FIANI, Giovanni Francesco
Nacque a Lucca nel 1703; il nome del padre, Alessandro, è l'unico dato pervenuto riguardo alla famiglia di origine. Trascorse l'infanzia e la prima giovinezza nella città natale, dedicandosi allo studio del disegno sotto la guida di Francesco Del Tintore. A diciotto anni lasciò Lucca per trasferirsi a Roma, dove completò la formazione pittorica nella bottega del fiorentino Benedetto Luti. Di questa prima esperienza, tuttavia, non rimane alcuna traccia; lo Zani (1822) lo registra come pittore e mosaicista, attivo intorno al 1750. Documentata è invece la sua attività di mosaicista, iniziata proprio a Roma nell'ambito dello Studio vaticano del mosaico. Entrò a far parte del gruppo di mosaicisti impegnati nella decorazione delle cupole e degli altari della basilica di S. Pietro qualche anno dopo il suo arrivo in città e rimase al servizio della Fabbrica fino allo scadere dell'ottavo decennio del secolo.
Il periodo iniziale della sua partecipazione alla decorazione musiva della basilica vaticana corrisponde al formarsi dello Studio vaticano del mosaico, organismo che assunse carattere di centro operativo permanente proprio a partire dal 1727, quando la Congregazione della Fabbrica nominò Pietro Paolo Cristofari soprintendente e capo di tutti i pittori di mosaico impiegati in quel momento in S. Pietro. Il periodo corrispondente alla direzione del Cristofari, fino al 1743, è contraddistinto da fondamentali scoperte riguardo alla composizione delle paste vitree e da una intensa attività produttiva.
Tra il 1726 e il 1729 il F. lavorò nella cupola della cappella di S. Michele, l'unica ornata da mosaici e stucchi in rilievo, dove collaborò alla realizzazione di alcune teste di angeli, su cartoni di Niccolò Ricciolini, affiancando maestri ormai affermati, come Alessandro Cocchi. Insieme allo stesso Cocchi, tra il 1737 e il 1739, eseguì il Cristo che battezza s. Pietro, su un cartone di Francesco Trevisani, visibile in una delle lunette della cappella del Battesimo. I mosaici della volta della stessa cappella, eseguiti dal 1739 al 1746, furono composti con la partecipazione di tutti i componenti lo Studio vaticano, dapprima sotto la direzione del Cristofari e, dopo la morte di questo, di Pier Leone Ghezzi. Dal 1751 i lavori per la cappella della Madonna della Colonna chiamarono nuovamente a raccolta un folto gruppo di mosaicisti, tra cui il F., per l'esecuzione della volta che venne ornata con emblemi della Vergine tratti da cartoni di Giacomo Zoboli. Nello stesso periodo il F. è segnalato dal Furietti (1752), che ne ricorda la provenienza con l'appellativo "lucensis", tra i mosaicisti chiamati a restaurare la facciata e l'arco absidale della basilica romana di S. Paolo. Dal 1757 al 1758, in collaborazione con Bernardino Regoli, il F. tradusse in mosaico il S. Michele arcangelo di Guido Reni, destinato all'altare della cappella omonima in S. Pietro, dove era già esposto un quadro, con analogo soggetto, realizzato nel 1628 dal mosaicista Giovanni Battista Calandra su cartone del Cavalier d'Arpino (oggi nella cattedrale di Macerata).
Il mosaico secentesco, il primo esempio di traduzione musiva di un dipinto eseguito per la basilica vaticana, non reggeva il confronto con le pale d'altare eseguite dai mosaicisti dello Studio nel corso del Settecento, a causa della cattiva qualità degli smalti. Il Calandra, infatti, aveva utilizzato le paste vitree allora fabbricate a Venezia, che impedivano una corretta visione dell'immagine risultando eccessivamente trasparenti e lucide.
La produzione di paste vitree opache e a gradazione di tinte, attivata a Roma dal 1730 grazie alle scoperte del chimico Alessio Mattioli, consentendo di superare gli inconvenienti presentati dagli smalti veneti, aveva dato il via alla realizzazione di copie in mosaico di quadri celebri da innalzare sugli altari di S. Pietro. L'incarico assegnato al F. si collocava nell'alveo di questo piano avviato da decenni, ma la presenza del più antico mosaico e il confronto che inevitabilmente si proponeva tra due epoche crearono attorno alla copia del S. Michele del Reni un particolare interesse da cui derivò, poi, una certa notorietà ai mosaicisti che avevano realizzato l'impresa.
Sempre in S. Pietro il F. partecipò alla realizzazione musiva del S. Pietro che resuscita Tabita, su cartone di Placido Costanzi (1758-60), e della Trasfigurazione di Raffaello (1759-67), copiata da Stefano Pozzi.
La presenza del F. è documentata ancora per l'anno 1774 nella decorazione della volta della cappella Gregoriana realizzata su cartoni del pittore Salvatore Monosilio. In quest'impresa il F. lavorò, accanto al figlio Giovanni Battista, ai simboli, raffiguranti La palma, Il sole, La torre e Il pozzo, posti nella sezione bassa della calotta.
Gli anni immediatamente successivi videro lo Studio in crisi per mancanza di lavoro. Pio VI, per risollevare le sorti dei mosaicisti che "languiscono nella miseria", ordinò che fossero posti a mosaico i paliotti degli altari comuni della basilica "di arabeschi coloriti al naturale": il 29 ag. 1779 tra i dodici mosaicisti dipendenti dello Studio vaticano è nominato, oltre al figlio del F., Giovanni Battista, un Francesco Fiano, certamente da identificarsi con il F. stesso (Hautecoeur, 1910, p. 456). A l'ultima memoria documentata, utile pertanto per stabilire un termine post quem per la morte, avvenuta probabilmente a Roma.
Giovanni Battista, unico maschio degli undici figli avuti dal F. dal matrimonio con una giovane della famiglia Corrado, nacque quasi certamente a Roma nel 1736, mosaicista anch'egli dello Studio vaticano. Nella minuta di un elenco dei lavori da lui eseguiti per lo Studio si legge che egli "...non ha mai esercitato verun impiego tranne quello di mosaicista" (Archivio della Rev. Fabbrica di S. Pietro in Vaticano, I piano, s. 3, pacco 14 C: Studio de' musaici, mosaicisti..., c. 502 s.d.). Un altro documento non datato, ma ascrivibile ai primissimi anni dell'Ottocento (lbid., pacco 14 A, c. 661), consente di stabilire, anche se con qualche riserva, la sua data di nascita e le tappe principali della sua carriera artistica. Si tratta di una sorta di promemoria in cui si elencano i nomi di alcuni mosaicisti impiegati presso lo Studio specificando, per ognuno, la data di ammissione e i lavori svolti alle dipendenze della Fabbrica. Per Giovanni Battista si precisa che era entrato a far parte del nucleo stabile di mosaicisti dello Studio vaticano nel 1770, all'età di trentaquattro anni (Petochi - Alfieri - Branchetti, 1981, p. 58), e che aveva lavorato per la basilica vaticana, alla cupola della cappella Gregoriana, ai restauri della cupola della cappella Clementina e ai paliotti per gli altari comuni. Si era occupato inoltre dei restauri dei mosaici delle sacre Grotte e dei quadri per la basilica di Loreto (cfr. anche Di Federico, 1983). Nella cupola della cappella Gregoriana, tra il 1770 e il 1772, Giovanni Battista pose a mosaico, insieme a Liborio Fattori e Bartolomeo Tomberli, i quattro cartoni dei pennacchi, eseguiti da Nicola La Piccola, raffiguranti S. Gregorio Nazianzeno, Papa Gregorio il Grande, S. Basilio, S. Girolamo. Tra il 1773 e il 1774 collaborò, a fianco del padre, all'esecuzione dei mosaici della calotta, su cartoni di Salvatore Monosilio, raffiguranti emblemi allusivi alla Vergine. Nel 1771 era stato anche incaricato di restaurare, con Liborio Fattori e Bartolomeo Tomberli, il mosaico del S. Michele arcangelo eseguito nel 1628 da Giovanni Battista Calandra su cartone del Cavalier d'Arpino. Il quadro fu donato, dopo il restauro, dal cardinale Marefoschi alla cattedrale di Macerata. A partire dall'agosto 1779 partecipò all'esecuzione dei paliotti con arabeschi destinati agli altari comuni della basilica. Nell'ambito del progetto, presentato già dal 1770, di eseguire copie in mosaico di quadri celebri anche per la basilica di Loreto Giovanni Battista eseguì parti nei mosaici riproducenti il S. Francesco del Domenichino, l'Addolorata del Guercino, lo Sposalizio della Vergine di Carlo Maratta, l'Ultima Cena di Simon Vouet, i Ss. Carlo ed Emidio di Antonio Marou, i Ss. Agostino e Domenico di Domenico de Angelis.
Dopo i lavori per Loreto egli non è più ricordato dai documenti dell'Archivio della Fabbrica per incarichi di particolare rilievo. Agli inizi del 1811 è registrato tra i nove mosaicisti stabili dello Studio, ma risulta impiegato semplicemente nel restauro di un antico pavimento a tessere bianche e nere. Le ultime notizie certe intorno a Giovanni Battista risalgono a questo periodo.
Fonti e Bibl.: Archivio della Rev. Fabbrica di S. Pietro in Vaticano, I piano, s. 3, pacco 14: Studio de' musaici, mosaicisti, c. 844 (ante 1743); ibid., pacco 14 A: Studio de' musaici, mosaicisti, c. 659rv (1779); I. A. Furietti, De musivis..., Romae 1752, p. 110; P. Zani, Encicl. metodica..., I, 9, Parma 1822, p. 14 (anche per Giovanni Battista); E. Gerspach, La mosaïque, Paris 1899, p. 206; A. Busiri Vici, Il celebre Studio del mosaico..., Roma 1901, p. 26 (p. 28 per Giovanni Battista); L. Hautecoeur, I mosaicisti sampietrini... in L'Arte, XIII (1910), pp. 452 s., 456 (anche per Giovanni Battista); D. Petochi - M. Alfieri - M. G. Branchetti, I mosaici minuti romani..., Sesto Fiorentino 1981, pp. 16-41 (per notizie sullo Studio vaticano del mosaico), 58 (anche per Giovanni Battista); F. Di Federico, The mosaics of St. Peter's.... University Park, Pa-London 1983, pp. 63 s., 67, 71, 74, 76 s., 151 s. (anche per Giovanni Battista); I. Belli Barsali, Guida di Lucca, Lucca 1988, p. 274 (anche per Giovanni Battista); G. Delfini Filippi, Guide del Vaticano, S. Pietro, Roma 1989 (ivi descrizione dei temi figurativi che ornano le cappelle della basilica vaticana).