CANOBIO (Cannobio, Cannobi), Giovanni Francesco Mazza di
Nacque a Bologna da famiglia nobile, dedita alla mercatura, che fu in rapporti d'affari con la legazione pontificia durante le sessioni bolognesi del concilio, nel 1549 (Jedin), e contò negli anni successivi, oltre al C., anche un altro dignitario ecclesiastico, Giovanni Battista, che fu segretario alle dipendenze di Tolomeo Galli e protonotario apostolico (cfr. Forcella e Jedin). Nel 1544 si trasferì a Roma, dove servì il cardinal Sadoleto; dopo la morte di questo, compì gli studi universitari a Padova dove si addottorò in legge nel 1548.
Tornato a Bologna (1548), fu utilizzato dal legato Giovanni Maria Del Monte, più tardi papa Giulio III, nel corso di due missioni diplomatiche, a Venezia e a Parma. Nel '53 si recò in Portogallo per offrire la legazione di quel regno al cardinale Enrico, fratello del re Emanuele; entrato ormai nella diplomazia pontificia; seguì in Fiandra il legato Carlo Carafa nel '58. In quel tempo era stato nominato referendario delle due Segnature. Fino all'anno 1560 rappresentò la S. Sede in Spagna, e portò a Roma la replica di Filippo II alle proposte di riapertura del concilio, avanzate da papa Pio V. Al problema della partecipazione dei principi cristiani al concilio, ormai prossimo, è legata la sua attività di maggiore impegno e risonanza, svolta nel corso del 1561. Fu inviato presso l'imperatore Ferdinando una prima volta nel febbraio di quell'anno, per consegnargli lo stocco e il berretto benedetti; ma l'imperatore esitò prima di accettarli solennemente in chiesa, in quanto simboli della lotta agli eretici per la tutela degli interessi ecclesiastici, male accetti alla nobiltà protestante. Ancora una volta a Vienna nel marzo successivo, consegnò a nome del pontefice una rosa d'oro alla sposa dell'arciduca Massimiliano; ma, in effetti, aveva incarico di trattare diverse materie pertinenti al concilio.
Il C. aprì il discorso sulla venuta a Trento dei vescovi di Germania e sull'eventuale incontro a Bologna tra le due massime autorità tradizionali dell'Europa cristiana. Contemporaneamente rese nota l'intenzione del pontefice d'invitare al concilio i sovrani di Polonia, Prussia e Moscovia: all'imperatore restava la scelta della persona adatta per svolgere questa missione nell'Europa settentrionale. La risposta di Ferdinando fu negativa riguardo all'invio dei vescovi a Trento e all'incontro col papa, fredda per la missione in Moscovia: probabilmente riaffioravano i timori già suscitati dal recente progetto della S. Sede di concedere il titolo regale a Ivan IV, cui si aggiungeva la riluttanza a vedere il Moscovita invitato al concilio come erede di Bisanzio. Non vi fu tuttavia opposizione esplicita, e il cardinale Osio, nunzio a Vienna, conferì l'incarico allo stesso Canobio.
L'idea di invitare Ivan IV al concilio era nata nei circoli vicini al pontefice ed era stata partecipata da Carlo Borromeo al Commendone, allora nunzio in Germania, che ne era rimasto conquistato. Anche Stanislao Osio nutriva qualche speranza se, nell'aprile, proponeva allo stesso Borromeo, incaricato della corrispondenza con i principi ed i rappresentanti diplomatici all'estero, che il C. affrontasse anche il problema della pace, da concludere fra Russia, Livonia e Polonia. Quindi il C. fu raccomandato dall'Osio al re di Polonia, suo sovrano, ed entrò in contatto con Marcin Kromer, rappresentante di Sigismondo alla corte di Vienna.
Da varie parti d'Europa si seguiva lo sviluppo della missione affidata al C., ma presto cominciarono a giungere le prime voci mitiche: il duca Alberto di Baviera riteneva che egli non sarebbe riuscito a passare in Polonia e che, per di più, la sua azione avrebbe esasperato la Germania intera. In quegli stessi giorni, anche l'Osio sembrava scosso nel suo originario ottimismo: "Quinque sunt ibi iam exercitus, imo sex prope... His itaque difficultatibus impeditus, ut in Moschoviam dominus Canobius venire possit, metuo" (lettera a G. F. Commendone, Vienna, 17 giugno 1561, in Concilium, p. 227). Particolarmente scettico sull'opportunità della missione del C. si mostrò subito il nunzio in Polonia, Berardo Bongiovanni. Questi consigliò al C. di tacere su ogni eventuale accordo con l'imperatore e di cercare, invece, un'intesa con il palatino di Vilna, l'eretico Mikolai Radziwill Czarny. A suo giudizio, importava soprattutto non perdere la fiducia del re di Polonia, nel problematico tentativo di guadagnarsi il favore del Moscovita; sembra, invece, che il C. abbia mantenuto rapporti con l'ambasciatore imperiale a Vilna, scoperti da agenti del Radzwill e immediatamente denunciati a Sigismondo Augusto. A questo punto il sovrano polacco negò al legato pontificio il permesso di varcare il confine con la Moscovia.
Nel giugno il C. ammetteva il suo fallimento, lanciando invettive contro il re e il palatino di Vilna, ma anche velate accuse contro personaggi non nominati, venuti meno al loro dovere. Alludeva, probabilmente, a Berardo Bongiovanni, il quale, dal canto suo, non mancò di accusarlo di fronte allo stesso Morone. Fallì anche, per il netto rifiuto opposto da Alberto di Brandeburgo, la successiva missione in Prussia. Il punto di vista del Bongiovanni prevalse, così, su quello del C.: infatti, ancora a quattro anni di distanza, il Commendone s'impegnava per riabilitare il nobile bolognese presso Sisto V.
I Polacchi, dal canto loro, avevano scorto nell'azione del C. un doppio pericolo, sentendosi minacciati da parte degli Imperiali e, a maggior ragione, da parte di Ivan IV con il quale si trovavano in guerra aperta. In uno scritto violentemente antirusso, Sigismondo Augusto difese vigorosamente le ragioni del suo operato di fronte a Pio IV, insistendo sull'irrimediabile estraneità di Ivan IV all'Europa cattolica (lettera del 12 sett. 1562, in Relacye…, p. 106).
Il C. fa ancora utilizzato per incarichi di modesto rilievo. Si recò a Genova, in funzione subordinata rispetto al legato cardinale Morone, nel marzo 1575, in un momento critico, per sommosse interne e pericoli esterni, nella vita della Repubblica. Nel '77 fu inviato in Spagna come collettore, ma entrò in conflitto con il Consiglio reale, con gravi conseguenze sul piano diplomatico, scongiurate solamente grazie all'intervento del legato. Il 5 sett. 1580 fu nominato vescovo di Forlì, ma anche qui si alienò l'animo della comunità, del capitolo e del clero diocesano tanto che rinunziò alla cattedra episcopale (il suo successore venne nominato il 7 genn. 1587). Nell'84 si fece il suo nome quale successore del nunzio in Polonia Alberto Bolognetti; ma egli finì per rimanere in Italia. Nell'agosto 1587 andò nunzio presso Francesco de' Medici; ma non ebbe opportunità di trattare questioni rilevanti: si limitò a riferire sulla repressione dei banditi nel Senese da parte del granduca e sulla fornitura di due galere al pontefice per 5.000 fiorini. Morì a Firenze ai primi d'aprile del 1589.
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