GELSI, Giovanni
Nacque a Siena da Agnolo e da sua moglie Honesta, di cui non si conosce la famiglia d'origine, e fu battezzato il 14 ott. 1592 (Arlia, p. 18).
Non è noto il suo percorso di studi, probabilmente piuttosto irregolare a causa dei problemi di salute che lo afflissero in gioventù. Coltivò costantemente gli interessi letterari e, col nome di Ammoscito, fu ascritto all'Accademia degli Intronati: la sua impresa era rappresentata da un pallone sgonfiato col motto "ad aethera tumens".
Dopo l'ordinazione sacerdotale fu nominato rettore della canonica di San Clemente, nella diocesi di Arezzo. Intorno al 1624 ottenne il beneficio della canonica di Torre a Castello, presso la quale aveva una residenza la famiglia Piccolomini, che protesse il G. con i suoi favori.
Non si hanno notizie biografiche dettagliate riguardanti il successivo trentennio, durante il quale il G. visse con ogni probabilità in campagna, dedito agli studi letterari, interrotti solo per brevi periodi da qualche soggiorno a Siena, Arezzo, Firenze e Roma. Sono questi gli anni in cui si dedicò alla composizione di alcuni capitoli in versi che ebbero una qualche circolazione manoscritta ai suoi tempi e che egli negli anni Quaranta riordinò in una raccolta introdotta da una lettera dedicatoria con data incompleta (164.).
Sebbene pronta per la stampa, vivente l'autore l'opera non vide la luce. Una sua poesia dedicata alla città natale fu edita in Ariosto, Berni, satirici e burleschi del sec. XVI, a cura di A. Rubbi, Venezia 1787 (tomo XXVII della collana "Parnaso italiano", ove il G. viene definito "poeta ignoto di Siena"), pp. 169-172, e solo nel tardo Ottocento, dopo la riscoperta dell'autore ad opera di un breve saggio antologico di C. Arlia (1879-80), A. Lombardi pubblicò Tre capitoli inediti (Siena 1880) e una scelta delle Rime burlesche (ibid. 1882).
Il manoscritto definitivo che il G. preparò per la pubblicazione è costituito da tre libri: nel primo sono inclusi settanta componimenti (per lo più capitoli berneschi e canzoni), nel secondo una trentina di lettere, parte del carteggio dello scrittore con personalità più o meno illustri dell'epoca, nel terzo epigrammi latini dal G. detti Recurrentia. La materia è estremamente eterogenea. Si va infatti da un attacco alle corti e ai loro frequentatori ("In lode di Cesare Caporali") alla rabbia per un cattivo raccolto agricolo ("Contro Cerere per una mala ricolta di grano"), sino al paradosso dei capitoli "In lode del parasole", "dello scaldaletto" e "della zucca". È comunque possibile individuare un comune denominatore nella forte coloritura autobiografica dei componimenti, nei quali ad argomenti di carattere generale si alterna la narrazione delle non sempre felici vicende occorse al Gelsi. Il genere letterario in cui questi versi si inseriscono è quello della poesia bernesca, del frizzo vivace e arguto che non risparmia forti attacchi polemici verso la società contemporanea. Alcuni capitoli si distinguono per la spontaneità con cui egli descrive le proprie non sempre impeccabili abitudini di vita. In tale ambito va inserita l'invettiva contro la donna che si occupa della sua casa ("In lode d'una serva") e la condanna di Cristoforo Colombo che dalle Indie Nuove aveva "quelle donne qua menate / anzi furie e fetor de' regni bui" ("Contro Cristofano Colombo").
Tre codici manoscritti della raccolta sono attualmente custoditi presso la Biblioteca comunale di Siena, ritenuti dal Lombardi autografi. Il più antico (segnatura H.XI.7) contiene soltanto cinquanta capitoli. A questo seguì, dopo una stesura intermedia (segnatura H.XI.8), la redazione definitiva (H.XI.9). C. Arlia ha dato notizia di un quarto manoscritto, mancante di alcuni fogli, già appartenuto a U. Benvoglienti.
L'ultimo componimento della raccolta, scritto intorno al 1669 con una grafia ormai incerta e tremante, e indirizzato al priore di Selvole, precedette molto probabilmente di poco la morte del Gelsi.
Fonti e Bibl.: L. De Angelis, Biografia degli scrittori sanesi, I, Siena 1824, p. 318; C. Arlia, G. G., in Il Borghini, VI (1879-80), 2, pp. 17-23; 3, pp. 33-37.