GIOVANNI FRANCESCO (Gianfrancesco, Francesco) da Potenza
Nacque probabilmente a Potenza in data ignota da collocarsi nell'ultimo quarto del XV secolo. Incerto è anche il cognome della famiglia di origine: è citato come "Reverendus pater dominus Iohannes Franciscus Citus" (Sanuto, col. 502), quindi membro della nobile famiglia napoletana dei Cito, estintasi nel XVIII secolo, o come "Iohannes Franciscus Cina de Potentia" (Gulik - Eubel, pp. 219, 254), cioè della famiglia Cini, anch'essa della nobiltà napoletana, ma il Viggiano, ricordando la sua parentela con Domenico, arcidiacono della cattedrale di Potenza, e con Pietro Paolo, vescovo di Crotone, lo chiama "Giovanni Francesco Caporella frate dell'Osservanza" (Viggiano, p. 173).
I primi dati certi su G., entrato nell'Ordine dei frati minori in data non nota, risalgono al 1514, quando fondò, a Tito, nella sua provincia, un nuovo convento dedicato a S. Antonio da Padova e quando, nel capitolo riunito ad Assisi, fu nominato commissario generale dell'Ordine presso la Curia romana (24 giugno). Stabilitosi a Roma, nel convento dell'Ara Coeli, ricevette l'incarico di predicatore per l'Avvento. Al 1515 risale invece la missione ufficiale di G. - probabilmente la prima - in Libano presso i maroniti, dove fu inviato da Leone X.
Nel maggio 1514 Pietro Simeone di Hadath, eletto dal 1494 patriarca maronita di Antiochia, aveva fatto giungere a Roma la richiesta della conferma della sua elezione e l'invio del pallio. Leone X aveva risposto prontamente e aveva consegnato all'inviato del patriarca, Pietro, diverse lettere, destinate a Pietro Simeone, ai membri della comunità e al frate Marco di Firenze, guardiano del convento di Beirut, che si era adoperato come mediatore. Il messo era tornato a Roma nella primavera successiva, portando al pontefice la rinnovata obbedienza del patriarca e alcune sue richieste: le insegne della sua carica, il riconoscimento della sua giurisdizione su Cipro, la sanzione dello status di luogo santo per il monte Libano, una indulgenza per i fedeli maroniti e infine un beneficio ecclesiastico per il suo zelante messo. Con la bolla Cunctorum, del 1° ag. 1515, Leone X accordava quanto richiesto e incaricava G. della trasmissione, insieme con l'interprete Francesco Reatino e con Francesco Suriano, guardiano di Terrasanta.
Risale forse a quest'epoca la nomina di G. a guardiano del Monte Sion e superiore di tutte le missioni della Palestina e dell'Egitto, di cui parla Marcellino da Civezza (p. 243), ma che non risulta da altre fonti.
Dopo aver svolto positivamente il compito che gli era stato affidato, G. tornò a Roma con il Reatino e tre oratores dei maroniti delegati a partecipare al concilio Lateranense, in tempo per prendere parte attiva a un momento delicato della vita dell'Ordine.
Con il breve Romanum pontificem dell'11 luglio 1516, Leone X aveva indetto il capitolo generale romano per dirimere in maniera definitiva le questioni che opponevano i conventuali agli osservanti. Riuniti nel convento dell'Ara Coeli, gli osservanti chiesero e ottennero dal pontefice di essere separati dai conventuali e di poter designare al loro interno il ministro generale dell'Ordine, che sarebbe durato in carica sei anni e da cui sarebbe dipesa la nomina dei ministri provinciali. G. divenne allora (1517) il primo ministro osservante della provincia di Basilicata, di cui era già vicario.
Da quel momento la sua attività all'interno dell'Ordine si intensificò: nel 1518, al capitolo generale di Lione, fu nominato procuratore generale, cioè rappresentante e curatore degli interessi dell'Ordine presso la Santa Sede; nel 1519, al capitolo provinciale di Tursi, fu eletto definitore e nel 1521 fu designato minister Tusciae suppletus. La sua attività si estese inoltre al di fuori dell'Ordine: nel 1522 il nuovo pontefice, Adriano VI, lo scelse come inviato straordinario in Danimarca e Norvegia.
I rapporti tra la Santa Sede e la Danimarca attraversavano un momento difficile. Nel 1512 era salito al trono danese Cristiano II, animato da grandi idee di rinnovamento. Il suo progetto di una Europa del Nord, politicamente ed economicamente forte, unita sotto lo scettro danese, passava attraverso il rafforzamento del potere monarchico e la riconquista della Svezia, dichiaratasi indipendente nel 1501 e più tardi convertitasi al luteranesimo. Egli aveva così posto mano a una serie di riforme, tendenti a garantirgli il sostegno dei ceti cittadino e contadino, che sottraevano competenze e privilegi all'aristocrazia e alla Chiesa, ponendo dei limiti alla proprietà ecclesiastica, proibendo il ricorso a Roma, privando i tribunali ecclesiastici di quasi tutte le loro competenze. Nel 1520, grazie anche all'interdetto e alla morte di Sten Sture, Cristiano aveva riconquistato la Svezia, si era fatto proclamare re e aveva concesso un'ampia amnistia. Ciononostante, probabilmente per annientare l'ancora forte partito degli indipendentisti, aveva imprigionato gli oppositori e li aveva fatti condannare come eretici da un tribunale ecclesiastico da lui nominato allo scopo: l'8 novembre, sulla piazza di Stoccolma, più di 80 persone, tra cui due vescovi, erano stati giustiziati.
G. ebbe il compito di indagare sul massacro e preparare un'accurata relazione ma, al tempo stesso, doveva dimostrarsi conciliante e pronto al perdono per conservare buoni rapporti con Cristiano, cosa che comportò un'indagine assai superficiale sulle effettive responsabilità della strage. Dal canto suo Cristiano II accettò prontamente la mano che il papa gli tendeva: accollò ogni responsabilità dell'eccidio al suo più stretto collaboratore, l'arcivescovo di Lund, poi vescovo di Skara e di Uppsala, Didier Slaaghaek, che fu processato e condannato a morte; soppresse la norma che sanciva la parità di cattolici e luterani e infine investì G., il 15 maggio 1523, del vescovato di Skara, rimasto di nuovo vacante, ma nel quale G. non poté insediarsi a causa dell'opposizione svedese. Lo stesso Cristiano II dovette fuggire dalla Danimarca. Completata la visita ai conventi dell'Ordine G. si unì l'anno seguente al seguito del cardinale Lorenzo Campeggi, legato in Germania, Ungheria e Boemia.
Nell'agosto del 1525, sconfortato per la situazione in cui si trovava, G. esternò per iscritto il proprio disagio al pontefice: "essendo Vescovo son molto più mendico che quand'era fratre. Primo la mendicità mi cedeva in honore, hora m'è vergognosa et degna di contumelia […]. Mi contentava del grado teneva nella religione, e più oltra non pensava. Hora son Vescovo di sol nome" (Arch. segreto Vaticano, Epistolae ad principes, III, c. 7).
Forse per questa sollecitazione, nonostante la non brillante prova fornita nella missione danese, nell'ottobre G. ricevette l'incarico di recarsi a Mosca per trattare la pace tra Polonia e Moscovia.
Il contenzioso che contrapponeva Basilio III e Sigismondo I per il possesso di Smolensk era sfociato da anni in una guerra aperta dalle alterne vicende e dagli esiti incerti. La Curia romana guardava da tempo con attenzione al sovrano moscovita nella speranza di coinvolgerlo attivamente nel progetto di una crociata antiturca che unisse i principi cristiani. I Veneziani auspicavano e sostenevano l'inserimento della Moscovia nel progetto, ritenendolo determinante tanto per l'apporto in uomini e mezzi che per la potenzialità unificante della fede ortodossa, comune a gran parte della popolazione balcanica; erano fortemente contrari invece i Polacchi, preoccupati della forza del troppo risoluto vicino, una volta inserito nella politica europea su un piano di parità con gli altri principi. Per quanto suggestiva, l'ipotesi formulata dai Veneziani diveniva dunque impraticabile per la Curia, in quanto avrebbe leso gli interessi polacchi e avrebbe inoltre implicato la rinuncia del pontefice all'unione delle Chiese sotto il proprio primato, mai accettato dalla Chiesa ortodossa, nonostante le decisioni del concilio di Firenze (1439).
Nel settembre 1525 l'ambasciatore di Basilio III, Dmitrij Gerasimov, giunse a Roma per discutere della mediazione papale; con lui, uomo dotto ed esperto, originario della Lituania, allievo e collaboratore di Maksim Grek - secondo Paolo Giovio anche abile conversatore in tedesco e latino -, alla fine di novembre G. iniziò il lungo viaggio verso Mosca.
Dalle lettere consegnate a G. emergono palesemente le intenzioni di Clemente VII; le istruzioni del pontefice erano concise e chiare: porsi al servizio degli interessi polacchi e rinnovare i tentativi per ottenere l'unione della Chiesa ortodossa russa a quella di Roma promettendo in cambio allo "car'" il riconoscimento della dignità regia, tentare di recuperare parte del terreno perso dalla Chiesa in Europa convincendo Sigismondo a far pressioni sul sovrano svedese in difesa della fede cattolica.
Dopo una breve sosta a Venezia, l'ambasceria giunse a Cracovia il 28 febbr. 1526, ma G. dovrà proseguire sino a Marienburg per ricevere da Sigismondo le istruzioni necessarie. I colloqui furono cordiali, ma G. comprese la complessità delle negoziazioni e l'estrema difficoltà di ottenere la pace. Per consentire la fine della guerra Sigismondo pose infatti come irrinunciabile condizione la restituzione di Smolensk. Deciso a portare comunque a termine la sua missione, pur nella consapevolezza delle scarse possibilità di successo, G. giunse a Mosca il 20 luglio, poco dopo l'arrivo nella città degli ambasciatori degli Asburgo, Leonardo di Nogarola e Sigismondo di Herberstein. Ottenuta la precedenza nei colloqui con Basilio in quanto legato pontificio, G. constatò l'impossibilità di concludere la pace nei termini voluti da Sigismondo, e solo con difficoltà, dopo lunghe trattative sulle modalità di scambio dei prigionieri di guerra, riuscì a concordare una tregua di sei anni. Ugualmente deludenti si rivelarono i colloqui per ottenere un aiuto concreto nella lotta contro i Turchi e il riconoscimento del primato di Roma: Basilio ascoltava attentamente ma parlava d'altro, chiedendo piuttosto a Clemente VII di favorire l'arrivo a Mosca di artigiani, architetti, tecnici.
Nel febbraio 1527 G. era di nuovo a Cracovia, ottenendo l'apprezzamento di Sigismondo, che tuttavia sorvolò sull'intervento richiestogli presso il re di Svezia, si dichiarò in gravi difficoltà e chiese al papa sussidi e aiuti.
Postosi sulla strada del ritorno, G. fu raggiunto a Venezia dalla notizia del sacco di Roma (maggio 1527). Evitò quindi di proseguire e si rimise in cammino solo alla fine dell'anno, raggiungendo il papa a Orvieto nel gennaio 1528, in compagnia del vescovo di Teramo, che gli era andato incontro ad Ancona.
Perduta ormai ogni speranza di prendere possesso del vescovato di Skara, G. ricevette il titolo di arcivescovo di Nazareth e l'incarico di governatore di Ascoli Piceno. Appena insediato nella città morì nel corso di una rissa, come riferisce un testimone: "Era egli un amabile e vigilante Prelato, e fu compianto da tutta la città il funesto caso che gli accadde a' 24 di giugno, col restar casualmente privo di vita da una punta di lambarda a piè di piazza, in occasione ch'era accorso in persona per sedare il tumulto di alcuni rissanti, i quali poi a furor di Popolo vennero uccisi" (Marcucci, pp. 367 s.).
G. è stato a ragione definito "la figura giuridicamente più insigne forse di tutta la storia del francescanesimo lucano, ma certo del '500" (Bochicchio, p. 101).
Le poche lettere rimaste di G. trattano esclusivamente delle missioni affidategli; in generale la documentazione dell'Ordine, soprattutto quella anteriore al XVIII secolo, è estremamente lacunosa, quando non assente del tutto: l'archivio del Commissario generale della famiglia cismontana, conservato a Roma, all'Ara Coeli, andò distrutto durante l'occupazione francese del convento (1798-99) e i 15 volumi dell'archivio del procuratore conservatisi sono posteriori al XVI secolo; quello della famiglia oltramontana, custodito a Madrid, è andato anch'esso quasi completamente perduto nel secolo scorso; i registri delle province e dei singoli conventi, contenenti, tra l'altro, i nomi e i dati anagrafici essenziali dei novizi, per motivi contingenti e diversi presentano grandi lacune.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Arm. LX, 21, c. 232; 28, c. 728; Roma, Arch. del Convento di S. Isidoro, Registrum ministrorum generalium (1517-1534). De Cismontanis provinciis; Salerno, Arch. del Convento del Sacro Cuore, Fondo Basilicata, Notitia provinciae observantis Basilicatae; A. Theiner, Vetera monumenta Poloniae et Lithuaniae gentiumque finitimorum historiam illustrantia, II, 1410-1572, Romae 1861, pp. 433-435, 441-444; M. Sanuto, Diarii, XL, Venezia 1894, col. 497; A. Primaldo Coco, I francescani in Basilicata, in Studi francescani, XII (1925), 2, pp. 200-215; L. Wadding, Annales minorum seu trium Ordinum a S. Francisco institutorum, XV, Ad Claras Aquas 1933, pp. 539, 550, 805-820; XVI, ibid. 1933, pp. 6, 83; Lettera di Paolo Giovio sulla Moscovia, in G.B. Ramusio, Navigazioni e viaggi, a cura di M. Milanesi, III, Torino 1980, p. 676; S. Herberstein, Commentarii sulla Moscovia, ibid., p. 895; F.A. Marcucci, Saggio delle cose ascolane, Teramo 1776, pp. 367 s.; E. Viggiano, Memorie della città di Potenza, Napoli 1805, p. 173; V. Gamel, Angličane v Rossii v XVI i XVII stoletijach (Anglicani in Russia nel XVI e XVII secolo), Sankt Peterburg 1865, pp. 165 s., 177; C. Paludan Muller, De forste konger af den Oldenborgske Slaegt, Copenhagen 1874, p. 379; Marcellino da Civezza, Storia universale delle missioni francescane, VII, 1, Prato 1883, pp. 243-245; P. Pierling, Bathory et Possevino, Paris 1887, p. 119; Id., L'Italie et la Russie, Paris 1892, pp. 71, 124; Id., La Russie et le Saint-Siege, II, Paris 1896, pp. 291-315; F. Suriano, Il trattato di Terra Santa e dell'Oriente, Milano 1900, p. 71; J. Martin, Gustave Vasa et la reforme en Suède, Paris 1906, pp. 123-128; S. De Pilato, Saggio bibliografico sulla Basilicata, Potenza 1914, p. 154; L. von Pastor, Storia dei papi, IV, Roma 1922, ad ind.; M.A. Bochicchio, L'origine e lo sviluppo della regolare Osservanza in Basilicata (1472-1593), Firenze 1977, p. 53; Id., Documenti di storia dei frati minori in Basilicata dal secolo XV al secolo XVII, in Francescanesimo in Basilicata, a cura di G. Bove - C. Palestina - F.L. Pietrapesa, Napoli 1989, pp. 101 s., 104, 106 s., 153; G. Gulik - C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, pp. 219, 254, 294.