FOSCARI, Giovanni
Patrizio veneziano, era figlio di Nicolò, uno dei quaranta cavalieri armati in Verona da Cangrande Della Scala in occasione delle feste indette per la conquista di Padova (1328). Non conosciamo la sua data di nascita, possiamo solo ipotizzare che sia anteriore al 1325, dato che nel 1355 egli fu elettore del doge, ufficio per il quale si richiedeva un'età minima di trent'anni.
Le fonti di cui disponiamo ricordano per la prima volta il F., detto anche Giovannino, il 6 luglio 1349, allorché il Consiglio dei pregadi deliberò circa l'attribuzione in feudo del castello di Val Mareno a Marino Falier, il futuro doge, in base a quanto riferito da una commissione di tre sapienti di cui il F. faceva parte. L'anno successivo, alla vigilia della guerra con Genova, è ricordato fra i capi della Quarantia e fra i proponenti di un'alleanza antigenovese con il khan dei Tartari. La proposta venne formulata in Senato il 26 agosto da Pietro Giustinian, altro capo dei Quaranta, ma non fu approvata. Ricomparve però due giorni più tardi con l'appoggio di più persone, fra cui il doge Andrea Dandolo e il Foscari.
Secondo il genealogista Cappellari Vivaro, il F. nel corso dello stesso anno prese parte alle operazioni militari contro Genova, ma non è da escludere che si tratti di una confusione con Giovanni Foscarini, che ebbe il comando di una squadra navale partita da Venezia nell'ottobre 1350. Dal 1° sett. 1351 al 1° marzo 1353 resse la podesteria di Padova, durante la signoria di Iacopino e Francesco da Carrara. Fu quindi podestà e capitano in Treviso fra il 1353 e il 1354.
Il 15 genn. 1354 il suo nome compare in un documento relativo all'elezione del duca di Creta. Al termine di questa, erano risultati eletti duca e consiglieri Giovanni Gradenigo, Zaccaria Contarini, e il F.: a motivo, però, dell'ineleggibilità del Gradenigo, si dovette procedere a un nuovo scrutinio. Non conosciamo l'esito della seconda votazione: a ogni modo, verso la fine dello stesso anno il F. si trovava a Venezia e di qui venne inviato in ambasceria presso Francesco da Carrara, capitano generale della lega promossa contro i Genovesi.
Nel 1355 il F. fu uno dei quarantuno elettori del doge Giovanni Gradenigo. Quando scoppiò la guerra con l'Ungheria (per il controllo dei territori dalmati) nel 1356, egli si trovava ad Asolo come podestà: la città venne investita dalle truppe ungheresi e in luglio, non essendo in grado di resistere, il F. si arrese. Le autorità veneziane non ritennero giustificabile il suo operato e il F., dopo essere stato incarcerato, fu sottoposto a giudizio. Il 20 ott. 1356 il Maggior Consiglio lo condannò a una pesante multa e alla privazione di tutti gli uffici per la durata di tre anni.
Espiata la pena, il F. tornò a ricoprire incarichi pubblici al servizio di Venezia. Nel 1360 venne inviato in ambasceria presso il re Pietro IV di Aragona, dove si trattenne per lungo tempo, per ottenere il risarcimento dei danni subiti dai mercanti veneziani. Nel 1364 fu uno dei tre provveditori inviati a Treviso per ispezionare le truppe, sia di fanteria che di cavalleria, e consolidare la difesa eliminando gli elementi inaffidabili o inadatti al servizio e sostituendoli con altri in possesso dei requisiti necessari. Subito dopo, a Venezia, venne inserito in una commissione di tre savi nominati dal Senato per cercare di comporre la guerra fra il duca d'Austria e il patriarca di Aquileia, per cui si era anche provveduto a inviare un'ambasceria presso i due contendenti.
Nel 1365, quando si era quasi al termine della sanguinosa ribellione di Candia, il F. fu uno dei provveditori che dovevano dare il cambio a quelli che già operavano nell'isola di Creta. Prima che partisse, però, giunse la notizia della completa sottomissione dei ribelli e fu revocata di conseguenza la deliberazione di inviare nuovi provveditori. Nel corso dello stesso anno fu podestà di Trieste dove, sotto il suo reggimento, vennero rinnovati gli statuti cittadini. L'anno successivo fu chiamato nuovamente a un rilevante incarico pubblico: insieme con Marino Venier e Nicolò Falier andò in ambasceria ad Avignone presso il pontefice Urbano V. Il Senato, dopo il fallimento di una precedente missione, aveva affidato loro un compito particolarmente arduo: dovevano ottenere dal papa l'autorizzazione a ristabilire i rapporti commerciali fra la Repubblica e l'Egitto, interrotti da quando, nell'ottobre del 1365, il re di Cipro, Pietro I da Lusignano, era sbarcato ad Alessandria.
Nello stesso tempo la Repubblica inviò un'ambasceria presso il sultano di Egitto, che si accordò con Venezia liberando i mercanti prigionieri e accettò di avviare trattative per un accordo con il re di Cipro e i cavalieri di Rodi. Quando l'esito positivo dell'ambasceria fu comunicato ad Avignone ai legati veneziani, essi ne informarono il papa, che finì per cedere alle loro richieste autorizzando la ripresa dei traffici con l'Egitto il 23 giugno 1366. Subito dopo il F. e gli altri due ambasciatori rientrarono a Venezia, dove riferirono in Senato sull'esito della loro missione.
Nel 1368 il F. fu membro del Consiglio dei quaranta: lo troviamo ricordato nell'esercizio delle sue funzioni da documenti che vanno da febbraio a giugno. Nel corso dello stesso anno, inoltre, fece parte dei dodici oratori veneziani che raggiunsero nel Trevigiano l'imperatore Carlo IV quando scese per la seconda volta in Italia. Non abbiamo più sue notizie fino al momento in cui venne coinvolto nella controversia fra il figlio Paolo, vescovo di Castello, e la Repubblica di Venezia a causa delle decime dei morti. Fallito un tentativo di mediazione, la Repubblica ricorse al F. che, probabilmente nel 1370, fu inviato presso il figlio, che si era trasferito presso la Sede apostolica, affinché usasse la sua autorità per convincerlo a desistere. Anche questo tentativo si rivelò inefficace e il F. tornò in patria; l'8 apr. 1372 venne però di nuovo chiamato in causa e il Senato gli intimò di ridurre alla ragione il vescovo entro tre mesi, sotto la minaccia del bando perpetuo per lui e i figli e la confisca di tutti i beni. Quando si arrivò alla scadenza, si ebbe una proroga di altri quattro mesi durante i quali, con ogni probabilità, l'intransigenza mostrata fino a quel momento dal figlio Paolo si ammorbidì, anche se la controversia non sarebbe stata appianata fino al 1376. Il bando contro i Foscari non risulta infatti essere stato pronunciato e, l'8 luglio 1372, scrivendo da Avignone al doge Andrea Contarini, papa Gregorio XI intercedeva per il F. chiedendo la revoca dei provvedimenti adottati contro di lui.
Nulla si conosce in seguito del F. e si deve comunque ritenere che sia morto poco tempo dopo, non oltre l'aprile 1380 quando viene ricordato Francesco Foscari figlio del quondam Giovanni. Oltre al vescovo Paolo e a Francesco ebbe altri cinque figli maschi: i più eminenti furono Francesco, capitano e podestà di Feltre nel 1405, e Nicolò padre del doge Francesco.
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