BUSENELLO (Businello, Bosinello), Giovanni Francesco
Nacque a Venezia il 24 sett. 1598 da Alessandro e da Laura Muscorno, in una famiglia ricca e influente, della quale più volte evoca l'antichità e l'importanza.
Una tradizione familiare indicava come capostipite della casa un Pietro Torion Busenello, discendente dei Della Torre signori di Milano; e tra i successori ricordava un Pietro (1225), un Francesco, segretario dei Dieci (1330), e altri membri che esercitarono funzioni pubbliche tra i primi del '400 e la metà del '500. Il padre del B., notaio e decano della Scuola della Misericordia, fu segretario del Senato (1618). Rilevanti incarichi pubblici ebbe il fratello maggiore Marcantonio. Tuttavia la famiglia restò sempre esclusa dalla cerchia della prima nobiltà.
Il B. fece buoni studi, prima sotto la guida del padre; poi alle lezioni del Sarpi (come attesta una nota a c. 551 del Discorso del sig. G. F. B. sopra le sepolture de' morti [1640], ms. nel Seminario patr. di Venezia, segn. 315, 5); infine nell'università di Padova. Gli studi col Sarpi furono giuridici, ma più di procedura civile che di procedura penale; alla scuola padovana di Cesare Cremonini, intorno al 1617-18, il B. seguì invece un indirizzo filosofico, da cui ritrasse un atteggiamento di sterile e contraddittorio libertinismo. Poco dopo il ritorno in Venezia, l'8 sett. 1620, sposò Barbara di Pier Antonio Bianchi, e dal matrimonio nacquero almeno cinque figli: Faustina, Alessandro (8 nov. 1623; poi segretario dei Dieci), Marina, Laura, Giambattista. Dal '23 cominciò a professare l'avvocatura, e di alcuni processi di cui s'occupò resta una sufficiente documentazione, utile come testimonianza dei metodi giuridici e dello stile oratorio suo, legato a schemi prevalentemente letterari e incline più all'esuberanza patetica che allo svolgimento dell'argomentazione.
La cronaca professionale appare anche nei versi del B.; talora con qualche osservazione d'un certo rilievo, come, ad esempio, sulla difficoltà per i poveri di far valere le loro ragioni; problema sul quale il B. ha sue proposte da far valere: più rapide procedure e rigorosa selezione dei documenti testimoniali. Il motivo par collegato a tendenze filantropiche vive nel mondo veneto, ma certamente è da non sopravvalutare: piuttosto che filantropia sarà radicale sfiducia nella giustizia (ché "giudice vien de Giuda": "El tribunal xe fatto mercadante, / i ministri senseri senza fede, / e a malapena quello che se vede / creder se puol, tanto l'uomo è furfante [Son stufo e stracco, vv. 13-16, in Livingston, 1911], p. 73]).
II B. fu avvocato di buona fortuna, anche economica; e più in generale fu avveduto amministratore del patrimonio di famiglia, che egli certamente accrebbe in modo considerabile, quantunque Laura Muscorno, nel testamento del 1641, parli della "debolezza dell'entrate" e del "gran carico di famiglia et delle estreme gravezze" del figlio. I documenti finanziari della famiglia lo dicono proprietario di case e palazzi in città, d'una villa presso Chiavenna e di una bella residenza di campagna a Legnaro presso Padova. Vita scetticamente quieta ("Viver senza saver come se vive"), seppur non priva di qualche amarezza, come pei burrascosi rapporti col fratello, con il quale ebbe una vertenza chiusa con sentenza del 1631. Come cadetto gli fu preclusa la via ai gradi più alti della Repubblica: nel 1620 fu eletto (ma l'ufficio era più onorifico che effettivo) decano della Scuola grande della Misericordia e nel 1630 divenne vicario della scuola stessa, con mansioni amministrative e di rappresentanza. Nei versi è frequente il motivo della filopatria; le sue concezioni politiche, peraltro, non vanno al di là d'un generico moralismo, ostile alle famiglie di recente ricchezza, o di un superficiale orgoglio cittadino che certo non gli serviva a intender le ragioni della splendida decadenza della Repubblica. Più degna di nota - appunto perché l'impegno civile e morale del B. era fiacco - è la polemica antitemporalistica, di origine sarpiana.
Nel 1623 molto lo attrasse l'Adone, e l'esempio del Marino favorì il suo passaggio dal petrarchismo estenuato della prima maniera a temi più prontamente e lietamente lascivi, schietto riflesso di una vita licenziosissima. Fu tra i difensori del poema mariniano in una lettera laudativa e in una collana di sonetti contro lo Stigliani (in parte pubbl. da A. Livingston, 1910, pp. 123-56). Lettere e poesie apparvero in varie raccolte (Teatro delle glorie di A. Basile, Venezia 1623, prefaz. al poema di G. Strozzi, Venezia edificata, ibid. 1627; Due canzoni al sig. F. Viaro, ibid. 1626; Marino, Lettere, ibid. 1627, pp. 305-16; Laurea dottorale d'A. Resio, ibid. 1629; F. Pona, Preludi delle glorie di N. Barbarigo e M. Trivisano, ibid. 1630; Imeneo in Pindo per le nozze di Annibale Marescotti e Barbara Rangona, Bologna 1630; C. Achillini, Rime e prose, Venezia 1650, pp. 2, 294-99; Le glorie delle armi venete, ibid. 1651, ecc. Frequenti furono anche i rapporti col variopinto mondo letterario: corrispose con G. B. Marino, G. F. Loredano, C. Achillini, A. Aprosio, C. di Pers, C. de' Dottori, C. Assonica, F. Pona, V. Imperiali, P. Vendramin, G. Ciampoli, A. Bruni. È una fitta trama di relazioni, per lo più ristrette all'ambito regionale veneto, che però non escono mai dalla più vieta convenzione encomiastica. Di alcuni viaggi di questi anni (1620-31) in Francia, Spagna, Fiandre parlano alcune testimonianze, la cui autenticità non è affatto provata, e però sembrano inoppugnabili le conclusioni negative a cui è giunto il Livingston (1913, p. 80). Forse soltanto un viaggio a Ragusa in Dalmazia avvenne veramente. Più congeniale al B. era certo la vita cittadina, e più interessanti delle relazioni letterarie su quelle familiari e sociali: vi hanno parte cantanti come Adriana Basile e Margherita Gonfaloniera; artisti come Ascanio e Dario Varotari, Pietro Liberi e il giovane Palma; uomini severi come Niccolò Crasso e personaggi come Giovanni Garzoni e Giovanni Bembo, che gravitavano intorno all'Accademia degli Incogniti, alla quale anche il B. era ascritto. L'amicizia più coltivata fu con Giacomo Badoer, "orator e poeta e savio grande", compagno suo di studi col Sarpi e a Padova, col quale frequentissimamente corrispose in versi.
Gli ultimi trent'anni di vita non furono meno poveri di accadimenti esterni, lontani da impegni pubblici e da esperienze rilevate e forti, ma intimamente tetri e tormentosi. La peste del '30 gli portò via parenti e amici; morirono poi il padre (1631), la madre (1648), la moglie (1656). La sua salute cominciò a declinare e vari mali (probabilmente la sifilide e la gotta) lo ridussero al letto per lunghi periodi. Per le restrizioni poste dal padre alla libera vendita dei terreni non poté chiedere l'aggregazione al patriziato, concessa nel '46 ai cittadini che potessero fornire 100.000 ducati all'erario, e ne fu amareggiato. La sua attività letteraria, nondimeno, continuava infaticabile: odi patriottiche, panegirici e soprattutto libretti di melodrammi. Venivano successivamente rappresentati Gli amori di Apollo e Dafne (1640), la Didone (1641), L'incoronazione di Poppea (1642), La prosperità infelice di Giulio Cesare dittatore (1646), la Statira (1655), tutti musicati da Francesco Cavalli, esclusa L'incoronazione di Poppea ch'ebbe la musica del Monteverdi. A conclusione di tale attività tentò la pubblicazione di questi lavori (non nel testo quale fu musicato, ma in un rifacimento, letterario) in Delle ore ociose, Venezia 1656, di cui uscì solo la prima parte. I melodrammi del B. hanno spiccati caratteri romanzeschi e non è un caso che proprio su questa nuova forma d'espressione lo scrittore tentasse di fondare le sue opinioni in materia di poesia, con le quali difendeva - secondo la prescrizione mariniana - il preminente diritto di dilettare i gusti correnti. L'attività letteraria, tuttavia, non allontanava la sfiducia nella gloria e nella sopravvivenza e il sempre più affannoso sentimento della morte. Nel 1658 il suostato si aggravò. Si riprese alquanto trascorrendo l'estate del '59 a Legnaro, ma, tornato a Venezia in settembre, un repentino peggioramento lo indusse a un inutile ritorno nella sua villa di campagna, dove morì il 27 ottobre del 1659.
La produzione letteraria del B. fu sovrabbondante: idilli di gusto marinistico; poesie civili, encomiastiche, morali; più numerose e interessanti rime in dialetto veneziano; melodrammi; romanzi; prose oratorie e avvocatesche. Poco prima di morire il B. si proponeva un'edizione complessiva delle sue poesie, ma non ne fece nulla e questi scritti restarono per lo più inediti o consegnati a pubblicazioni occasionali. Se l'infrenabile prolissità impedì al B. di rifinire e render più incisiva la sua opera, per un altro verso ne fa un testimone vivacemente rappresentativo del costume e della vita pubblica e privata nella Venezia del tempo, sì che legittimamente questo scrittore può esser ridotto alla cronaca. Ècostante in lui il tono e lo stile della conversazione svagata e verbosa, che è insieme il suo pregio e limite: cronache veneziane sono in sostanza anche i melodrammi, quale che sia la loro ambientazione, e Venezia vi appare sempre in filigrana, coi caratteri della capitale orientale. I temi della lirica del B. son molto vari, e in particolare le rime d'argomento amoroso offrono una gamma multiforme di situazioni galanti, erotiche, sociali, e anche tenere e gentili; il tutto raccontato con facile scorrevolezza ma senza approfondimento psicologico. Spesso è francamente osceno, sebbene protestasse - conforme una dichiarazione d'uso comune - di avere scritto con animo innocente. Ma i motivi più intensi e rilevati sono la stizzosa polemica col mondo contemporaneo, la figurazione del mondo "alla rovescia", il cupo sentimento della morte: il mondo gli pare una "gabbia di matti" e ne tocca a tutti (ecclesiastici, zerbinotti, ipocriti, falsi testimoni, mantenuti, bari, vecchi insatiriti). Dall'indice categorico dei vizi del tempo elencati con acredine esce un amaro giudizio conclusivo: "Questa xe la più trista e grama età / che ghe sia stà daspò che 'l mondo dura" (Elmondo alla moda, in Livingston, 1913, p. 296):all'esecrato mondo d'oggi, privo d'ogni giustizia, vien opposto - ma più come risvolto polemico che come rimpianto - il ricordo del secol d'oro. Il B., peraltro, non scende mai in profondità: constata ma non giudica; o piuttosto rivela la decadenza, ma con l'animo di chi non ha prospettive ("Niente me fa curioso e no me trago; / ai bozzoli de piazza poco vago / e vivo quieto come le marmote", ibid., p. 269).Non a caso è rabida la sua sfiducia nella scienza (davanti alla sventura di Galileo egli si meravigliò che vi fosse qualcuno tanto pazzo da farsi perseguitare per dire che la Terra si muove): in nessun modo il B. avverte i limiti della scienza, ché il suo è solo rancore per l'intraprendenza spirituale umana, a cui è opposta la condizione meschina e monca dell'uomo, nato per mischiar stenti e parole. Di qui un desolato sentimento della morte e della precarietà.
Opere: L'esuberante e intricata tradizione manoscritta del B. (numerosissimi mss. conservati soprattutto a Venezia nella Marciana, al Museo Correr, nella Querini-Stampalia; alla Bertoliana di Vicenza; nel Museo civico e nell'Universitaria di Padova; nel Museo civico di Treviso) è registrata con diligenza dal Livingston, 1913, pp. 411-61, che distingue: a) melodrammi, b) opere in prosa, c) poesie italiane, d) sonetti, e) poesie dialettali, f) poesie apocrife. Tra gli inediti di maggior rilievo sono: Venezia, Civico Museo Correr, cod. Cicogna 344, cc. 267-90: Fileno (romanzo); Ibid., cod. Cicogna 344, cc. 1b-211 e 213-46: La Floridiana (romanzo); Ibid., cod. Cicogna 1053, parte II, cc. 109-149a, e in altri mss.: La discesa d'Enea all'inferno (melodramma); Ibid., cod. Correr 1137, II, cc. 177 s.: Lettera a S.E. Alvise Contarini per l'accomodamento tra la Repubblica di Venezia e i gran signori per l'impresa fatta da S.E. Alvise Capello (datata 28 ag. 1639). Tra gli scritti editi citiamo ancora: L'incoronazione di Poppea, Venezia 1642 (ediz. parziale; poi integralmente a Napoli 1651, e successivamente: Venezia 1656; a c. di P. Nardi, Venezia 1949; in Drammi per musica dal Rinuccini allo Zeno a c. di A. Della Corte, I, Torino 1958);ode Per la felice vittoria riportata dalle armi venete contro il Turco a Fochies, Venezia 1649;canz. Santa,eccelsa,sublime, in Applausi poetici al valore e merito del sig. Giacomo Da Riva, ibid. 1652; Lettera panegirica alla gloria immortale di D. Diego Michiel Colomera, ibid. 1653; La prospettiva del navale trionfo riportato dalla Repubblica Serenissima contro il Turco, ibid. 1656(una traduz. inglese di Th. Higgons, London 1658); Panegirico al sig. Lazaro Mocenigo, Venezia 1657;lettere, in G. G. Nicolini, Le ombre del pennello glorioso del sig. Pietro Bellotti, ibid. 1659, pp. 17-19, 104 s., 109; I sonetti morali ed amorosi, testo critico per c. di A. Livingston, ibid. 1911; rime scelte, in Marino e marinisti,opere scelte a c. di G. Getto, II, Marinisti, Torino 1954, pp. 492-94; Vita nostra e morte,al sig. Niccolò Crasso, in M. Dazzi, Il fiore della lirica veneziana, II, Venezia 1956, pp. 55-72;rime scelte, in Poesia del Seicento a c. di C. Muscetta e P. P. Ferrante, Torino 1964, II, pp. 1278-1323.
Fonti e Bibl.: B. Bonifacio, Musarum lib. X, Venezia 1646, lib. X, 39 e 134, pp. 437 e 469 (è cit. anche un'ediz. di Treviso 1645); L. Allacci, Dramaturgia, Roma 1666, pp. 23 s., 96, 18 1, 263 s., 302; A. Aprosio, La Bibl. Aprosiana, Bologna 1673, pp. 83 s., 113; G. D. Petricelli, Oratio in funere ill. atque excell. D. D. Petri Busenelli, Venetiis 1713, p. 8; G. C. Becelli, Della novella poesia, Verona 1732, p. 255; A. Groppo, Catalogo di tutti i drammi per musica recitati nei teatri di Venezia dall'anno 1637 sin all'anno presente 1745, Venezia [1745], pp. 16 s., 19, 23; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2454-57; S. Arteaga, Le rivoluzioni del teatro musicale italiano, Venezia 1785, I, p. 331; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, pp. 167, 170, 230, 693; VI, ibid. 1853, pp. 34, 537; G. A. Michiel, Notizie ed osservazioni intorno al progresso dei teatri e delle rappresentazioni teatrali in Venezia e nelle città principali dei paesi veneti, ibid. 1840, p. 25; L. N. Galvani [G. Salvioli], Iteatri musicali di Venezia nel secolo XVII, Milano 1878, pp. 19, 31 s., 35, 69; T. Wiel, I codici musicali contarinianidel secolo XVII nella R. Biblioteca di S. Marco, Venezia 1888, pp. 5, 21, 51, 81; A. Borzelli, Ilcavalier G. B. Marino, Napoli 1898, pp. 168-72; A. Livingston, Una poesia di G. F. B. in Inghilterra, in Ateneo veneto, XXXI (1908), pp. 49-68; A. Livingston, G. F. B. e la polemica StiglianiMarino,ibid., XXXIII(1910), pp. 123-56; A. Livingston, La vita veneziana nelle opere di G. F. B., Venezia 1913; G. Spini, Ricerca dei libertini, Roma 1950, pp. 212, 244; C. Sartori, B. G. F., in Encicl. dello Spettacolo, II, Roma 1954, coll. 1394 s.; G. Pesenti, Libri censurati a Venezia nei secc. XVI-XVII, in La Bibliofilia, LVIII(1956), pp. 20 s.; M. Dazzi, Il fiore della lirica veneziana, II, Venezia 1956, pp. 12, 43-54; G. Getto, Letteratura e poesia, in La civiltà veneziana nell'età barocca, Firenze 1959, pp. 155 s.; E. Zanette, Suor Arcangela,monaca del Seicento veneziano, Venezia-Roma 1960, pp. 296, 334-38 e passim;C. Jannaco, Il Seicento, Milano 1963, pp. 200, 216 s., 242, 289, 292, 299, 420.