GHILARDI, Giovanni (in religione Tommaso)
Nacque a Casalgrasso, presso Torino, il 20 ott. 1800 da Paolo e da Maria Anna Botto. Di famiglia modestissima, terminate le scuole elementari cominciò a lavorare come fabbroferraio. A 21 anni, grazie all'aiuto finanziario di un banchiere di Carrù, F.A. Gonella, poté trasferirsi a Torino dove riprese gli studi sotto la guida di don P. Giacoma, parroco di Borgaro Torinese. Due anni dopo entrava nell'Ordine dei domenicani e, compiuto il noviziato, il 25 nov. 1824 emetteva la professione religiosa assumendo in tale occasione il nome di Tommaso. Ordinato sacerdote nel 1825, era assegnato come preside alla casa di Loreto (Alessandria) e insieme nominato procuratore generale per l'amministrazione dei beni della provincia di S. Pietro Martire. Nel 1834 fu designato dal visitatore apostolico, cardinale G. Morozzo, a reggere la stessa provincia.
Nei sei anni del suo provincialato il G., rifacendosi al modello del francese H. Lacordaire, curò in particolare il risveglio delle vocazioni e il rispetto dell'osservanza, ma non tralasciò di dare impulso alla ricostituzione dei conventi soppressi, mettendo in atto una strategia di riconquista degli spazi perduti dalla Chiesa in Piemonte e allo stesso tempo accumulando quella "solida conoscenza storico-giuridica delle istanze e connessi problemi riguardanti la riforma dell'Ordine" (Esposito) che più tardi indurrà la congregazione super Statu regularium ordinum a interpellarlo sulla riforma dell'Ordine domenicano in esecuzione di quanto disposto dall'enciclica Ubi primum (1847). Attento inoltre alla diffusione dell'istruzione giovanile, in special modo di quella femminile, nel 1836 il G. ottenne dalla S. Sede l'autorizzazione a fondare a Trino Vercellese un monastero di suore con annessa scuola per fanciulle povere.
Segnalato all'attenzione di Carlo Alberto per lo zelo religioso e il fervore delle sue iniziative, il G. fu proposto dallo stesso re alla sede episcopale vacante di Mondovì. Ordinato vescovo nel 1842, resse la diocesi con lo stesso spirito pragmatico con cui aveva governato la provincia di S. Pietro Martire. S'impegnò nuovamente nel settore della formazione delle giovani e giovandosi dell'appoggio finanziario della contessa Gabriella Nomis di Cossilla fondò una congregazione di maestre religiose domenicane, ma nell'opera di diffusione dell'istruzione femminile incontrò spesso il disinteresse se non l'opposizione delle autorità locali. Il G., tuttavia, a differenza di altri suoi colleghi subalpini, evitò accuratamente di entrare in conflitto con l'autorità civile sul terreno delicato della politica giurisdizionalistica, verso cui il Regno sardo si era più decisamente orientato dopo la concessione dello statuto. Decisivo, poi, considerò il problema della formazione morale e culturale dei giovani, vedendo in essi il legame più forte che la Chiesa potesse conservare con una società tendente a secolarizzarsi. Molta cura dedicò quindi agli studi seminarili, che volle ristrutturati e potenziati in modo da poter offrire l'istruzione secondaria unitamente a chierici e laici, prerogativa, questa, che gli era formalmente riconosciuta da un decreto emanato nel 1852 da L. Cibrario, ministro dell'Istruzione pubblica, con cui veniva sancita la legalizzazione del collegio-convitto istituito dal G. a fianco del seminario.
Personalità austera e intransigente, ma anche aperta e disponibile al dialogo, il G., pur non dimostrandosi avverso al riformismo carloalbertino, contrastò vigorosamente il processo di laicizzazione del Piemonte azegliano e cavouriano. La sua stessa formazione intellettuale, fortemente influenzata dalle teorie di J. de Maistre e di L.-G.-A. de Bonald, lo faceva convinto della fondamentale importanza della religione come fattore di conservazione del potere civile. Ma, pur nella fermezza delle sue convinzioni (nel 1847 su richiesta di Carlo Alberto si era recato a Roma per ottenere che Pio IX condannasse Il gesuita moderno di V. Gioberti), egli per indole riluttava al conflitto e preferiva la via della paziente, anche se poco feconda, mediazione, come avvenne al tempo della crisi innescata dall'arresto (1850) dell'arcivescovo di Torino, mons. L. Fransoni, e, più tardi, in seguito all'iniziativa con cui il vescovo di Casale, mons. L. Nazari di Calabiana, cercò di ottenere il ritiro della legge soppressiva degli ordini religiosi privi di utilità sociale (1855). In questa seconda circostanza il varo della legge a opera del Parlamento subalpino mise in pericolo la sopravvivenza della stessa Congregazione delle terziarie domenicane fondata dal G., ma egli non esitò a ricorrere al patrocinio di P.S. Mancini, ottenendo che la sentenza sfavorevole pronunziata dal tribunale di Mondovì venisse annullata dai giudici torinesi.
Più in generale, per quanto riguarda il rapporto Stato-Chiesa, in Piemonte prima, nell'Italia unita dopo, il G. persistette - anche attraverso contatti diretti con Vittorio Emanuele II - nella ricerca di un'intesa, non riuscendo però a evitare il sospetto di ambiguità che da un lato non gli permise di intaccare la fermezza del Cavour e dall'altro gli alienò le simpatie dell'intransigentismo cattolico. E con quest'ultimo, dopo le prime avvisaglie di attriti degli anni Cinquanta, il dissenso divenne aperto nel 1867, quando, alla vigilia delle elezioni, il G. sostenne con forza l'obbligo della partecipazione dei cattolici al voto politico, con ciò incorrendo dapprima nelle irose polemiche della Armonia di don G. Margotti, quindi in un richiamo indiretto da parte di Pio IX che si assumeva la responsabilità del divieto adducendo come giustificazione l'inammissibilità del giuramento richiesto ai deputati.
Malgrado il suo possibilismo, dettato dalla preoccupazione - forse strumentale ma certamente molto avvertita - di non approfondire il distacco tra Chiesa e società, l'azione del vescovo di Mondovì poggiava su due convincimenti molto fermi: l'inderogabilità del potere temporale (che nel dicembre 1859 lo spingeva a contrapporre all'avviato processo di unificazione l'ipotesi tardiva di una confederazione italiana) e l'infallibilità del pontefice ex cathedra. Precorrendo i tempi della definizione del dogma, sin dal 1846, in una pastorale scritta per l'elezione di Pio IX e subito sequestrata dalle autorità piemontesi perché ritenuta lesiva della "plenitudo potestatis" del principe, il G. attribuiva al papa non soltanto un primato gerarchico, ma anche "dignità e potere che a Dio solo lo rendono inferiore". Questa convinzione, ripresa venti anni dopo nell'opuscolo Ad sacerdotes qui contra summi pontificis auctoritatem detractant vel minuunt (Torino 1867), avrebbe costituito nel 1870-71, al tempo del concilio Vaticano I, la base della posizione infallibilista del G. e della conseguente sua apologia del principio d'autorità, espressa in un altro opuscolo sui Vantaggi religiosi e sociali della dommatica definizione dell'infallibilità pontificia (Torino 1870), dove "la genesi di tutti i mali religiosi e sociali che oggidì si deplorano" era ricondotta allo "spirito d'insubordinazione, per lo quale non si vuol più riconoscere il principio d'autorità, su cui dalla Divina Provvidenza è fondato il reggimento della Chiesa e del civile consorzio".
Il G. morì a Mondovì il 6 giugno 1873.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivi di S. Sabina, Th. Ghilardi; Mondovì, Arch. della Curia vescovile, Carte Ghilardi; Ibid., Arch. del Capitolo della Cattedrale, Lettere pastorali, G.T. G. (1842-1873); Ibid., Arch. del Seminario vescovile, Vita di mons. G.T. G. scritta dal suo segretario G. Martini; A. Ighina, Elogio funebre di mons. G.T. G., Mondovì 1873; E. Manacorda, Discorso nella sepoltura di mons. G.T. G., Mondovì 1873; A. Giordanino, Mons. G.T. G., vescovo di Mondovì. Cennibiografici (1800-1873), Mondovì 1906; A. Rulla, Una gloria dell'episcopato italiano: mons. G.T. G., Alba 1942; P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato, I-III, Roma 1944-61, ad indicem; E. Borghese, La crisi Calabiana secondo nuovi documenti, in Boll. storico-bibliografico subalpino, LVI (1957), pp. 3-59; G. Griseri, Un contributo alla storia del movimento cattolico in Piemonte, ibid., LXI (1963), pp. 257-297; Id., L'allontanamento e la mancata rinuncia di mons. Luigi Fransoni arcivescovo diTorino, ibid., LXIV (1966), pp. 357-492; Id., L'istruzione primaria in Piemonte (1831-1856), Torino 1973; Id., L'arresto e il processo del predicatore svizzero G. Gagliardi(1850), in Boll. della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia di Cuneo, LXXII (1975), pp. 121-132; Id., Direttori spirituali e professori di religione nei collegi-convitti nazionali (1848-51), ibid., LXXXIII (1980), pp. 55-102; Id., La rivoluzione del 1848 nella provincia piemontese. Le "Memorie storiche" di Simone Viara, Cuneo 1982; M.F. Mellano, Cattolici e voto politico in Italia. Il "non expedit" all'inizio del pontificato di Leone XII, Casale Monferrato 1982, pp. 194-219; G. Esposito, La riforma domenicana in Italia a metàOttocento: dal progetto di mons. G. al governo Jandel, in Archivum historicum fratrum praedicatorum, LIX (1989), pp. 213-266; G. Griseri, Formazione del clero, catechesi e predicazione nella chiesa monregalese da M. Casati a S. Briacca (1753-1963), in Boll. della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia di Cuneo, C (1989), pp. 71-149; Id., Il movimento cattolico nella diocesi di Mondovì dalle origini alla sospensione del "non expedit" (1860-1909), in La diocesi diMondovì. Le ragioni di una storia. Miscellanea di studi storici nel VI centenario (1388-1988), Farigliano 1989, pp. 261-329; Id., Le feste per le riforme e lo Statuto nella divisione amministrativa di Cuneo (1848), Cuneo 1998, pp. 43-48; Enc. cattolica, VI, s.v.; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XX, s.v.; Diz. stor. del movimento cattolico in Italia, III, 1, sub voce.