777-1784), aveva sperato di trovare amici con i quali legare spiritualmente; ma, come egli stesso confidò poi a Scipione de' Ricci, non aveva trovato piena soddisfazione nemmeno nei due principali eredi del Rotigni, l'abate Giovanni Lodovico, Vertova e il C., "niente geniali per l'imperatore, poco pel granduca, senza dire che vogliono essere Boursieristi, piuttosto che discepoli di S. Agostino sul punto dello stato dell'innocenza, e non so se in tutto e per tutto approvatori delle sentenze del Tamburini e degli Annali ecclesiastici" (Pujati a Ricci, 17 dic. 1784, in Arch. di Stato di Firenze, Carte Ricci, filza 80, c. 142: vedi Palandri, p. 81).
Sempre nell'intento d'influire sull'orientamento dei pastori e di produrre nella "greggia ubertosissimi frutti", il C. curò una nuova versione delle Istruzioni per le domeniche e feste di François Fitz-James vescovo di Soissons (Venezia 1781). La dedica al confratello G. M. Bressa, vescovo di Concordia, oltre a essere l'apologia della Congregazione cassinese, tendeva a mettere l'opera "al coperto dalle maligne censure di chi non ha buon sangue colla dottrina in essa contenuta" (edizione 1791, p. IV).
In effetti la situazione dei cassinesi di S. Paolo d'Argon si era resa critica dopo la morte del vescovo di Bergamo Antonio Redetti (1773). Si era poi aggravata a motivo, di una Lettera di due ecclesiastici sopra la divozione al Cuor di Gesù (Bergamo 1781), sottoscritta con i nomi dei canonici Benedetto Passi e Francesco Sonsogno (p. 72), ma in realtà opera del C. (vedi Pujati a G. Massa, 29 giugno 1786, in Margiotta-Broglio, p. 157; Vaussard, p. 373). In questa Lettera le argomentazioni contro il culto del cuore carneo di Gesù sono fondate sull'analisi di preghiere popolari e immagini sacre divulgate appunto a Bergamo, con le quali "venivasi ad insegnare una divozione, che degenerava in un brutto materialismo, peggior ancora del nestorianismo" (p. 27).
Intanto il C. tradusse e pubblicò la Spiegazione dell'epistolaai Romani del Duguet (Venezia 1782), aggiungendovi la dissertazione sugli ebrei leggermente ritoccata (pp. 339-455). Dopo di allora la sua attività declinò. Le sue lettere al Pujati manifestano un interessamento guardingo per le riforme giuseppiniste, il sinodo di Pistoia e le polemiche ricciane. Stando al Pujati (Elogio del… C.) a lui si devono tra l'altro le edizioni italiane di Ph. Mésenguy, Vite dei santi (Bergamo 1791, a cura di G. Cornaro), di J. J. Duguet, Gesù crocifisso,ossia spiegazione del misterio della Passione (Bergamo 1795, a cura del Cornaro; 1 edizione, 1767), e di C. Fleury, I costumi degli israeliti ede' cristiani (Bergamo 1804).
Come il confratello Pujati, il C. non aderì agli ideali della Rivoluzione. Negli eventi di fine secolo egli trovò confermate le proprie meditazioni sulla profonda corruzione dell'umnnità. Ritiratosi a Palosco presso i familiari, coadiuvò il parroco nel ministero pastorale. Una grave caduta gli provocò la rottura del femore e tra sofferenze atroci morì ivi il 18 gennaio del 1810.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vat., Instr. miscell.6659, ff. 146-149 (quattro lett. del C. al Puiati, febbraio 1786-gennaio 1788); Chiari, Bibl. Morcelliana, ms. A.II.1 (il C. a Lodovico Ricci, 31 luglio 1780); Venezia, Bibl. del Semin. patriarcale, ms. 813.7: G. Puiati, Elogio del P. D. G. G. C.(attribuisce al C. anche l'Elogio storico del P. C. Almici…, edito in Nuova raccolta d'opusc. scientifici e filol., a cura di A. Calogerà, XXXVIII, Venezia 1783, n. 8; altri ne fanno autore G. B. Almici, vedi Diz. biografico degli Italiani, II, p. 513); Bergamo, Bibl. A. Mai: B, Vaerini, Gli scrittori di Bergamo, III, pp. 224-230 (ms. ad vocem Rotigni); Nuovo giorn. de' letterati (Modena), XIII (1778), pp. 292-297; Effem. letter. di Roma, VII(1778), pp. 60, 179-181, 188 s., 268 8.; VIII (1779), pp. 45-48, 57; G. Cernitori, Bibl. polemica…, Roma 1793, pp. 183-188; G. A. Moschini, Della letteratura veneziana…, IV, Venezia 1808, p. 23; G. Melzi, Diz. delle opere anon. e pseudon., Milano 1848, I, p. 353; II, pp. 85, 100; III, pp. 53, 89; G. Dandolo, La caduta della Rep. di Venezia…, App., Venezia 1857, pp. 186 s.; E. Palandri, La "Via Crucis" del Puiati e le ripercussioni polemiche nel mondo giansenistico…, Firenze 1928, pp. 80, 84, 121; A. Colletti, Ilgians. e la divoz. al S. Cuore di Gesù, Modena 1938, p. 84 (non corregge l'attribuzione della Lettera di due eccles.);D. Federici, Echi di giansenismo in Lombardia…, in Arch. stor. lombardo, n.s., VII (1940), pp. 114 s., 122; A-F. Vaucher, Une célébrité oubliée. Le P. Manuel de Lacunza y Diaz (1731-1801)…, Collonges-sous-Salèvè 1941, pp. 77, 166 (qualche taglio nella seconda edizione del 1968, p. 83 s.; secondo il Vaucher, il C. "croit que les vrais fidèles devront un jour sortir de l'Eglise, devenue une Babylone", ma il significato di Babilonia è spiegato diversamente dallo stesso C.); Id., Lacunziana, II, Collonges 1952, pp. 71, 73, 81 s. (probabili derivazioni del Lacunza dal C.), 87; E. Codignola, Carteggi di giansenisti liguri, III, Firenze 1942, p. 831; A. Pesenti, Lettere ined. dell'abate C. Rotigni al proposto Cornaro…, in Bergomum, XXXII(1958), pp. 167, 177; Id., Note sul giansen. bergamasco durante l'episcopato di A. Redetti…, in Miscell. A. Bernareggi, Bergamo 1958, pp. 774, 818, 828; B. Matteucci, Ilsinodo di Pistoia e il culto del S. Cuore di Gesù, in Corlesu. Commentationes…, II, Roma 1959, p. 25 (che quanto alla Lettera attinge al Colletti); A. Vecchi, Correnti religiose nel Sei-Settecento veneto, Roma-Venezia 1962, ad Indicem;F.Margiotta Broglio, Attegg. e problemi del riformismo e dell'anticurialismo veneto…, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XX(1966), pp. 82-158, passim;M. Vaussard, L'epistolario di G. M. Puiati col canonico Clément, in Boll. dell'Ist. di storia della società e dello Stato venez., V-VI(1963-64), pp. 325-373 passim;P.Stella, Ilgiansenismo in Italia….I, 2, Piemonte, Zürich 1970, pp. 149, 190; P. Zovatto, G. Bressa vescovo giansenista?…, in Scritti stor. in mem. di P. L. Zovatto, Milano 1972, p. 234; C. Sommervogel, Bibl. de la Comp. de Jésus, V, col. 1371 s.