POZZA, Giovanni Francesco Natale
POZZA, Giovanni Francesco Natale. – Nacque a Schio (Vicenza) il 14 novembre 1852 dall’ingegnere Giovanni Battista e da Emilia Nazzari. In giovane età si trasferì con la famiglia a Milano, dove frequentò il Liceo classico per poi iscriversi alla Facoltà di matematica, che presto abbandonò per quella di lettere e filosofia dell’Accademia letterario-scientifica.
Vicino agli ambienti della Scapigliatura, non concluse gli studi universitari per dedicarsi al giornalismo, entrando da subito nella redazione de Il Pungolo su invito del direttore Leone Fortis, che gli affidò la critica teatrale e la traduzione di romanzi di appendice. Fondò poi il periodico letterario Il Re di picche e, nel 1882, il settimanale satirico Guerin Meschini, che diresse con il fratello Francesco (noto come 'Pozza biond' per distinguerlo da lui, detto 'Pozza negher') e con Carlo Borghi. Con quest’ultimo e Dario Papa collaborò al quotidiano L’Italia fino al 1887, anno in cui Eugenio Torelli Viollier gli affidò la rubrica di critica teatrale del Corriere della sera e, alla morte di Alfredo Colombani, nel maggio 1900, anche la rubrica di critica musicale, che Pozza tenne continuativamente fino alla morte (1914).
All’attività di critico, Pozza affiancò quella più occasionale di poeta, librettista (con Luigi Illica approntò il libretto Il vassallo di Szigeth per il compositore Antonio Smareglia: la prima dell’opera fu a Vienna nel 1898, in tedesco) e, soprattutto, traduttore-adattatore di libretti per musica: gli si deve, fra l’altro, la prima versione ritmica italiana del Parsifal di Richard Wagner (Milano 1913). Per la scena teatrale, Pozza compose la commedia Dramma borghese, rappresentata con scarsa fortuna al teatro Manzoni di Milano il 9 dicembre 1884, e la rivista satirica El sogn de Milan, scritta nel 1894 col fratello Francesco e Carlo Bertolazzi. «Non alto, magro, scarno il volto, nascosto in gran parte dalla barba che gli scendeva a pizzo quadro e dagli occhiali in bilico sul naso forte, aveva un aspetto da professore cui non sfugge il minimo errore, mentre gli occhietti aguzzi che gli brillavano dietro le lenti, testimoniavano la vivacità della sua intelligenza» (Possenti, 1964, p. 48).
Refrattario ai parametri critici precostituiti e forte di una salda cultura letteraria e teatrale, Pozza seppe evitare il superficiale impressionismo di molti suoi contemporanei e, nonostante la dichiarata adesione al naturalismo, valutò con intelligenza, equilibrio e onestà anche le esperienze sceniche e drammaturgiche a esso estranee. Nella sua lunga carriera d’informatore attento e sorvegliato degli avvenimenti spettacolari si sforzò, infatti, di individuare un punto di incontro tra la ricchezza della tradizione, ch’egli avvertiva come non esaurita, e l’incessante apparire di proposte nuove, con le quali riteneva necessario confrontarsi. Spettatore acuto dei drammi di Henrik Ibsen e convinto estimatore di Eleonora Duse, sostenitore di una drammaturgia italiana moderna d’impianto naturalista (accolse Tristi amori di Giuseppe Giacosa con parole di elogio), Pozza introdusse nella critica di fine secolo l’esigenza di un resoconto stilisticamente meno elaborato, ma più dettagliato dal punto di vista informativo. S’impegnò, infatti, a fornire sempre elementi di giudizio concreti sull’esecuzione del testo teatrale alla quale aveva assistito, in modo da dare ai suoi molti lettori indicazioni utili per meglio comprendere e valutare lo spettacolo. «Il suo sì e il suo no erano così limpidamente motivati da rendere difficile il dissentire. Il pubblico s’affidava a Giovanni Pozza per la ponderata austerità e per la penetrante sincerità delle sue sentenze. C’era, nel suo ragionare, una esattezza da matematico» (p. 48).
Pozza rivalutò per primo la funzione dello spettatore nei confronti della messinscena. «Non c’è articolo di Pozza in cui gli spettatori non costituiscano un elemento dialettico dell’evento scenico: le loro predilezioni, le loro insofferenze, le loro contraddizioni sono colte su un piano non solo cronachistico. Lo stesso atteggiamento negativo nei confronti del pubblico e delle sue scelte non nasce in Pozza da una preoccupazione intellettualistica o da un’esagerata considerazione delle prerogative del critico, ma dalla precisa consapevolezza che gli spettatori hanno bisogno di essere stimolati e guidati in scelte spesso difficili» (Antonucci, 1990, p. 66). Pozza non solo privilegiò come elemento di giudizio il rapporto tra la rappresentazione e il pubblico, ma valorizzò costantemente il ruolo della scenografia e dei costumi, allora considerati aspetti marginali dello spettacolo teatrale e, quindi, trascurati dalla critica. «Non esiste infatti una recensione in cui, dopo aver parlato dell’autore, raccontato la trama e fatto conoscere il suo parere, indugiando spesso molto più sulle ragioni spettacolari che non sulla ‘poeticità’, sui fatti di costume che non sulla eleganza libresca, con una precisa conoscenza degli umori del pubblico, manchi di dare notizia della scenografia, allora ritenuta dominio esclusivo dei capocomici, che in genere puntavano sul risparmio, oppure sul cattivo gusto ammantato di grandiosità. E talora gli stessi costumi, magari ritornando una seconda volta sui pregi di un allestimento che aveva colpito la sua immaginazione, a distanza di poche ore dalla prima nota buttata giù sotto l’assillo della fretta, con più calma e meditata precisione» (Giovanni Pozza, a cura di Cibotto, 1971, pp. XXV s.).
Raffinato critico teatrale, frequentò con assiduità anche la scena musicale milanese (fu amico fraterno di Franco Alfano, al quale suggerì il soggetto de La leggenda di Sakùntala) e da subito si rivelò un acuto critico musicale. «Era un’arte quasi nuova per lui. Ma con quale dignità la esercitò! Come seppe essere il chiaro commentatore e il divulgatore dei nuovi spiriti e delle nuove forme del teatro lirico! Con quale agilità si mosse in un mondo che non era quello della sua giovinezza e dei suoi studi maggiori! La musica divenne anzi il suo supremo amore. Talvolta si proponeva persino di essere infedele al teatro di prosa. Era un bisogno indefinito che si affermava in lui. Studiava ore e ore. Stava ore e ore al pianoforte» (Simoni, 1920, pp. 56 s.). Considerato per oltre quarant’anni il 'pontefice massimo' della critica milanese sia teatrale sia musicale, Pozza fu inventore di un modello di recensione che, dopo avere influenzato la maggior parte della critica di quegli anni e avere indirizzato gusti e interessi del pubblico, fu portato al massimo grado da Renato Simoni, che gli successe al Corriere della sera.
Morì a Milano l’11 aprile 1914.
Fonti e Bibl.: R. Simoni, Gli assenti. Profili, Milano 1920, pp. 45-57; E. Possenti, Anche la critica ha avuto i suoi eroi. G. P., in Il Dramma, XL (febbraio 1964), pp. 47 s.; G. P. Cronache teatrali (1886-1913), a cura di G.A. Cibotto, Vicenza 1971; P.D. Giovanelli, La società teatrale in Italia fra Otto e Novecento. Lettere ad Alfredo Testoni, III, Roma 1984, p. 1479; G. Antonucci, G. P., in Storia della critica teatrale, Roma 1990, pp. 59-66 e nota bibliografica, pp. 235 s.; F. Malara, Una professione inedita: il critico teatrale, in Storia del teatro moderno e contemporaneo, a cura R. Alonge - G. Davico Bonino, II, Torino 2000, pp. 926 s.; O. Palmiero, G. P. e il «Corriere della Sera»: rassegna bibliografica dei suoi scritti di critica musicale, in Fonti musicali italiane, XI (2006), pp. 223-256; M. Cambiaghi, Il caffè del Teatro Manzoni. Autori e scena a Milano tra Otto e Novecento, Milano 2013, passim; A. Petrini, Attori e scena nel teatro italiano di fine Ottocento. Studio critico su Giovanni Emanuel e Giacinta Pezzana, Torino 2013, passim.