CRESCI, Giovanni Francesco
Di famiglia pistoiese, nacque a Milano da Bartolomeo, agente in quella città dei cardinali Cibo e Salviati, e da Eleonora Landriani in data imprecisata, nel secondo quarto del sec. XVI. Infatti la lettera del 10 ott. 1570 del canonico pisano Silvestro Corsi al padre del C., premessa a un'opera di quest'ultimo, ci fornisce alcuni dati anagrafici, ma non la data di nascita del Cresci. Da un raffronto fra questa missiva, che sostiene che il C. venne a Roma sotto il pontificato di Giulio III (1550-1555), e una lettera del C. stesso al cardinale G. Sirleto dell'agosto 1572, conservata nella Bibl. Apost. Vaticana (Vat. Lat. 6185, c. 134) ed edita dal Wardrop (1948, p. 28), si deduce che il C. giunse a Roma nel 1552 circa. Non si sa se e da quanto tempo esercitasse a Milano l'arte dello scriba, né da chi l'avesse appresa. Certo egli a Roma entrò a far parte, come scrittore, del personale della Biblioteca Vaticana, con motu proprio di Paolo IV, del marzo 1556, in cui fu definito "clericus mediolanensis". Il suo stipendio era di 10 scudi d'oro al mese.
Dalle ricevute del C. al "cartolario" Cales Cerni risulta che in quell'epoca scrisse una vita di s. Antonio eremita, in pergamena, una vita di s. Dionisio Areopagita, anche essa in pergamena e di minori proporzioni, le epistole di papa Sisto martire, cartacce, nel 1558, le. lettere di s. Ivo di Chartres, membranacce, e il Deinstitutione divinarum litterarum di Cassiodoro, l'unico, che, conservato nella Biblioteca Vaticana (Vat. Lat. 569), è giunto fino a noi.
Nel 1560 il C. fu nominato anche scrittore della Cappella Sistina con motu proprio di Pio IV del 25 marzo, avendo sostituito lo scrittore Giovanni Scobedo, di cui era stato per due anni assistente. Richiamato dalla pietà filiale a Milano, ove il padre aveva bisogno delle sue cure, il C., secondo quanto egli stesso afferma in una lettera del giugno 1572 al cardinal Sirleto, sembra aver lasciato Roma prima del 17 marzo 1570, giorno della morte del cardinal bibliotecario Antonio Da Mula, da cui egli aveva preso licenza. Ciononostante la lettera di dedica a Marcantonio Florenzio, premessa a una sua opera, è datata Roma 1º nov. 1570. Pare comunque evidente che il trasferimento del C. a Milano dati da quell'anno. Aveva lasciato a sostituirlo Giovan Luigi Mercati, che prese servizio il 1º ottobre, e aveva manifestato la ferma intenzione di tornare a Roma, ma non vi tornò più, e mori, in tarda età, a Milano, quando era già iniziato il sec. XVII.
La fama del C., amanuense di rilevante personalità, dotato di straordinaria abilità, non è dovuta tanto alla sua attività di copista, quanto alle sue opere di teorico e di trattatista della scrittura. La prima di esse fu lo Essemplare di più sorti lettere, pubblicato a Roma nel 1560. Nel sec. XVI fu riedito a Roma, secondo C. Bonacini, nel 1563, nel 1566 e nel 1568 e a Venezia nel 1575, nel 1578, nel 1583 e nel 1600. L'edizione veneziana del 1578 è stata riprodotta nel 1968 a Londra, a cura di A. S. Osley. Preceduto dalla dedica al cardinale Carlo Borromeo, del 7 sett. 1560, importantissimo è l'indirizzo "Alli lettori". Segue l'indice delle tavole, che non ne è un semplice elenco. Indi il "Trattato sopra le eccelentissime maiuscole romane antiche", seguito dalla "Pratica necessarissima che con la penna al buon scrittore s'appartiene havere in dette maiuscole". Dopo un sonetto di G. B. Forteguerri al C. cominciano le tavole xilografiche, opera di F. Aureri di Crema. Esse forniscono i modelli di cancelleresca corsiva e posata, con esempi di maiuscole, abbreviazioni e intestazioni, modelli di bollatica, di mercantesca, di antica tonda; dodici sono di maiuscole romane.
La seconda opera del C., Il perfetto scrittore, apparve dopo dieci anni e fu anch'essa stampata a Roma. È divisa in due parti. La prima contiene una lettera di dedica a Marcantonio Florenzio, cameriere segreto papale, datata Roma 1° nov. 1570. Segue poi la lettera già citata del canonico S. Corsi; quindi un indirizzo del C. "Ai giuditiosi lettori" e "Delli modi che deve tener un maestro per insegnar a scrivere bene...". Seguono poi le tavole xilografiche in cornici di quattro tipi ed opera, anch'esse, dell'Aureri, che contengono modelli di scrittura cancelleresca di vari tipi, antica tonda, bollatica, mercantesca e bastarda. La seconda parte è dedicata al vescovo Antonio Maria Salviati, con la medesima data del 1° nov. 1570. Seguono alla dedica un "Discorso delle maiuscole antiche romane" e un "Discorso delle maiuscole cancelleresche a groppi", che precedono ventitré tavole, incise in rame a opera di Andrea Mareri, dell'alfabeto maiuscolo "a groppi", ciascuna con una cornice differente dall'altra. Figurano poi le tavole contenenti una doppia serie dell'alfabeto maiuscolo antico, incise in legno, una su campo "bertino", cioè non uniformemente, né completamente nero, l'altra su fondo completamente nero, che il C. dice di aver eseguito per compiacere alcuni amici, tutt'e due circondate da un semplicissimo bordo. Quest'ultima serie è stata riprodotta, senza bordo, nel 1970 ad opera di vari curatori (D. M. Anderson, R. Rodini, P. M. Hamilton ed altri).
Sempre a Roma uscì nel 1579 Il perfetto cancellaresco corsivo, dedicato a Ippolito Agostini (la lettera di dedica è datata 1º ag. 1579). Presenta nella prima parte due composizioni poetiche di Aurelio Urso e di Cristoforo Castelletto, indirizzate al C., e un'avvertenza "A' benigni lettori", in cui è incluso anche l'elenco degli esempi grafici. Le tavole sono cinquantadue, tutte di modelli di cancelleresca di vari tipi. Del C., il Bonacini elenca anche Caratteri et essempli, edito a Milano nel 1588, che A. S. Osley cita invece come uscito a Milano nel 1638, a cura di G. B. Bidelli. Nel 1596 fu pubblicato a Roma il Quarto libro di lettere formatelle et cancellaresche corsive "...nuovamente posto in luce per Silvio Valesi Parmeggiano". Postumo, a cura del figlio del C., anch'egli a nome Giovan Francesco, fu edito a Milano nel 1622 L'idea con le circostanze naturali che a quella si ricercano per voler legittimamente possedere l'arte maggiore e minore dello scrivere...
Il codice Vat. Lat. 569 scritto dal C. è in cancelleresca testeggiata, in quella scrittura cioè che egli avrebbe poi illustrato e rivendicato come il carattere "antico" da lui "ritrovato". Il C. in effetti non fu però l'inventore, come egli tendeva a sostenere, della cancelleresca, quanto il creatore di una sua particolare tipizzazione, elevata a canone e presentata come modello. Nell'avvertimento "Ai lettori" dell'Essemplare egli sostiene, in contrapposizione al carattere "troppo appuntato et acuto", ottenuto con una penna "troppo larga et quadra" e troppo poco inclinato dei suoi predecessori, la validità della sua cancelleresca, dal carattere alquanto "tondetto", con le lettere fluidamente legate le une alle altre, che presentano una "giusta" inclinazione. Nell'indice delle tavole dell'Essemplare cercò anche di fornire delle regole per tracciare la cancelleresca. Principi generali sono: che la fine delle aste alte deve "esser grossetta", che quasi tutte le lettere (meno alcune, come "d" ed "e", che ne richiedono due) vengano vergate in un solo tratto.
Egli afferma inoltre che gli esempi di una gran quantità di scritture di fantasia e di apparato (a tronconi, con maschere e fogliami, a cartocci, ecc.) mostrati dai calligrafi precedenti devono essere "tenute inutili". Più utile è sapere scrivere bene le scritture d'uso, sosterrà nel Perfetto scrittore, che molte, magari male.
Al giudizio negativo espresso dal C. nell'Essemplare sui suoi predecessori, rispose il Palatino nel suo Compendio del gran volume, del 1566, in cui l'autore biasimò, alludendo al C., i calligrafi che procedevano "senza regola e senza la vera geometria"; egli però sostituì tutti gli esempi di cancelleresca, precedentemente presenti nel suo Libro nuovo, con tavole esemplate sui modelli del Cresci. La cancelleresca del C. venne a costituire la reazione a quella del Palatino, estrema stilizzazione del modello vicentiniano, canalizzando le tendenze già in atto in un modello, che esprimeva pienamente il gusto dell'epoca. Per questa sua aderenza al tardo manierismo e questa sua concordanza con le tendenze artistiche contemporanee la tipizzazione cancelleresca del C. ebbe un'enorme diffusione in Italia e in tutta l'Europa. Tuttavia non è esatto parlare in modo assoluto della cancelleresca esemplata e illustrata dal C., perché, pur rimanendo fermi i principi da lui enunciati, gli esempi che egli offrì man mano nelle sue pubblicazioni subirono un'evoluzione nel tempo. La cancelleresca corsiva dell'Essemplare è molto più vicina alla medesima scrittura del Palatino di quanto non lo sia quella del Perfetto cancellaresco corsivo. Quila scrittura del C. è venuta ad assumere una ridondanza e una corsività che finiscono con lo stravolgere la forma e la struttura stessa delle lettere.
A quanto afferma il C. nell'Idea, la cancelleresca corsiva, pur nella sua dignità, appartiene all'arte minore dello scrivere; regine di tutte le lettere sono le lettere antiche romane, la lettera antica tonda e la cancelleresca antica. Come egli illustra nel "Trattato sopra le eccelentissime maiuscole romane antiche", contenuto nell'Essemplare, l'alfabeto maiuscolo presentato in quest'opera è costruito "alla misura di otto teste", misura che può variare dalle sette e mezzo alle dieci "teste", secondo la grandezza delle lettere e il luogo ove sì debbono porre. I suoi predecessori - egli afferma - hanno ottenuto le maiuscole "a tutta misura di compasso", ricavandole per questo "senza nessuna proportione et gratia". Egli invece le avrebbe disegnate prendendo ispirazione dalle antiche iscrizioni romane, imparandone "bontà et gratia". Il compasso può servire soltanto per le misure delle lettere "facili", formate cioè di linee rette (come A, E, F ecc.) e delle aste delle lettere che presentano delle rotondità (B, D, G, P, R). Queste si ottengono perfette "più per la gran prattica del giudicio et dell'occhio, che non con la misura del compasso". Con la pratica appunto si vergheranno la S, la coda della R, della Q e un tipo di Y, e così i peducci. In quanto alla coda della Q il C. propende per farla lunga. Come è stato uso degli antichi tutte le lettere dovrebbero avere una pendenza a sinistra e tanto più, a suo giudizio, gli ovati di O e di Q. I corpi delle lettere abbiano "più del lungo che del largo", eccettuato l'occhiello inferiore della B. Tutti questi principî egli sostiene di averli dedotti dall'osservazione dell'iscrizione posta sul basamento della colonna Traiana. Il C. conclude il suo "Trattato" con delle regole pratiche relative alle epigrafi; si deve avere avvertenza alla leggibilità, sia proporzionando la grandezza delle lettere e la profondità dell'intaglio all'altezza, sia colorandole di nero o di oro, o riempiendole di ottone.
Nel "Discorso delle maiuscole antiche romane", che nella seconda parte del Perfetto scrittore precede le due magnifiche serie di alfabeti in questa scrittura, le cui proporzioni sono in quest'opera di 1:10, il C. ribadisce come queste lettere siano "il fundamento di tutta la theorica et prattica dello scrivere eccellente ogni qualità di lettera", e come esse non debbano essere costruite geometricamente, secondo quanto avevano fatto i suoi predecessori, sostenendo ancora una volta, nella lettera di dedica al Salviati, di averne appreso "la regola... da la osservazione d'alcune lettere che si veggono nela colonna di Traiano et in alcuni altri marmi di Roma". Tuttavia il C. ammette l'esistenza di regole geometriche, che egli non ignora, ma che la mancanza di spazio gli impedisce di riferire; egli non sembra però avere fiducia in loro, affermando di averle insegnate ad allievi, che dovettero consumare anni per apprenderle ed applicarle.
A proposito delle lettere maiuscole del C. si deve concludere che il suo alfabeto capitale non fu, come egli sostenne, ripetitivo nei confronti delle maiuscole antiche e per di più fu "del tutto indipendente dai modelli dei calligrafi precedenti" (Casamassima, Trattati, p. 73), cosicché in esso egli realizzò, come aveva fatto per la corsiva, una nuova tipizzazione della capitale d'apparato.
Il C. ebbe allievi numerosi e di alta professionalità. Egli li elenca nell'Idea. Spiccano fra essi i nomi degli scrittori vaticani Gian Luigi Mercati, già nominato, e Luca Orfei, il più grande disegnatore d'epigrafi della Roma sistina, Ludovico Curione, autore di diversi trattati di scrittura, Salvatore Gagliardelli, Antonio Zanetti, Scipione Leone, Giovan Battista Landino, Cristoforo Liviziano ed altri. L'interesse del C. per l'insegnamento, oltre che da tutta la sua opera, è illustrato dal trattatello "Delli modi che deve tener un maestro per insegnar a scriver bene ai suoi discepoli lettera corrente cancellaresca et altri particolari", nella prima parte del Perfetto scrittore. L'allievo impugni bene la penna (nell'Essemplare egli aveva biasimato l'uso di tenere lo strumento scrittorio "troppo per traverso" e sostenuto che si dovesse tenere "poco per costa"), sia fornito di almeno quattro penne ben temperate da alternare (qui il C. raccomanda la disponibilità di penne ugualmente temperate, mentre altrove aveva suggerito anche l'uso di due penne diversamente temperate). Il maestro metta a disposizione degli allievi un alfabeto di minuscole e uno di maiuscole, modelli di legamenti e di abbreviazioni e sei tavole di esempi di vari "dettati".
Dotato, come lo qualifica il Casamassima, di "intensa immaginazione grafica", di "forte senso della forma", di "rigore stilistico" e "teorico", il C. si può considerare l'anello di congiunzione fra due diversi gusti grafici, quello del primo Rinascimento e quello del tardo manierismo e del barocco.
Il ritratto del C. compare nella cornice calcografica che circonda il titolo della prima parte del Perfetto scrittore.
Fonti e Bibl.: R. Bertieri, Calligrafi e scrittori di caratteri in Italia nel sec. XVI, in Risorg. grafici, XXIV (1927), pp. 448-452; J. Wardrop, The Vatican Scriptors: documents for Ruano and C., in Signature, n. s., V (1948), pp. 12-28, C. Bonacini, Bibliogr. delle arti scrittorie e della calligrafia, Firenze 1953, pp. 85 ss.; F. Casamassima, Litterae gothicae, in La Bibliofilia, LXII (1960), pp. 141 ss.; C. Marzoli, Calligraphy 1535-1885, Milano 1962, pp. 44 s.; R. De Maio, La Biblioteca Apost. sotto Paolo IV e Pio V, in Collect. Vat. ... Albareda, I, Città del Vaticano 1962, pp. 294 s.; J. Wardrop, The Script of Humanism, Oxford 1963, pp. 47 s.; J. Mosley, Trajan Revived, in Alphabet, 1964, pp. 21 ss., 26; E. Casamassima, Trattati di scrittura del Cinquecento ital., Milano 1966, pp. 61-75 (con ult. bibl.). Vedi anche l'introduzione di A. S. Osley alla riproduzione dell'Essemplare del C. (London 1968).