STRAPAROLA, Giovanni Francesco
– Dell’autore di un’antologia di rime intitolata Opera nova e delle Piacevoli notti non si conosce quasi nulla. La pressoché totale assenza di documenti è aggravata dalla difficoltà di ricavare dalle sue opere notizie certe sulla vita. Tale situazione ha dato adito a congetture, nelle quali si sono esercitati in modo generoso ma infruttuoso vari eruditi dei secoli scorsi, arrivando spesso a ricostruzioni scarsamente persuasive, se non totalmente infondate. Una di queste riguarda il cognome – che tra l’altro compare in varie forme: Straparola (nelle edizioni delle Piacevoli notti), Strapparola (in una citazione di Anton Francesco Doni nella sua Libraria del 1551), Streparola (nel canzoniere), Streparolle (nell’ex libris conservato a Bergamo, su cui v. oltre) –, che ad alcuni è parso un nome bizzarro, come una sorta di nom de plume. L’ipotesi non è peregrina, ma se è vero che questo cognome risulta un po’ singolare, è comunque un dato incontrovertibile che lo scrittore viene sempre nominato così, anche nell’unico documento ufficiale sopravvissuto che lo riguarda direttamente (v. oltre il privilegio di stampa delle Piacevoli notti). La provenienza da Caravaggio sembrerebbe, invece, un dato più sicuro, visto che l’autore lo specifica sempre accanto al suo nome sia nell’Opera nova sia nelle Piacevoli notti. Un’ulteriore conferma viene da un sonetto compreso nel canzoniere (il n. 114) dedicato appunto al proprio paese: «O Caravagio castel venturato». Non è possibile determinare con precisione quando nacque, in quanto nell’archivio di Caravaggio non si conservano più i registri delle nascite (o dei battezzati nell’archivio parrocchiale) degli ultimi decenni del XV secolo. Dal momento che il poeta pubblicò l’Opera nova a Venezia nel 1508, è in via puramente congetturale che si ipotizza una data di nascita intorno al 1480.
Notizie sulla sua formazione culturale si possono ricavare dalle due opere edite. Conosceva certamente il latino e amava leggere autori italiani, tra i quali Dante (con il commento di Cristoforo Landino), Petrarca e Boccaccio (non solo le opere maggiori), ma anche scrittori più vicini nel tempo o contemporanei: Luigi Pulci, Matteo Maria Boiardo, Iacopo Sannazaro, Ludovico Ariosto, Teofilo Folengo, Ruzante e in genere i novellieri. Era attratto dai cantari e dal variegato mondo della letteratura popolare, dalla quale trasse spunto per molte delle sue «favole». Un interesse per la storia troverebbe poi conferma da un suo possibile ex libris registrato su una copia dell’editio princeps della Mediolanensis patria historia (1503) di Bernardino Corio. Il pesante volume in folio, oggi conservato presso la Biblioteca A. Mai di Bergamo, appartenne inizialmente a un giureconsulto bresciano, come si ricava da un’indicazione posta sopra una delle carte di guardia, ma poi entrò in possesso – non si sa come – di Straparola. Sulla carta seguente, in caratteri maiuscoli prettamente romani e in inchiostro un po’ sbiadito, si legge infatti: «est Jo(annis) Franc(isci) Streparolle et amicor(um)». Il libro è postillato, ma manca ogni termine di confronto per capire se questi appunti siano suoi.
Sembra assai probabile che si sia trasferito abbastanza presto a Venezia, dove, come detto, nel 1508 uscì l’antologia di rime Opera nova per i tipi del milanese Giorgio Rusconi. Il canzoniere, di inevitabile ispirazione petrarchesca, contiene, come dichiara il frontespizio, centoquindici sonetti, trentacinque strambotti, sette epistole e dodici capitoli. Fu ripubblicato a Venezia nel 1515 per i tipi di Alessandro Bindoni, con l’aggiunta di una «Littera overo epistola d’amore» e una canzonetta di congedo.
La distanza cronologica tra quest’opera, verosimilmente giovanile, e la successiva raccolta di novelle è ampia, visto che l’editio princeps del primo volume delle Piacevoli notti è del 1551. In relazione a questa stampa possediamo, come anticipato, un documento riguardante l’autore. Prima della pubblicazione delle sue novelle, infatti, Straparola, seguendo le disposizioni in materia di stampa, chiese il privilegio al Senato veneziano: si sottoponeva doverosamente al controllo della censura, ma insieme si garantiva il privilegio sulla sua opera per dieci anni. Il privilegio, che si può ora leggere nel registro Senato Terra 37, c. 4v, conservato all’Archivio di Stato di Venezia, gli fu concesso l’8 marzo 1550: relatori furono i consiglieri Ludovico Barbadico, Tommaso Contarini, Francesco Venier e Zaccaria Duodo. I risultati della votazione attestano l’ampia maggioranza ottenuta: 138 favorevoli, 5 contrari, 4 astenuti. La filza corrispondente, sempre conservata all’Archivio di Stato di Venezia, contiene la minuta di questo privilegio, ma non c’è traccia di documenti riguardanti la richiesta di Straparola, a differenza dell’altra istanza (di don Calisto di Piacenza circa un’opera intitolata Enarrazione delli Evangeli) votata contestualmente. In calce alla lettera dedicatoria del primo libro c’è la data 2 gennaio 1550 more veneto (quindi nei primi mesi del 1551). Il secondo volume delle Piacevoli notti fu pubblicato due anni dopo ed è inaugurato da una lettera di dedica dello stesso Straparola alle donne, datata 1° settembre 1553. Nel periodo intercorrente era già uscita una nuova stampa del primo libro (1551), pubblicazione che attesta l’immediato successo dell’opera.
Le piacevoli notti sono una delle raccolte più singolari e interessanti del panorama novellistico italiano del XVI secolo. In esse, infatti, si attua diffusamente la volontà e si esercita concretamente lo sforzo di dare forma letteraria alla fiaba popolare, trasfigurandola artisticamente secondo gli schemi e i moduli tradizionali della novella decameroniana. Trovano qui la loro prima consacrazione letteraria fiabe divenute poi celebri come Il gatto con gli stivali, L’augellin belverde, Mezz’uomo, La fanciulla dalle mani mozzate ecc., e non è un caso, dunque, che studiosi e compilatori di motivi fiabeschi del Settecento e dell’Ottocento vi abbiano attinto largamente, indicando l’opera come il capostipite di una lunga e fortunata tradizione.
La struttura è semplice: in un palazzo di Murano, negli ultimi giorni di un imprecisato carnevale, si raduna attorno a Lucrezia, figlia di Ottaviano Maria Sforza, una brigata formata da dieci fanciulle e da alcuni personaggi insigni della Venezia primo cinquecentesca come Pietro Bembo, Bernardo Cappello, Giambattista Casali, Antonio Molino, detto il Burchiella e così via. Ogni notte, per un totale di tredici, si raccontano cinque novelle, chiamate «favole», tranne l’ultima notte in cui se ne raccontano tredici. Il primo libro – che si interrompe improvvisamente e che dunque presuppone un seguito – comprende venticinque testi, il secondo quarantotto, per un totale di settantatré. Alla fine di ogni «favola» segue un enigma, generalmente proposto, tranne rare eccezioni, dalla novellatrice o dal novellatore: il testo, in ottave di endecasillabi (quello della VI 1, di sei versi, più che a un’eccezione fa pensare a una lacuna della princeps mai colmata nelle edizioni successive), è una sorta di indovinello, molte volte apparentemente osceno, che viene proposto agli astanti. Poi, constatata la loro incapacità di risolverlo, generalmente – ma ci sono delle eccezioni – viene risolto dallo stesso proponente, che ottiene così il plauso generale: è questo lo schema che si ripropone quasi invariato al termine di ogni novella. Le notti sono poi inaugurate da madrigali, canzoni o strofe di canzoni.
Se il desiderio di rinnovare il genere e la ricerca di qualcosa di nuovo spinsero più o meno consapevolmente l’autore a inserire nell’aura della letteratura moduli e temi della tradizione orale, tuttavia l’intuizione delle potenzialità narrative del materiale fiabesco non consentì a Straparola di portare fino in fondo il suo progetto innovativo, imponendo la fiaba come espressione letteraria alternativa. Dunque l’eruzione di questa materia, fluida e magmatica, venne subito canalizzata in una cornice in cui è fin troppo visibile il modello decameroniano e venne portata a convivere con schemi più tradizionali come novelle erotiche, racconti di beffe, vicende esemplari, avventure tragiche, ai quali si aggiunsero anche due novelle in dialetto (bergamasco e pavano) e più di venti traduzioni dalle novelle di Girolamo Molini (autore di una raccolta di Novellae in latino pubblicate a Napoli nel 1520). Questa pesante intromissione, confinata nel secondo libro, potrebbe far pensare alla fretta di Straparola di chiudere il lavoro, forse su sollecitazione degli editori o su istanza del mercato, che aveva riservato, come si è visto, un’accoglienza calorosa al primo volume.
Il risultato è un’opera ampia, complessa e variegata, la quale incontrò subito uno straordinario successo di pubblico, attestato da più di venti edizioni, tutte veneziane, nell’arco di sessant’anni, e dalle altrettanto fortunate traduzioni in francese (1560 e 1572) e spagnolo (1578). Questo successo è confermato dal fatto che il libro, nonostante i rimaneggiamenti e gli aggiustamenti imposti dalle prescrizioni censorie e dai controlli sempre più rigorosi dell’Inquisizione, continuò comunque a essere pubblicato nel secondo Cinquecento. Si può pensare che gli editori avessero un evidente vantaggio ad assecondare gli interessi e la domanda del pubblico e quindi a far stampare a ogni costo l’opera, in alcuni casi con un buon margine di rischio, in altri con una calcolata acquiescenza alle imposizioni con opportuni, ma non sempre consoni, ritocchi nelle novelle giudicate più sconvenienti agli occhi della censura ecclesiastica.
In passato si è ritenuto di ricavare per congettura l’anno della morte dello scrittore da alcuni dati editoriali. Nell’introduzione di Paul Jannet alla riedizione della traduzione francese delle Piacevoli notti (1857), si sostiene che Straparola sarebbe morto tra il 1557 e il 1558, opinione poi condivisa da tutti coloro che si sono occupati dell’autore. Jannet fondava la sua ipotesi sul fatto che l’edizione del 1557 riporta in colophon l’espressione «ad instanza dell’autore», formula sempre presente a partire dalla princeps del secondo volume (1553), che però non compare più nell’edizione dell’anno successivo (1558), a opera comunque di altri librai e tipografi. È lecito dubitare di questa ricostruzione. Innanzi tutto le edizioni 1556 e 1557 sono emissioni di quella del 1555 e quindi la data di morte potrebbe anche essere retrodatata: non ci fu, infatti, una specifica edizione 1557 diversa dalle precedenti. Inoltre le due principes e le stampe successive non rivelano interventi da parte dello scrittore, anzi, le incongruenze già evidenti nelle prime edizioni rimasero tali anche nelle seguenti, cosicché, se proprio si volesse percorrere la pur infida pista editoriale per congetturare la data di morte di Straparola, non si dovrebbe scendere oltre il 1553. È più prudente, almeno per ora, rassegnarsi a un altro punto oscuro di una biografia avvolta nell’ombra.
Fonti e Bibl.: Il primo esteso e significativo contributo sullo scrittore è la monografia di F.W.I. Brakelmann, G.F. S. da Caravaggio. Inaugural-Dissertation zur Erlangung der philosophischen Doctorwürde, Göttingen 1867, tesi di dottorato che ha il merito di raccogliere tutta una serie di annotazioni precedentemente sparse relative alla biografia dell’autore, alle edizioni dell’opera e alle fonti. Dopo pochi anni, Straparola venne valorizzato grazie all’opera paziente e meritoria di Giuseppe Rua, il quale fornì il primo studio specifico e sistematico sul novelliere e approntò la prima edizione moderna delle Piacevoli notti (I, Bologna 1898, e II, 1908); sia i saggi G. Rua, Intorno alle «Piacevoli notti» dello S., in Giornale storico della letteratura italiana, 1890, vol. 15, pp. 111-151, e Id., Intorno alle “Piacevoli notti” dello S., ibid., 1890, vol. 16, pp. 218-283, dedicati soprattutto al minuzioso recupero delle fonti e a chiarire alcune questioni biobibliografiche, sia il volume monografico Tra antiche fiabe e novelle, I. Le “Piacevoli notti” di messer G.F. S., Roma 1898 (dove tra l’altro si traccia un profilo della fortuna europea dell’opera e si discutono i più significativi contributi eruditi o critici precedenti) rappresentano il suggello di una stagione critica dedicata al riconoscimento e al riordino delle fonti tematiche, ma condizionata dal punto di vista interpretativo da forti remore puristiche e moralistiche. L’edizione Rua è stata a lungo testo vulgato fino all’attuale edizione critica di riferimento: G.F. Straparola, Le Piacevoli notti, a cura di D. Pirovano, Roma 2000, nell’ambito della collana I novellieri italiani diretta da Enrico Malato.
L’ex libris di Straparola fu segnalato la prima volta da A. Mazzi, Un ex libris di G.F. S., in Bollettino della civica biblioteca di Bergamo, 1909, p. 155.
Tra i principali contributi critici apparsi negli ultimi decenni si segnalano: G. Bàrberi Squarotti, Problemi di tecnica narrativa cinquecentesca: lo S., in Sigma, II (1965), pp. 84-108; G. Mazzacurati, La narrativa di G.F. S. e l’ideologia del fiabesco, in Id., Forma e ideologia, Napoli 1974, pp. 67-113 (poi anche in Id., All’ombra di Dioneo, Firenze 1996, pp. 151-189); M. Guglielminetti, La cornice e il furto. Studi sulla novella del ’500, Bologna 1984, con pagine su Straparola a proposito della cornice delle Piacevoli notti e un capitolo specifico, Il plagiatore plagiato (lo S. fra il Morlini e il Basile), dove viene chiarito in termini nuovi (rispetto alle considerazioni di inizio Novecento) il rapporto tra Girolamo Morlini e Straparola e poi il rapporto con Giambattista Basile; R. Bragantini, Il riso sotto il velame. La novella cinquecentesca tra l’avventura e la norma, Firenze 1987 (in partic. il capitolo La magia e la regola). Più legati all’elemento specifico della fiaba, aspetto importante ma comunque non esclusivo delle Piacevoli notti, sono altri studi: in partic. S. Calabrese, L’enigma del racconto. Dallo S. al Basile, in Lingua e stile, II (1983), pp. 177-198 (poi ampliato, rivisto e corretto in Id., Gli arabeschi della fiaba. Dal Basile ai romantici, Pisa 1984, pp. 37-70); e soprattutto M. Petrini, La fiaba di magia nella letteratura italiana, Udine 1983, con un capitolo dedicato a Straparola (pp. 153-165) e al suo particolare uso delle strutture fiabesche. Una lettura delle Piacevoli notti in rapporto al modello decameroniano è in M. Cottino Jones, Il “picciol dono” di G.F. S.: “Le Piacevoli notti”, in Il dir novellando: modelli e deviazioni, Roma 1994, pp. 129-190. A margine dell’edizione critica e commentata del 2000, sono usciti gli studi di D. Pirovano, Una storia editoriale cinquecentesca: “Le piacevoli notti” di G.F. S., in Giornale storico della letteratura italiana, CLXXVII (2000), pp. 540-569; e Per l’edizione de “Le piacevoli notti” di G.F. S., in Filologia e critica, XXVI (2001), pp. 60-93. Si segnalano da ultimo il volume di R.B. Bottigheimer, Fairy Godfather: S., Venice, and the fairy tale tradition, Philadelphia 2002, dedicato soprattutto alle fiabe, e il capitolo La fiaba in cornice di G.F. S, nel volume di S. Carapezza, Novelle e novellieri. Forme della narrazione breve nel Cinquecento, Milano 2011, pp. 123-156.