BRANCALEONE (Brancaleoni), Giovanni Francesco
Nato a Frasso (una località a 37 chilometri da Benevento) verso il 1500 da Alessandro e Lucrezia Guarina, fu medico e professore di sapienza all'università di Napoli. Erroneamente fu detto archiatra di Paolo III: in realtà nel 1535 si recò a Roma per rendere omaggio a questo pontefice, ma tosto fu sviato da questo scopo per essere invitato a un consulto medico al capezzale di Martino del Portogallo, nipote del re e suo ambasciatore a Roma. Prendendo spunto da questo consulto il B. pubblicò a Roma in quello stesso anno un Dialogus de balneorum utilitate che, riedito l'anno successivo a Parigi e a Norimberga e poi compreso nella raccolta De balneis omnia quae extant, Venetiis 1553 (ff. 240r-246r), diede al suo autore una certa notorietà. Qualche anno più tardi, nel 1542, pubblicò a Napoli un'opera di carattere filosofico, intitolata Breve discorso de la immortalità de l'anima.
Il B. fu tra i fondatori dell'Accademia dei Sereni, istituita il 14 marzo 1546 nel seggio di Nido (S. Angelo di Nido), con lo scopo dichiarato di organizzare recite di composizioni teatrali scritte dai soci, e di dar luogo a corsi di lezioni, in latino e in volgare, sulla filosofia, la matematica e la poesia. All'atto della fondazione il B. ricoprì la carica di "consule", e poco tempo dopo fu nominato "principe", cioè direttore dell'Accademia: questa, per altro, doveva avere breve vita, poiché il vicerè Pedro de Toledo, insospettito, la soffocò brutalmente dopo poco più di un anno.
Nel 1569, in età ormai avanzata, il B. dovette subire un processo dinanzi al tribunale del S. Uffizio di Napoli, essendo stato denunciato come eretico o sospetto di eresia dal nobile Gregorio Rainone.
Le accuse vertevano da un lato sulla pretesa empietà della condotta del B.: l'avere tenuto in casa una concubina e da essa avere avuto un figlio, l'avere praticato l'usura e l'avere tenuti nascosti libri proibiti, che furono poi trovati sotto il suo letto. Altre accuse concernevano più specificamente le credenze religiose: il B. avrebbe negato la necessità della confessione, avrebbe mangiato carne nei giorni proibiti, avrebbe sostenuto che l'anima, alla morte del corpo, va dentro "uno copone". Nella propria difesa riconobbe di aver vissuto con una donna, Carmosina Ciampa, ma precisò che costei era morta quindici anni prima, e che il figlio Giovanni Lunardo era di un'altra donna, Julia Insegna. Quanto ai libri proibiti, egli sostenne di avere acquistato opere di Melantone, di Erasmo e di Luciano quando queste non erano ancora proibite, e di avere avuto in seguito intenzione di disfarsene. Per parare le accuse di eresia ricordò di aver pubblicato un'opera per dimostrare l'immortalità dell'anima e di avere, nel 1566, nella chiesa dello Spirito Santo, pronunziato una orazione in latino in onore dell'incoronazione di Pio V, che fu poi inviata al cardinale Sirleto. Affermò infine con energia di essere vittima di una macchinazione: l'accusante infatti era nipote del barone di Frasso, Fabrizio, che da vari anni angariava il B. con una serie di gravi soprusi al solo scopo di costringerlo a cedergli una piccola vigna. Il tribunale dovette dare ragione al B. e stabilirne la scarcerazione con un decreto del 28 giugno 1570. Ma nel frattempo egli aveva trascorso sette mesi in prigione, pur avendo ottenuto il privilegio di dimorare in una sala del palazzo sopra le carceri in considerazione della sua infermità e dietro cauzione di 2.000 ducati.
Si ignora la data precisa della morte del Brancaleone.
Il Dialogus de balneorum utilitate,cum ad sanitatem tuendam,tum ad morbos curandos ex Hyppocrate,Galeno,caeterisque medicorum peritissimis decerptus, occasionato da un consulto riguardante un'indisposizione di Martino del Portogallo, che le cure tradizionali di tre medici non erano riuscite a eliminare, si presenta come una discussione fra questi ultimi e il B., nella quale l'autore riesce a convincere i contradittori dell'utilità della cura dei bagni tanto nel caso specifico quanto in generale come mezzo profilattico e terapeutico. In via preliminare il B. sgombra il campo dai pregiudizi correnti dimostrando con una nutrita serie di citazioni che i classici della medicina - da Ippocrate a Galeno, ad Avicenna - lungi dall'essere contrari all'uso dei bagni ne furono spesso strenui propugnatori. Ciò non gli impedisce tuttavia di appoggiare le proprie argomentazioni più sulla ragione e sull'esperienza che sull'autorità degli antichi. I bagni, tanto "naturali" (in acqua allo stato naturale, sia dolce sia salata, sulfurea, ferruginosa, ecc.) quanto "artificiali" (in acqua corretta con l'aggiunta di piante, fiori, nitrati, senape, ecc.), sono ritenuti dal B. particolarmente raccomandabili per la conservazione della salute poiché attraverso i pori liberano il corpo da ogni sostanza putrida e dannosa, eliminando alle radici le cause di un'infinità di malanni. Ma egli caldeggia altresì l'uso terapeutico dei bagni, specialmente in polemica con l'abuso di cure farmacologiche che andava allora profilandosi. I farmachi - a volte somministrati da incompetenti al solo scopo di lucro - risultano spesso dannosi e un semplice eccesso può renderli letali: "temo - afferma il B. - che ne uccidano di più le medicine che la gola e la spada" (f. 245 B); al contrario, è assai difficile eccedere nell'uso dell'acqua, elemento tanto naturale all'uomo da accoglierlo fin dal momento della nascita e da essere il principale costituente del suo corpo. Poiché è compito del medico aiutare la natura con mezzi il più possibile naturali, il bagno dovrà diventare, se non l'unico, il primo e il più diffuso metodo curativo. Queste argomentazioni, nella loro elementarità, costituiscono uno dei primi tentativi di studio sistematico dell'uso curativo dei bagni, e al B. va riconosciuto il merito, più volte attribuitogli, di aver contribuito ad aprire la strada alla moderna idroterapia.
Di diverso argomento e tenore è l'altra operetta di B., Breve discorso de la immortalità de l'anima,con una stupenda visione sovra di ciò a lui apparsa. Vi racconta di avere vissuto per un anno, nel 1529, con un certo Marco Flamingo, dotto giureconsulto di novantacinque anni venuto a Napoli da Caserta, e di aver stipulato con lui un patto singolare: il primo a morire sarebbe apparso all'altro per dargli una prova inconfutabile dell'immortalità dell'anima. Tre anni dopo, ospite di una signora a Sorrento, il B. incontrò il Flamingo il martedì di Pasqua e combinò di rivederlo il giovedì; ma il mercoledì notte il vecchio gli apparve per confermargli l'immortalità dell'anima, e l'indomani mattina il B. venne a sapere che l'amico era spirato proprio quella notte. Questo tentativo di dimostrazione "sperimentale" dell'immortalità dell'anima va inserito nell'ambito delle discussioni successive alla pubblicazione del De immortalitate animae del Pomponazzi (1516), discussioni che ebbero in Napoli uno dei loro epicentri (su di esse vedi la dedica al B. di N. A. Pacca, Endixes Logicae, Neapoli 1556).
Un terzo scritto del B. è ricordato da G. Ruscelli (Lettura sopra un sonetto del Marchese della Terza, Venezia 1552, p. 13): si tratterebbe di un Discorso sopra l'avvertimento: conosci te stesso, ma non sembra che sia mai stato dato alle stampe.
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