GATTI, Giovanni
Figlio di Silvestruccio di Fazio e pronipote di Silvestro (signore di Viterbo tra 1319 e 1329), fu a capo della fazione cittadina che prese il nome - gattesca - dalla sua famiglia protagonista delle lotte che travagliarono Viterbo fra XIV e XV secolo e, pur non ricoprendo cariche straordinarie in seno alle magistrature comunali (fu consigliere, priore, conservatore delle gabelle), ebbe una parte importante nella guida della città.
Il suo ruolo nella vita politica cittadina emerge più che da azioni clamorose, come era avvenuto per i suoi antenati Raniero e Silvestro, da una serie di episodi che si snodano lungo i pontificati di Martino V ed Eugenio IV. Secondo i cronisti viterbesi avrebbe assunto la signoria di Viterbo cacciandone l'abate di San Martino al Cimino che la teneva per Giovanni XXIII, quando nel 1413 la città si arrese alle truppe di Ladislao d'Angiò Durazzo re di Napoli; nel febbraio 1419, dietro pressione di Muzio Attendolo Sforza, gonfaloniere della Chiesa impegnato nella riconquista delle terre occupate dal Tartaglia (Angelo Lavello) e da Braccio da Montone (Andrea Fortebracci), il G. si recò a Firenze per ottenere dal pontefice Martino V Colonna che Tartaglia fosse ripreso al servizio della Chiesa: il che avvenne nel settembre successivo. Da quel momento lo troviamo tra i partigiani del papa Colonna (che gli confermò nel 1419 il possesso del castello di Celleno). L'ostilità della parte ghibellina, organizzata in Viterbo nella fazione maganzese capeggiata dalla famiglia Tignosi, cominciò ad assumere forme più aspre a partire dal 1425, quando il G. venne accusato di essere mandante dell'uccisione di un certo Pietro di Urbino; ma il pontefice lo scagionò dalla grave accusa. Una nuova occasione di scontro fu offerta nel 1429 dall'arrivo di un predicatore, frate Guglielmo da Venosa, il quale suscitò nella popolazione un moto di accesa ostilità nei confronti degli ebrei; il G., insieme con il tesoriere del Patrimonio, Giovanni da Celano, si schierò in loro difesa, ma i Viterbesi reagirono assalendo l'abitazione del Celano, che fu picchiato e cacciato dalla città. L'invio di un commissario papale riportò la calma senza, tuttavia, porre fine né all'ostilità nei confronti del G. né ai contrasti tra le fazioni maganzese e gattesca, che più volte tra 1429 e 1430 incrociarono le armi.
Con la morte di Martino V il G. fu privato di un importante appoggio e, nonostante i suoi tentativi di conquistare la fiducia di Eugenio IV (si pose a capo dell'ambasciata viterbese che si recò per prestargli omaggio dopo l'elezione), l'ostilità di questo verso la famiglia Colonna si ripercosse anche su chi aveva goduto i favori di papa Martino. Il nuovo pontefice cercò di togliergli il potere tramite il rettore provinciale Bartolomeo Bonizi di Orvieto: il G. reagì, stando a quanto racconta il cronista Niccolò della Tuccia, provocando nel maggio 1431 un finto attentato alle porte di Viterbo, per poi intervenire con i suoi uomini armati e presentarsi come difensore della Chiesa, ma ottenne solo di spaventare il rettore, che fuggì a Montefiascone. Il 13 giugno successivo nel Consiglio cittadino il G. prese la parola per riconfermare la fedeltà dei Viterbesi alla Chiesa; dopo la pacificazione con il pontefice, che inviò un nuovo rettore, per dar prova della sua buona disposizione verso la Sede apostolica prese parte alla guerra contro i Colonna, ricevendone lodi dal pontefice, e diede il suo appoggio alla lotta contro Giacomo di Vico, alleato dei Colonna, che si era impadronito di alcuni importanti centri del Patrimonio.
Dopo il 1431 le testimonianze sul G. - costituite principalmente dai suoi interventi in seno ai Consigli, pervenuti nei registri delle Riformanze - lo mostrano impegnato a conservare la fedeltà di Viterbo alla Chiesa e a sostenere il legato Giovanni Vitelleschi nella sua impresa di restaurazione dell'ordine e dell'autorità pontificia nel Patrimonio.
Il G. morì il 23 nov. 1438, compianto e celebrato dai suoi concittadini: il vescovo di Viterbo, Giovanni Cicchini dei Caranzoni, Cristoforo Malvicini e Orazio Romano scrissero per lui epitaffi di cui è pervenuta una trascrizione nel protocollo del notaio Cristoforo Malvicini (prot. 1463); gli succedeva a capo della famiglia il figlio Princivalle, che godeva del favore e della protezione del Vitelleschi.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Reg. Vat. 348, c. 193; 370, c. 18; Arch. di Stato di Viterbo, Archivio notarile distrettuale di Viterbo, prot. 1463; Viterbo, Arch. comunale, Perg., 3907; Riformanze, II, c. 159v; III, c. 104v; IV, cc. 22, 38, 50v, 59-60, 67; V, c. 173; Niccolò della Tuccia, Cronache di Viterbo, in Cronache e statuti della città di Viterbo, a cura di I. Ciampi, Firenze 1872, pp. 46 n., 48-55, 117; J. Guiraud, L'État pontifical après le grand schisme, Paris 1896, p. 28; C. Pinzi, Storia della città di Viterbo, III, Roma 1913, pp. 3, 70, 113, 129, 135-167; IV, ibid. 1913, p. 6; G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, II, 1, Viterbo 1940, pp. 5, 29, 40 n., 43 s., 47, 59, 63 s., 75 n., 76 n., 85, 89; G. Silvestrelli, Città, castelli e terre della regione romana, Roma 1940, II, pp. 647 s., 772; P. Partner, The Papal State under Martin V, London 1958, pp. 58 n., 183 n.; G. Signorelli, I Gatti, in Biblioteca prov. A. Anselmi, Miscellanea di studi viterbesi, Viterbo 1962, pp. 444 s.; M. Miglio, Cultura umanistica a Viterbo nella seconda metà del Quattrocento, in Cultura umanistica a Viterbo, Atti della giornata di studio per il V centenario della stampa a Viterbo,… 1988, Viterbo 1991, p. 17; G. Lombardi, I ricordi di Casa Sacchi (1297-1494), Manziana 1992, p. 130.