LOMELLINI, Giovanni Francesco
Nacque a Genova nel 1588 da Stefano di Francesco e da Orietta di Marco Centurione di Adamo. Il padre apparteneva a un antico patriziato cittadino e la madre era nipote del più importante collaboratore di Andrea Doria e grande banchiere di Carlo V. Il suo nome è noto per alcune ambascerie, per lo più collegate con quella Corona di Spagna, a cui risultano strettamente legati sia il L. personalmente sia il suo gruppo familiare (il fratello Giovanni Battista, i due cognati, Giovan Domenico e Opicino Spinola, sposati alle sue due sorelle, Battina ed Eleonora).
è da correggere la paternità a lui attribuita da Ciasca (II, p. 280 n. 1): il L. è, infatti, figlio di Stefano ed è omonimo del figlio di quel Giacomo Lomellini che fu doge di Genova dal 1625 al 1627. Tale omonimia, tra l'altro, è alla base di fraintendimenti anche in testi più recenti (Spinelli, p. 438, lo confonde con il figlio dell'ex doge e con un Lomellini nonno del L.).
La prima ambasceria del L. si registra a Roma nel 1624, quando quattro oratori straordinari - con il L. erano Ottavio Viale, Giovanni Agostino Marini e Giovanni Battista Lasagna - furono inviati presso papa Urbano VIII per ottenerne la mediazione in difesa degli interessi di Genova nella questione del marchesato di Zuccarello nonché l'intervento a favore di antichi privilegi nelle fiere di Piacenza.
Partiti il 20 aprile da Genova e ricevuti dal papa in udienza pubblica il 4 maggio e in udienza privata il 7 maggio, il L. e i colleghi inviarono relazioni da Roma sugli incontri con alte personalità della Curia e con rappresentanti di altre potenze, i quali furono prodighi di promesse di interessamento e di mediazione ma non contribuirono a risolvere le questioni poste dall'ambasceria.
Del resto, la questione di Zuccarello - conteso tra la Repubblica di Genova e il duca di Savoia per il controllo della strada del Neva da Garessio ad Albenga, e cioè dal Piemonte al mare, occupato da Carlo Emanuele nel 1614 e restituito nel 1617 - provocò nel 1625, nell'ambito dello scenario italiano della guerra dei Trent'anni, lo scontro aperto tra i due contendenti (la prima guerra savoiarda) e solo nel 1633, con la pace di Madrid, il duca di Savoia sarebbe stato costretto a rinunciarvi.
Prima di ottenere la promozione ad ambasciatore ordinario a Madrid nel 1630 (carica che ricoprì fino al 1634), nel giugno-luglio 1630 il L. fu tra i principali incaricati dei festeggiamenti per la regina d'Ungheria. Maria, infanta di Spagna, sposata per procura nell'ottobre 1629 a Ferdinando d'Asburgo (re d'Ungheria e futuro imperatore Ferdinando III), passava a Genova per recarsi a Vienna attraverso un lungo percorso per evitare la peste che infieriva in alcune zone. Il L., a capo di una delegazione di otto gentiluomini e di due galee, avrebbe dovuto incontrarla a Monaco. Benché l'etichetta fosse stata compromessa dalla disponibilità in porto di una sola galea e dal sopraggiungere prima del previsto delle galee spagnole, il L. riuscì ad anticipare ai Collegi le richieste del duca d'Alba circa le accoglienze alla regina, che volle essere ricevuta sul molo del palazzo del principe Doria - presso il quale avrebbe alloggiato - dal doge e dai Collegi al completo.
Il 18 settembre il L. ricevette le istruzioni come ambasciatore ordinario presso la corte di Madrid per un triennio.
Le istruzioni, oltre alle consuete minuziosissime indicazioni circa il seguito (venti persone a carico proprio), l'alloggio, le spese, le norme e il galateo delle udienze e delle precedenze, nonché la specifica questione del titolo di "serenissima" richiesto dalla Repubblica di Genova, erano rivolte a dissipare il sospetto di "tiepidezza" della stessa nei confronti della Spagna e a rassicurare Madrid che l'agente francese Melchior Elzear signore di Sabran, in arrivo a Genova, non sarebbe stato considerato né ambasciatore né residente del re di Francia. Le istruzioni trattavano anche di molte questioni consolari pendenti, di immunità diplomatiche e di consegna di delinquenti, di riscossioni di gabelle e di acquisto di territori di confine, ma soprattutto insistevano sulla necessità di ottenere il pagamento di quanto la Corona spagnola doveva per soldatesca e galee. Il L., giunto a Barcellona il 29 sett. 1630 e a Madrid il 19 ottobre, rimase presso la corte fino alla fine di maggio 1634. Ritornato a Genova, presentò la sua relazione il 18 luglio. Nella stessa, oltre a riferire sulle questioni di cui era stato incaricato, si diffondeva con intelligenti osservazioni sull'indole e la cultura di Filippo V (di cui segnalava la passione per le lingue e la traduzione ormai a buon punto della Storia d'Italia di F. Guicciardini) e di G. de Guzmán, conte-duca di Olivares: di entrambi analizzava l'atteggiamento verso Genova, che riteneva ammorbidito solo negli ultimi mesi, anche grazie alle informazioni ricevute dall'ambasciatore spagnolo a Genova, don Francisco de Melo. Durante il suo mandato il L. non aveva potuto portare a buon fine tutti gli incarichi affidatigli. Per tale motivo nel marzo-aprile 1634 la Repubblica era stata costretta a mandare Cesare Durazzo come inviato straordinario a Madrid per protestare contro le trattenute operate nel Regno di Napoli sulle "terze" spettanti a cittadini genovesi e sulle garanzie, disattese, date al L. dal governo spagnolo, che si era impegnato a ordinare al viceré di Napoli di non toccare più le rendite genovesi. Inoltre, Giacomo De Franchi, successo al L. nella qualità di ambasciatore ordinario presso la Corona di Spagna, veniva munito di un memoriale sul sale allegato alle istruzioni, nel quale erano esposte le ragioni del diritto esclusivo vantato dalla Repubblica e dal Banco di S. Giorgio sul commercio del sale nel Finale, e si segnalavano le iniziative già prese al riguardo dal L., ma senza successo. Comunque, sia a Durazzo sia a De Franchi si raccomandava la piena collaborazione con il L.; a De Franchi si consigliava anzi di abboccarsi con lui in viaggio "per intenderlo più chiaramente su ogni questione". Intanto a Genova, fra il maggio e il giugno 1633, l'ambasciatore spagnolo de Melo, anche per far fronte alle iniziative francesi del Sabran (che cercava di farsi accreditare come ambasciatore e inviava informative al proprio governo sull'atteggiamento di patrizi genovesi classificati come filofrancesi o filospagnoli o "repubblichisti", cioè indipendenti), indicava un Giovanni Francesco Lomellini in un elenco di quindici "mal afectos" alla Spagna (tra gli altri, Raffaele Della Torre, Federico Federici, Tomaso Raggio): ma si tratta sicuramente ancora una volta dell'omonimo, figlio dell'ex doge Giacomo, dichiaratamente antispagnolo. Invece il L., insieme con il fratello Giovanni Battista è indicato in una nota informativa di polizia del novembre 1634 tra i frequentatori abituali dell'ambasciatore spagnolo (insieme, tra gli altri, con Adamo e Luigi Centurione, con diversi Spinola e con i monsignori Doria e Sauli).
Nel 1635 il L., insieme con altri tre patrizi filospagnoli (Andrea Lomellini, Pantaleo Balbi e Giambattista Baliani), fu estratto tra i nuovi componenti dei Collegi, con conseguente effetto di riavvicinamento alla Spagna di tutto l'apparato governativo genovese; tale effetto fu peraltro provvisorio perché bilanciato dall'estrazione di tre "repubblichisti" negli anni immediatamente successivi. Concluso il suo incarico nel 1637, dopo il regolare biennio, il L. non sembra aver ricoperto altri uffici fino alla morte, avvenuta il 6 dic. 1653 a Genova, dove fu sepolto nella chiesa di S. Maria del Vastato.
Dalla moglie Giovanna Lomellini fu Agostino aveva avuto sette figli: cinque femmine, di cui tre destinate alla monacazione e due al matrimonio con membri delle famiglie affini (rispettivamente, Lavinia con Carlo Pallavicini fu Luca e Orietta con Giovanni Battista Centurione fu Filippo), e due maschi, Stefano (nato nel 1609 e ascritto nel 1634) e Francesco, morto il 2 giugno 1658. Solo il primo, da Maddalena Centurione Scotti, ebbe discendenza maschile, esaurita in due generazioni.
Fonti e Bibl.: Genova, Arch. della parrocchia di S. Siro, Liber mortuorum, M, cc. 30, 40; L. Levati, Dogi biennali, I, Genova 1930, pp. 463 s.; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, Genova 1934, pp. 14, 174; Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, Roma 1951, pp. 315, 320-339, 350, 359; Il Liber nobilitatis Genuensis, a cura di G. Guelfi Camajani, Firenze 1965, pp. 304 s.; G. Giacchero, Il contributo della Casa di S. Giorgio alla difesa della Repubblica, in La Storia dei Genovesi, III (1983), p. 182; C. Bitossi, Il governo dei magnifici. Patriziato e politica a Genova tra Cinque e Seicento, Genova 1990, pp. 227, 230 n., 233; F. Spinelli, Il complesso del Deserto di Varazze, in Quaderni Franzoniani, IX (1996), p. 438; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, III, Genova 1833, tav. 28 s.