GHERARDINI, Giovanni
Figlio di Giovanni e di una certa Domenica, nacque a Modena il 17 febbr. 1655. Apprese l'arte della quadratura a Bologna, dove fu allievo del pittore A.M. Colonna. Collaborò quindi con G. Pizzoli, anch'egli allievo di Colonna, alla decorazione (perduta) della chiesa bolognese di S. Maria del Soccorso (1678-80: Roli).
Nel 1680 il G. e Pizzoli vennero chiamati in Francia da F.G. Mancini, duca di Nevers, che li incaricò di affrescare una galleria nel suo palazzo. Il G. lavorò ad alcuni affreschi per la chiesa dei gesuiti di Nevers, nonché nella biblioteca della casa dei medesimi a Parigi; di entrambi i lavori, come del resto della produzione del G., non rimane traccia.
In queste occasioni il pittore conobbe il gesuita J. Bouvet, che l'imperatore cinese Kangxi aveva inviato in Francia nel 1693 per reclutare altri gesuiti esperti nelle scienze per la missione di Pechino. Il G. accettò la proposta e si preparò a partire.
Il pittore aveva intanto fatto istanza di essere ammesso alla Accademia reale di pittura e scultura; data l'imminenza della partenza, gli venne concessa, oltre all'onore speciale di prendere congedo dal re, anche la dispensa dall'esecuzione del dipinto la cui presentazione era indispensabile per l'ammissione. Nel certificato è detto che, per volere di Luigi XIV, il G. sarà ammesso all'Accademia reale quando al suo ritorno avrà presentato l'opera prescritta.
Insieme con altri dieci compagni, si imbarcò sul vascello reale "Amphitrite" che il 1° marzo 1698 salpò da La Rochelle. Il 2 novembre la nave arrivò a Canton; e la delegazione francese venne ricevuta dai dignitari inviati dall'imperatore per scortare Bouvet e i suoi compagni sino alla capitale.
Della traversata, come pure del soggiorno cantonese, il G. ha lasciato una Relation du voyage fait à la Chine, sur le vaisseau l'Amphitrite en l'année 1698. Datata 20 febbr. 1699 e redatta in forma di lettera al duca di Nevers la Relation è stata pubblicata a Parigi nel 1700 e quindi tradotta da M. Gualandi con il titolo Relazione di un viaggio in Cina fatto nel 1698 (Bologna 1854). Il resoconto, scritto in uno stile brillante e fitto di citazioni da T. Tasso e L. Ariosto, rivela la profonda cultura del G. nonché la sua perfetta padronanza della lingua francese. In lettere da Pechino, una del febbraio 1700 (trascritta da G. Campori nel 1879) e quattro del novembre 1701 conservate a Londra presso il Public Record Office (una datata il 3 è indirizzata al fratello Rinaldo a Parma) il G. riferisce degli onori che l'imperatore gli aveva riservato. Questi era rimasto affascinato dalla sua pittura e, in particolare, dalla tecnica prospettica; e il G. sembra che fosse apprezzato anche per la sua produzione ritrattistica.
Gao Shiji nel suo Diario segreto del monte delle fate del 1703 - edito in "Collezione di erudizione", serie 1, VII, Shanghai 1912, p. 4b - ricorda che il 2 giugno 1703 l'imperatore gli aveva parlato di un pittore occidentale che aveva eseguito ritratti molto fedeli di due sue spose risultando talmente bravo da poter competere in maestria con Gu Kaizhi, il celebre pittore vissuto nel IV secolo dopo Cristo. È logico pensare che si tratti di due opere, perdute, del G., la cui fama di ritrattista era tale da aver raggiunto anche il Dalai-lama che, secondo quanto riferì padre P. Jartoux a padre J. Fontaney in una lettera datata 20 ag. 1704 (Lettres édifiantes et curieuses écrites des missionnaires de la Compagnie de Jésus, X, Lyon 1819, pp. 3-4, 14), avrebbe chiesto all'imperatore il permesso di farsi fare un ritratto dal Gherardini.
I missionari gesuiti goderono a corte di grande fortuna durante il regno di questo imperatore dalla non comune sensibilità. Nel 1699 Kangxi accordò loro il permesso di edificare una chiesa entro la cinta muraria della città proibita, sul terreno a suo tempo donato alla missione francese, che venne ultimata il 9 dic. 1703. Gli affreschi realizzati dal G. nella volta sono noti solo grazie alla lettera di padre Jartoux del 1704 (ibid.) che ricorda la rappresentazione illusionistica di un edificio a colonne, archi e balaustrate decorate con vasi di fiori, aperto verso il cielo con il Padreterno al centro in una gloria con angeli e santi.
Si possono immaginare le reazioni dei cinesi di fronte a questa macchina barocca, forse ispirata ai modelli romani in S. Ignazio e nella chiesa del Gesù. Essi devono aver provato lo stesso sgomento, del quale riferisce J. Barrow, che suscitò nel 1804 la vista di un dipinto del G., non meglio noto, quando gli astanti ebbero l'illusione della tridimensionalità dinanzi all'ampio colonnato in prospettiva centrale realizzato dal pittore.
Il G. ebbe a corte anche diversi allievi, menzionati come tali nelle memorie di M. Ripa che nel 1711 fu condotto nel gabinetto di pittura del palazzo imperiale e ne vide alcuni impegnati a dipingere a olio su carta coreana.
Avendo ottenuto già dal 1703 il permesso di tornare in patria, il 24 ott. 1704 il G. lasciò la corte per Canton, dove si imbarcò nel gennaio del 1705. Nel dicembre dello stesso anno sbarcò a Londra, come ricorda François Drion in una lettera a monsignor Carlo Augusto Fabroni. Rientrato a Parigi, il pittore poté così coronare il suo sogno di entrare a far parte della prestigiosa Accademia reale di pittura e scultura.
Non si hanno notizie sulla successiva attività del G., che morì in Francia forse intorno al 1729.
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