RUBINO, Giovanni Francesco
– Nacque a Torino da padre siciliano il 14 marzo 1918.
Si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Torino conseguendo la laurea nel 1942; a Torino svolse la sua lunga carriera in clinica medica e medicina del lavoro sino alla nomina, nel 1994, a professore emerito. Nel corso della seconda guerra mondiale fu ufficiale del corpo sanitario aeronautico; partecipò probabilmente alla Resistenza e fu certamente legato agli ambienti antifascisti torinesi, divenendo amico di Cesare Pavese, Giulio Einaudi, Felice Casorati e Raf Vallone. Sposò Alda ‘Dada’ Grimaldi, attrice e poi regista televisiva ricordata soprattutto per il programma Il teatro dei ragazzi; la coppia non ebbe figli.
Rubino trascorse i primi venticinque anni di lavoro nella clinica medica diretta prima da Carlo Gamna, poi da Pio Bastai (dal 1950 al 1958) e quindi da Giulio Cesare Dogliotti. Si dedicò con impegno alle ricerche di laboratorio, iniziate nell’immediato dopoguerra durante un prolungato ricovero nel villaggio sanatoriale di Sondalo e poi continuate con Franco Ceresa nel laboratorio di endocrinologia della clinica medica. Le ricerche riguardarono in particolare il metabolismo degli steroidi e le sindromi genitali maschili; ne risultò la proposta di una prova di stimolazione gonadotropinica per la diagnosi differenziale fra ipogonadismi primitivi e secondari, nota anche come ‘prova di Rubino e Ceresa’. Nel 1948 conseguì a Milano la specializzazione in medicina del lavoro, nel 1951 l’abilitazione alla libera docenza in patologia medica e nel 1954 quella in medicina del lavoro.
Con Bastai, alla clinica medica di Torino arrivò anche Massimo Crepet, orientato verso la medicina del lavoro: sarebbe stato chiamato alla cattedra di medicina del lavoro dell’Università di Padova nel 1956, sostituendo Salvatore Maugeri, che in quello stesso anno era passato a Pavia. Con Crepet, Rubino studiò il saturnismo e in particolare la patogenesi dell’anemia e il metabolismo porfirinico. A tal proposito pubblicò una monografia, Le porfirie (Torino 1961), che gli procurò discreta notorietà. Nel 1959 portò a termine un ampio progetto di studio sperimentale sull’intossicazione cronica da tricloroetilene (in La medicina del lavoro, 1959, vol. 50, pp. 733-765), capace di rendere conto dell’assorbimento, del metabolismo e del catabolismo di quel composto clorurato che all’epoca andava diffondendosi nell’ambiente di vita e di lavoro; descrisse il complesso quadro clinico assimilato a una sindrome diencefalica tossica, che gli valse il premio Lavoro umano.
Negli anni Sessanta del Novecento, con i suoi primi collaboratori produsse contributi di clinica e di laboratorio di medicina del lavoro (in particolare sulle pneumoconiosi) presentati con assiduità nei congressi della Società italiana di medicina del lavoro e in alcune monografie con evidenti intenti didattici (Intossicazioni professionali, Torino 1962, con L. Pettinati; Pneumoconiosi evolutive, Torino 1963, con G. Scansetti; Patologia da agenti fisici, Torino 1966, con L. Pettinati; Patologia rurale, Torino 1968, con L. Pettinati).
Nel 1968, nominato professore straordinario (ordinario nel 1971), Rubino costituì e diresse (sino al 1993) un nuovo istituto di medicina del lavoro a Torino, l’ultimo della serie dei centri traumatologici ortopedici (CTO) eretti in Italia dall’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL), che vi dirigeva propri assicurati per accertare o escludere la presenza di una malattia professionale. Questo era generalmente il compito piuttosto limitato richiesto alla medicina del lavoro italiana. A Torino, uno dei vertici del ‘triangolo industriale’, Rubino si mosse con difficoltà, dovendo fronteggiare la nascita, proprio in quella città, di un movimento di lotta alla nocività con caratteristiche di radicalità e di autonomia tecnico-scientifica, animato da Ivar Oddone, un medico non proveniente dalla medicina del lavoro accademica. Rubino mantenne il suo istituto a un buon livello di ‘clinica’ del lavoro, non si fece intimorire dalla onnipresenza della FIAT nella città-fabbrica, innovò le risorse di personale e strumenti in direzione dell’igiene industriale e dell’epidemiologia, accettò la collaborazione con gli enti locali e in particolare con la Provincia di Torino; non favorì, ma neanche si oppose al montante movimento sindacale di lotta contro la nocività. Rubino e i suoi collaboratori, in particolare Giovanni Scansetti, attuarono progetti di ricerca di lungo periodo, con una serie di contributi duraturi sulla cancerogenesi da lavoro: sui minatori di talco della Val Chisone; sulla patologia correlata all’amianto; sui lavoratori esposti ad amine aromatiche nella famigerata fabbrica IPCA (Industria Piemontese dei Colori di Anilina) di Cirié; sui lavoratori della gomma esposti ad alcune amine aromatiche e a talco con impurità fibrose.
Il sistematico studio di coorte dei lavoratori dell’IPCA mise in evidenza un eccesso straordinario di morti per tumori della vescica e permise di scoprire in particolare il ruolo cancerogenetico dell’orto-toluidina (G.F. Rubino et al., The carcinogenic effect of aromatic amines: an epidemiological study on the role of o-toluidine and 4,4-methylene bis (2-methylaniline) in inducing bladder cancer in man, in Environmental research, 1982, vol. 27, pp. 241-254).
Importante fu il lavoro svolto da Rubino sull’amianto. Effettuò dapprima studi clinici ed esaminò quindi gli effetti della fibra minerale sulla salute dei lavoratori e poi dei cittadini. Nel 1968 coordinò un convegno di studio che doveva suscitare un allarme purtroppo inascoltato.
Nelle conclusioni egli sostenne: «Si è parlato molto di prevenzione e abbiamo sentito con estremo interesse che è allo studio una serie di norme legislative che dovrebbero portare a stabilire, cosa che secondo noi ha sempre costituito l’unico mezzo reale di prevenzione, il massimo tollerabile di polverosità. Questa norma fatalmente dovrà portare alla scomparsa della polvere» (Atti del Convegno di studi sulla patologia da asbesto... 1968, Torino 1969, pp. 183 s.). Nello stesso convegno venne presentato un ‘ordine del giorno’ che esprimeva l’urgente necessità di «adottare un adeguato controllo delle Massime Concentrazioni Accettabili delle polveri; provvedere all’isolamento dei reparti più inquinati e all’installazione di idonee apparecchiature di aerazione e di depurazione degli ambienti di lavoro; impedire che la mano d’opera giovanile venga addetta alla lavorazione dell’amianto; far conoscere obbligatoriamente ai lavoratori, al momento dell’assunzione presso le industrie dell’amianto, i rischi a cui sono sottoposti» (pp. 185 s.).
La Provincia di Torino finanziò per qualche anno, sino al 1976, un centro per la prevenzione dell’asbestosi diretto da Rubino, che produsse soltanto due studi epidemiologici, sull’asbestosi e sul mesotelioma in Piemonte (G.F. Rubino et al., Epidemiology of pleural mesothelioma in North-Western Italy (Piedmont), in British journal of industrial medicine, 1972, vol. 29, pp. 436-442), uno studio sull’evoluzione radiologica dell’asbestosi (G.F. Rubino et al., Radiologic changes after cessation of exposure among chrysotile miners in Italy, in Annals of the New York Academy of sciences, 1979, vol. 330, pp. 57-162) e un altro sulla mortalità della coorte dei minatori di Balangero (G.F. Rubino et al., Mortality of chrysotile asbestos workers at the Balangero mine, Northern Italy, in British journal of industrial medicine, 1979, vol. 36, pp. 187-194). Una ulteriore indagine venne svolta sui lavoratori del cemento-amianto, in cui si evidenziava un eccesso di tumori polmonari correlato con l’intensità e la durata dell’esposizione all’amianto (G.F. Rubino et al., Analisi della mortalità per tumore polmonare nei lavoratori del cemento-amianto indennizzati per asbestosi, in Atti del 44° Congresso nazionale della Società italiana di medicina del lavoro e di igiene industriale... 1981, Padova 1981, pp. 73-79). Erano studi condotti con rigore e con la collaborazione di specialisti stranieri, ma non bastarono a contrastare l’epidemia di patologie correlate con l’amianto e specialmente di mesotelioma pleurico che si sarebbe manifestata con più violenza nei decenni successivi.
Rubino fu per oltre un quarantennio consulente sanitario di un’azienda telefonica torinese; negli ultimi anni della sua attività lavorò sul rischio, forse allora troppo esaltato e temuto, dell’introduzione dei videoterminali. Sono da ricordare infine le quattro edizioni (Torino 1976, 1979, 1985, 1992) del manuale Elementi di medicina del lavoro, poi Medicina del lavoro, realizzate da Rubino con Luigi Pettinati. Nel 1991 gli venne assegnato il premio internazionale Buccheri-La Ferla per la medicina del lavoro. Viene anche ricordato per la sua vivacità e curiosità, per la frequentazione di artisti, per alcuni tratti di anticonformismo e, non ultimo, per la sua competenza in campo enologico.
Morì a Torino il 5 aprile 1997.
Fonti e Bibl.: G. Scansetti, In ricordo di G.F. R., in La medicina del lavoro, 1997, vol. 88, pp. 93 s.; Id. et al., Seduta scientifica in onore del maestro prof. G.F. R.: le principali attività di ricerca, in Giornale della Accademia di medicina di Torino, 1998, vol. 161, pp. 146-161; S. Actis Dato, Documenti sul Centro prevenzione asbestosi relativi alla sua nascita e morte, tesi di laurea, Università di Torino, facoltà di scienze della formazione, corso di laurea in pedagogia, Torino 1999, pp. 69-71 e passim; F. Carnevale - A. Baldasseroni, Esperienza operaia, osservazione epidemiologica ed evidenze scientifiche in un caso emblematico: gli effetti nocivi della produzione e dell’impiego di amine aromatiche in Italia, in Epidemiologia e prevenzione, 1999, vol. 23, pp. 277-285; E. Merler et al., Occupational cancer in Italy, in Environmental health perspectives, 1999, vol. 107, supplement 2, pp. 259-271; F. Carnevale, Amianto: una tragedia di lunga durata. Argomenti utili per una ricostruzione storica dei fatti più rilevanti, in Epidemiologia e prevenzione, 2007, vol. 31, pp. 53-74; L. Tomassini, La salute al lavoro. La Società italiana di medicina del lavoro e igiene industriale dalle origini a oggi, Milano-Piacenza 2012, pp. 131-133; F. Carnevale, Salute, classi lavoratrici ed istituzioni, in Storia del lavoro in Italia, a cura di F. Fabbri, Il Novecento (1945-2000). La ricostruzione, il miracolo economico, la globalizzazione, a cura di S. Musso, Roma 2015, pp. 416-485.