BALBO (Balbis, Balbi, de Balbis, Balbus, Balb), Giovanni Francesco
Figlio primogenito di Stefano, che apparteneva probabilmente alla storica famiglia dei Balbo di Chieri, e fratello del più celebre Niccolò, nacque ad Avigliana prima del 1480 come si deduce da un epigramma del vercellese M. Capris che accompagna, insieme ad altri versi, la maggior opera del B., il Tractatus de praescriptionibus del 1510, in cui si legge: "Aspice nunc Balbum, qui sex vix lustra peregit".
Studiò giurisprudenza all'università di Torino; la tradizione lo vuole allievo di Giacomino da San Giorgio e di Claudio di Seysel, il primo dei quali morì nell'ottobre del 1494 e il secondo abbandonò l'ateneo torinese nel settembre del 1498: notizie queste che non smentirebbero la ricostruzione della data di nascita del B. sulla base dell'epigramma del Capris.
Ma le prime notizie certe risalgono appunto al 1510, anno in cui il B. dedicava al duca Carlo II il suo Tractatus de praescriptionibus, edito poi a Torino con la data 13 dic. 1511. Dalla lettera dedicatoria apprendiamo come egli, "superioribus annis", fosse stato nominato da Carlo II professore "lectionem ordinariam vespertinam iuris civilis interpretans", presso l'università di Torino. Nella chiusa del Tractatus egli accenna a come avesse scritto quest'opera in meno di due anni, nelle ore sottratte agli impegni forensi e alle lezioni universitarie; da ciò il Patetta deduce che la nomina del B. "non può essere posteriore al 1508 e probabilmente non è di molto anteriore" (p. 429).
II B. prese la cittadinanza di Torino, alla quale probabilmente gli dava diritto la nomina a professore. Alcuni scrittori (Mantova, Rossotto, Mazzuchelli) hanno erroneamente ritenuto invece che il B. fosse nato a Torino, il che, come nota il Patetta, sembra smentito dallo stesso frontespizio del Tractatus, in cui si legge: "Per Johannem Franciscum Balbum de Aviliana civem Taurini".
Il Dionisotti afferma che il B. nel 1513 fu chiamato a far parte del Consiglio cisalpino. Peraltro, nell'Archivio di Stato di Torino si conservano due lettere del B., segnalate dal Patetta, in cui egli raccomanda alcuni suoi parenti al duca Carlo II ricordando la propria nomina a collaterale: "votre bon plaisir a esté aussy de me mettre au conseil de Thurin". Manca in queste lettere l'indicazione dell'anno ed esse non aiutano quindi a ricostruire la data di questa sua nomina. Un'altra menzione di essa si trova in una lettera firmata da Carlo II, del 10 dic. 1518, con la quale il duca confermava un atto di vendita del 29 nov. 1518, rogato "in civitate Thaurini, in aula domus habitationis magnifici domini Johannis Francisci de Balbis, ducalis Sabaudiae consiliarii et collateralis". Con esso Filippo del fu Mileto de Simeonibus, col consiglio di altri Simeoni, vendeva a Giovanni Francesco e al fratello Niccolò, per 9.450 fiorini di Savoia di piccolo peso, tutti i diritti feudali e allodiali "in castro receto, loco et finibus Bonae vallis [Bonavalle]" (v. Patetta, p. 430). Non si hanno altre notizie del B. oltre il 1518; la sua morte è certamente di molto anteriore a quella del fratello Niccolò, avvenuta nel 1552.
La fama del B. è legata al Tractatus de praescriptionibus, opera a lungo apprezzata nel sec. XVI, come testimoniano anche le numerose edizioni successive a quella torinese (Lione 1532 e 1567, Colonia 1573, Venezia 1582). Concepita per servire alla pratica forense, come lo stesso B. avverte, questa trattazione non manca tuttavia di una solida intelaiatura istituzionale, in cui è possibile vedere riflessa una problematica scientifica che si distacca decisamente dalla prevalente letteratura giuridica coeva sull'argomento, generalmente legata ai modi della "giurisprudenza consulente". In alcune pagine del Tractatus il B. si richiama infatti alla sua attività di docente, specie nella repetitio solennis del frammento di Celso (D. 41, 3, 27), che costituisce quasi un'appendice integrativa dell'opera e la cui trattazione, nel ricordo del B., era legata al suo primo corso di insegnamento nell'ateneo torinese. Ma più che questi richiami esterni al mondo accademico, quel che rende evidente la singolarità del Tractatus sono le affermazioni programmatiche che vi si incontrano e l'organicità dell'insieme. Strettamente legata alla tradizione bartolistica sebbene siano presenti in essa accenni in cui il B. rivela una cultura letteraria di stampo umanistico, l'opera manca tuttavia di una qualsiasi attenzione ai problemi interpretativi della giurisprudenza umanistica. Pure in questi limiti, acquista un rilievo che va al di là della semplice affermazione oratoria la polemica che il B. fa alla "giurisprudenza consulente". Di fronte al gran numero di punti di riferimento legislativi che una trattazione sul tema della prescrizione necessariamente implica dalla estesa regolamentazione del Corpus iuris civilis, a quella delle fonti canonistiche, ai frequenti richiami delle fonti del ius singulare, alle molteplici interpretazioni della giurisprudenza, il B. ritiene che "non est enim hoc multiplicare volumina, sed potius multiplicata resecare, et ad breve utilissimumque compendium redigere. Quod hisce temporibus in tanta librorum moltitudine, opiniorumque varietate et conflictu, nescitur apprime necessarium" (p. 9, dell'ediz. veneziana).
Si tratta di una polemica che non vuole essere negatrice di nuovi possibili tentativi interpretativi ("tanto magis debetur his, qui ultra aliorum scripta per eos ordinate disposita et cumulata, aliquid pertinenter utiliterque addere conati sunt", p. 15), ma che è invece tutta rivolta ad affermare un principio sistematico e costruttivo: "quod omnis, quae a ratione suscipitur de aliqua re, istitutio debet a difinitione proficisci, ut intelligatur, quid sit id de quo disputetur" (p. 47).
Come abbiamo già accennato, non si tratta di affermazioni di semplice valore scolastico; la chiarezza ed il rilievo con cui vengono enunciate riflettono il tentativo consapevole del B. di stabilire dei nuovi criteri sistematici, mostrando così d'intendere i termini della crisi del sistema del ius commune,già aperta agli inizi del sec. XVI, e cercando delle soluzioni interpretative che pur muovendosi all'interno della tradizione del mos italicus non erano però prive di "modernità".
Pur essendo difficile, alla luce delle attuali indagini storiografiche, stabilire con precisione il contributo portato dal B. alla cultura giuridica del suo tempo, si può far riferimento alla famosa Quaestio di G. Nevizzano, posteriore di un decennio al Tractatus e concepita nel medesimo ambiente scientifico dell'ateneo torinese, che porterà alle estreme conseguenze gli spunti polemici del B., per inserire la sua opera sulla linea di un quanto mai particolare e significativo sviluppo del pensiero giuridico della prima metà del sec. XVI.
Il Panciroli ritiene il B. autore anche di una raccolta di Responsa,che non venne però mai pubblicata. Al B., inoltre, fu erroneamente attribuita, insieme ad altri scritti, una vita di Niccolò Faber (Iöcher, Fontana, Mazzuchelli), opera invece più tarda di un suo omonimo.
Bibl.: M. Mantova Benavides, Epitomae virorum illustrium, in Tractatus universi iuris, Venezia 1584, I, f0l. 165; A. Rossotto, Syllabus scriptorum Pedemontii, Monteregali 1667, p. 361; A. Fontana, Amphiteatrum legale... seu biblioteca legalis amplissima, I, Panormi 1688, col. 56; G. Panciroli, De claris legum interpretibus libri quatuor, Lipsiae 1721, p. 265; C. G. Iöcher, Allgemeines Gelehrten-Lexikon, I, Lipsia 1750, col. 716; G. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, p. 82; T. Vallauri, Storia delle università degli studi del Piemonte, Torino 1845, p. 128; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, I, Torino 1881, pp. 196, 303; F. Patetta, Di Nicolò Balbo Professore di diritto nell'università di Torino e del "memoriale" al duca Emanuele Filiberto..., in Studi pubbl. dalla R. Università di Torino nel IV centen. della nascita di Emanuele Filiberto, Torino 1928, pp. 427-431, 432; M. Bersano Begey, Le cinquecentine piemontesi; Torino, Torino 1961, p. 69.