GIOVANNI GIACOMO da Lodi
GIOVANNI GIACOMO (Gian Giacomo) da Lodi.- Nacque a Lodi tra il secondo e il terzo decennio del XV secolo.
I primi documenti che lo riguardano sono relativi a una Madonna e a un'insegna (andate perdute) che G. dipinse nel 1451 per Francesco Sforza, a Revellino Lodigiano (Caffi, p. 339).
Nel 1465 il suo nome compare accanto a quello di Zanetto Bugatti nella stima degli affreschi, perduti, della volta del presbiterio di S. Vincenzo in Prato a Milano, eseguiti da Giacomo Vismara e da Gregorio e Giovanni Zavattari.
Nel 1472 ricevette il compenso per un'Annunciazione dipinta nel chiostro dell'ospedale Maggiore di Milano, anch'essa perduta. Due anni dopo doveva risiedere a Milano, poiché un documento registra la morte di suo figlio Galeazzo a Porta Orientale.
Nel 1477 stimò le decorazioni pittoriche, anch'esse perdute, che Giacomo Vismara e Bonifacio Bembo avevano eseguito intorno al 1474 nella chiesa di S. Maria a Caravaggio (C. Ferrari, 1946, pp. 25 s.).
Allo stesso anno risalgono gli affreschi con Storie di s. Bernardino nella cappella dedicata al santo in S. Francesco a Lodi, unica opera superstite attribuitagli unanimemente.
In un'iscrizione già in situ, non più esistente, si leggeva: "1477 die 8 octobris A[lojsius] B[ononus] f[ecit] f[ieri]" (Martani, p. 45). Un'indagine documentaria sulla famiglia Bononi rese noto un atto rogato nel 1476 relativo all'allogazione di fondi della famiglia per l'istituzione e la decorazione di una cappella intitolata a S. Bernardino (C. Ferrari, 1946, p. 28). L'attribuzione a G. non è confortata da alcun documento, ma deriva dalla testimonianza di Vincenzo Sabbia, un cronista locale, vissuto intorno alla seconda metà del XVI secolo (Caffi, p. 337). Tale testimonianza peraltro non è mai stata messa in dubbio; e su di essa si basano la ricostruzione del percorso stilistico dell'artista e le altre possibili attribuzioni. Le Storie della vita di s. Bernardino, ispirate all'agiografia del santo redatta dall'umanista lodigiano Maffeo Vegio, si svolgono in ventidue scene inquadrate prospetticamente. Alcune presentano una caratteristica soffittatura a cassettoni. Il racconto è sottolineato da tituli esplicativi in corrispondenza di ciascuna scena; il dato di costume è reso con immediatezza e precisione.
Gli studi critici si sono dapprima orientati verso un inquadramento di questo ciclo nell'ambito della corrente "neogotica" che, in epoca sforzesca, riprese i temi cortesi che avevano caratterizzato la precedente signoria viscontea. Accanto a questo aspetto, si è rilevato un influsso della contemporanea pittura toscana, segnatamente quella di Masolino da Panicale, e un interesse, anche se ancora empirico, per la resa prospettica (M.L. Ferrari, 1956, pp. 48-50). Più recentemente si è, invece, ridimensionato il carattere cortese di questi affreschi, sottolineandone la modernità, nel segno delle sperimentazioni di Vincenzo Foppa, con il quale forse G. lavorò nel castello Sforzesco a Milano, e di Bernardino Zenale (Marubbi, p. 69).
Nel 1490 G. fu forse di nuovo a Milano per decorare a fresco, insieme con altri artisti, alcune stanze nel castello di Porta Giovia, in occasione delle nozze di Ludovico il Moro (C. Ferrari, 1946, p. 21).
La data di morte di G. è a tutt'oggi ignota.
A un momento giovanile di G. sono stati assegnati, sia pur dubitativamente, da Mazzini (pp. 460 s.) alcuni affreschi del presbiterio dell'oratorio Mantegazza a Cascine Olona: databili intorno al 1467, sebbene non esenti da durezze ancora squarcionesche, essi mostrano una personalità artistica "vivace e distinta, protesa in un dichiarato sforzo di aggiornamento" che partecipa della transizione dalle forme gotiche a quelle rinascimentali.
Nella cappella di S. Bernardino in S. Francesco a Lodi è stata attribuita a G. una tavoletta che rappresenta il santo su sfondo dorato. Nella stessa chiesa, nella terza campata della navata destra, gli sono stati riferiti altri affreschi (Quattro Evangelisti nella volta, i Profeti nei sottarchi e l'Ascensione nella parete), che parte della critica assegna però alla contemporanea bottega lodigiana dei Lupi. Qualora si accertasse la paternità di G. essi dovrebbero essere datati al 1470-71 (Mazzini, p. 462; Bandera Bistoletti, pp. 98-100; Marubbi, pp. 67 s.).
Anche alcuni affreschi con Storie della vita di Gesù nella chiesa di S. Maria in Bressanoro, già attribuiti al Montorfano (Giovanni Donato) e a Giovanni Pietro da Cemmo, databili al nono decennio del Quattrocento, sono stati messi in relazione con Giovanni Giacomo. Sicuramente più impacciati degli affreschi lodigiani, essi mostrano, però, un'affinità evidente con quelli, sia per la ricercatezza nella resa dei costumi sia per l'uso di una predominante tinta a base di terra rossa e per il ripetersi del soffitto a cassettoni prospettici in alcuni riquadri (Mazzini, p. 461; Galizzi, pp. 40-42). Il confronto tra Le pie donne al sepolcro nel ciclo di Bressanoro, una S. Chiara nella cappella lodigiana, una figura di monaca che compare due volte in un ciclo ad affresco con Scene dalla vita di una santa monaca e di un frate, databile alla fine del nono decennio del XV secolo, un tempo nella chiesa di S. Marco a Vercelli e ora nel Museo civico Francesco Borgogna della stessa città, rende possibile l'attribuzione di queste opere alla stessa mano, che potrebbe essere quella di G. (Galizzi, p. 42; Sciolla, pp. 160 s.; Romano, p. 17).
Fonti e Bibl.: M. Caffi, Di alcuni pittori lodigiani del Millequattrocento finora ignoti, in Arch. stor. italiano, s. 3, XXII (1875), pp. 333-340; F. Malaguzzi Valeri, Pittori lombardi del Quattrocento, Milano 1902, pp. 202, 213; B. Martani, Monasteri di francescani di Lodi e territorio. Minori osservanti, in Arch. stor. lodigiano, XLIV (1925), pp. 44 s.; C. Ferrari, Per la storia dell'arte pittorica in Lodi. I freschi di G. da L. nella cappella di S. Bernardino in S. Francesco a Lodi e la pittura lombarda contemporanea, ibid., LXV (1946), pp. 21-31; LXVI (1947), pp. 16-28; M.L. Ferrari, Giovan Pietro da Cemmo. Fatti di pittura bresciana del Quattrocento, Milano 1956, pp. 48-50, 123 n. 40; F. Mazzini, Affreschi lombardi del Quattrocento, Milano 1965, pp. 460-463, tavv. 182-201; G.C. Sciolla, Un affresco di G. da L. a Vercelli?, in Arch. stor. lodigiano, s. 2, XIII (1965), 2, pp. 160 s.; G. Romano, Maestri lombardo-piemontesi, in Opere d'arte a Vercelli e nella sua provincia. Recuperi e restauri, 1968-1976, Vercelli 1976, pp. 17-19; A. Galizzi, Per una cronologia di S. Maria in Bressanoro, in Arte lombarda, 1984, n. 70-71, pp. 25-46; M. Natale, La pittura in Lombardia nel secondo Quattrocento, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, Milano 1987, p. 92, tavv. 118-120; S. Bandera Bistoletti, Pittura a Lodi. Dal tardo Trecento alla fine del Quattrocento, in Pittura tra Adda e Serio, a cura di M. Gregori, Milano 1987, pp. 17-21, 98-100, tavv. 19-21; M. Buraggi, in La pittura in Lombardia. Il Quattrocento, Milano 1993, p. 459; M. Marubbi, La pittura a Lodi nella seconda metà del Quattrocento, in L'oro e la porpora. Le arti a Lodi nel tempo del vescovo Pallavicino (1456-1497) (catal., Lodi), a cura di M. Marubbi, Cinisello Balsamo 1998, pp. 67-74; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 123.