FOLO, Giovanni
Nacque a Bassano il 20 apr. 1764 da Pietro, agiato possidente, e da Angela Bravo. Dopo una formazione nella città natale con il pittore Giulio Golini, fu allievo a Venezia del tardo tiepolesco Giambattista Mengardi (Baseggio, 1836, p. 142; Campanile, 1982-83, pp. 7, 20). In una breve memoria autobiografica il F. ricorda di "aver fatto gli studi elementari del Disegno in Venezia, dove riportò nel primo Concorso il Premio della Medaglia d'Oro per aver presentato il quadro di S. Pietro e Paolo del Bassano" (Roma, Archivio storico dell'Accademia nazionale di S. Luca, vol. 169, n. 50, da ora: Arch. S. Luca). In realtà è stata rintracciata la documentazione del concorso bandito dall'Accademia di Venezia il 29 febbr. 1783 e concluso il 21 marzo 1784 con la vittoria del F. che aveva presentato il dipinto menzionato. Durante il soggiorno a Venezia quindi il F. frequentò anche l'Accademia dove lo stesso Mengardi insegnava (Campanile, 1982-83, pp. 23 s.). Inoltre la partecipazione del F. al concorso a Venezia fa supporre che il suo trasferimento a Roma sia avvenuto qualche anno dopo il 1781, data indicata da Baseggio e riproposta nei repertori successivi. Anche una lettera, conservata nell'Epistolario Remondini (da ora Ep. Rem.) presso la Biblioteca del Museo civico di Bassano del Grappa (X, I, 2346), del F. da Venezia al conte Giovanni Remondini, del 12 febbr. 1784, testimonia una permanenza del F. nella città lagunare ancora in questo anno. Nella stessa lettera si accenna ad alcuni dipinti raffiguranti i Miracoli della B. Giovanna che il F. avrebbe realizzato per il conte Remondini, probabilmente in occasione della beatificazione di Giovanna Maria Bonomo, le cui celebrazioni si svolsero a Roma il 9 giugno 1783 e a Bassano il 13 marzo 1784 (Campanile, 1982-83, p. 25). Testimonianza di una marginale attività di pittore che dovette protrarsi per tutto l'arco della sua carriera, sono inoltre un ritratto a matita di Giovanni Volpato, del 1792 circa, e un Autoritratto a olio del 1795 (Giovanni Volpato..., 1988, p. 11; Remondini..., 1990, pp. 268 s.).
Per quanto non resti traccia di un'attività di incisore del F. in questi primi anni, o di una sua pur ipotizzata collaborazione alla calcografia Remondini (Baseggio, 1847, p. 189; Brentari, 1881, p. 234), in un ambiente artistico fortemente influenzato dall'intensa produzione calcografica di studi come quello dello stesso Remondini a Bassano o di Antonio Wagner a Venezia, il F., certo sollecitato anche da Giulio Golini che fu maestro di altri incisori di successo come Pietro Bonato, Pietro Fontana, Tommaso Viero (Remondini..., 1990., p. 33 n. 25), acquisì le basi della particolare tecnica della scuola veneta che, attraverso una precisa codifica dello spessore e della combinazione dei tratti incisi, sia ad acquaforte che a bulino, permetteva un perfetto dosaggio dei trapassi luminosi e la resa della diversa consistenza materica. Questa tecnica innovativa già nel 1771 era stata introdotta a Roma da Giovanni Volpato e qui, a contatto con la cultura antiquariale, contribuì in modo determinante alla formazione di un linguaggio grafico neoclassico.
Naturale prosecuzione della formazione dei F. fu quindi il trasferimento a Roma, dopo il 1784, per lavorare nello studio di Volpato, il cui variegato ambiente, frequentato da personalità artistiche di fama internazionale, favorì la sua ampia maturazione culturale (Campanile, 1982-83, p. 3). L'attività professionale presso Volpato si dovette svolgere inizialmente come un vero e proprio apprendistato durante il quale, allievo dei genero dell'incisore bassanese, il già affermato Raffaello Morghen, il F. si esercitava nell'incidere collaborando alla realizzazione dei rami senza firmarli. È menzionata infatti una traduzione della Sacra Famiglia di P.P. Rubens del 1786, firmata da Morghen, ma incisa in gran parte dal F. (Palmerini, 1819). Tra le prime commissioni indipendenti dallo studio di Volpato si colloca la partecipazione alla riproduzione degli arazzi di Raffaello in Vaticano, progettata dall'incisore Stefano Piale in collaborazione con l'editore Spagna e l'incisore Angelo Campanella e annunciata dalle Memorie per le belle arti del 1788 (p. C CXCVI). Un'incisione della serie, dedicata a Pio VI, è in realtà firmata dal F. la cui collaborazione alla riproduzione degli arazzi vaticani è ricordata da Nagler (IV, 1837, p. 395).
A partire già dagli anni Novanta il F. lavorò in prevalenza in collaborazione con Bernardino Nocchi, Agostino e Stefano Tofanelli, artisti lucchesi che avevano quasi il monopolio della committenza di disegni per la calcografia di Volpato e risultano autori di gran parte delle copie delle opere di Raffaello. La continuità di questa collaborazione costituisce un elemento decisivo per l'evoluzione del linguaggio dell'incisore. Forse a partire dal 1788-89 il F. sperimentò per la prima volta il flessibile codice grafico che andava acquisendo per la traduzione della scultura classica, collaborando all'apparato illustrativo del terzo volume dell'opera di Nicolás Josè de Azara, Historia de la vida de Marco Tullio Cicerón, pubblicato a Roma nel 1790. Per il volume il F. incise le erme di Socrate, Catone, Bruto (Campanile, 1982-83, p. 39; Cacciotti, 1993). Nello stesso periodo il F. cominciò a lavorare per il monumentale catalogo del Museo Pio Clementino di E. Q. Visconti di cui erano già stati pubblicati i primi due volumi.
Il F. collaborò alle tavole del III, V, VI e VII volume, pubblicate a Roma tra il 1790 e il 1807, insieme agli altri incisori attivi per Volpato, come Pietro Bettelini, Alessandro Mochetti, Giambattista Leonetti, Luigi Cunego, Pietro Fontana. Oltre che con i disegni preparatori di Stefano e Agostino Tofanelli il F. si misurò in quest'occasione con la grafica di Domenico Del Frate, allievo lucchese di Bernardino Nocchi, specializzato nella copia di sculture classiche e, in seguito, disegnatore preferito da Canova per la pubblicazione delle sue opere.
Come ricorda lo stesso F. (Arch. S. Luca), Marcantonio IV Borghese che stava all'epoca concludendo la grandiosa risistemazione e decorazione del casino della sua villa romana, commissionò le incisioni per il catalogo della collezione di scultura, le cui note illustrative erano state affidate a Ennio Quirino Visconti, allo stesso gruppo di disegnatori e incisori, attivi per il catalogo del Museo Pio Clementino. In una lettera del 3 ag. 1792 il F. comunicò al conte Roberti di essere impegnato nell'esecuzione del rame di "un discobolo in nudo per lecc.mo Principe Borghese" e ancora in una del 9 ag. 1794 informa di essere occupato con l'incisione di un "Ermafrodito" (Ep. Rem., X, I, 2347, 2350).
Tra il 1792 e il 1795 il F. realizzò dieci tavole di grande formato e qualità da disegni di Bernardino Nocchi e Stefano e Agostino Tofanelli, che compariranno nei Monumenti scelti Borghesiani, pubblicato solo nel 1821, a cura di Stefano Piale e Giovanni Gherardo De Rossi (Giovannelli, 1992-93, pp. 270 s., 302 s.; González-Palacios, 1993). L'importanza e il successo di questa commissione sono confermati dal fatto che nel ritratto di F., realizzato da Bernardino Nocchi in quegli anni, l'incisore tiene tra le mani proprio una stampa della Diana, la cosiddetta zingarella, della collezione Borghese (Busiri Vici, 1965, p. 13; Remondini..., 1990, p. 269).
Numerose lettere degli anni Novanta, la maggior parte dirette al cugino Bartolomeo Gamba che dirigeva la calcografia Remondini a Venezia e collaborava alla diffusione commerciale al Nord delle stampe del F., testimoniano l'intensificarsi della sua attività.
Già nel 1793 la fama del F. era riconosciuta a Bassano se in una pubblicazione celebrativa di due eruditi bassanesi, Pietro Martinati e Tiberio Roberti, il F. è citato tra gli illustri bassanesi. Nell'opuscolo è menzionata la sua traduzione di una Sibilla del Domenichino, in collezione Borghese, in cui già e evidente una forte sensibilità nell'interpretazione della diversa qualità della luce e della materia (Ep. Rem., X, I, 2349; Campanile, 1982-83, p. 44). In una lettera del 26 ag. 1796 il F. informa il Gamba sull'intaglio di "un trionfo" (Ep. Rem., X, I, 2351), che dovrebbe identificarsi con la traduzione degli affreschi di Perin del Vaga in palazzo Doria a Genova, dal titolo Parte del trionfo di Scipione eseguito dal celebre pittore Bonaccorsi del Vaga ... Con la sperimentata capacità a tradurre la consistenza e luminosità del marmo, tra il giugno e l'agosto 1796, il F. realizzò la riproduzione del Monumento di Chiara Maria Spinucci contessa di Lusazia, scolpito da Domenico Cardelli per la cattedrale di Fermo (ibid., X, I, 2353, 2354; De Minicisi 1860). In un'altra lettera dello stesso anno il F. testimonia di avere uno studio già avviato e frequentato, menzionando come suoi allievi Giovanni Bianchi e Giacomo Alibrandi (Ep. Rem., X, I, 2351), mentre Pietro Bonato anch'egli suo allievo, ricorda che lo studio del F. all'epoca era il migliore a Roma (Campanile, 1982-83, p. 53). In realtà dal 1794 Raffaello Morghen si era trasferito a Firenze lasciando al F. il quasi monopolio dei mercato della stampa di traduzione a Roma.
In questo periodo il F., nell'intento di corrispondere ai diversi orientamenti del gusto fine secolo, si misurò anche con nuove tecniche grafiche per la resa di più intensi effetti Pittorici e chiaroscurali.
Per l'Autoritratto di Elisabeth Vigée Le. Brun, disegnato da Stefano Tofanelli dal dipinto presentato nel 1793 all'Accademia di S. Luca, il F. sperimentò infatti per prima volta la combinazione dei tratti ad acquaforte e bulino con gli effetti granulosi del metodo au crayon o stipple engraving (Ep. Rem., X, I, 2352). Il successo dell'incisione dall'autoritratto della pittrice, dedicata all'Azara, suggerì al F. di proseguire nella produzione del genere. Il 10 ott. 1796 il F. informa il Gamba di voler incidere una serie di ritratti e di figure allegoriche e mitologiche "al granito" (ibid., 2355).
Nell'intento di corrispondere anche al gusto paesaggistico del pubblico dell'ultimo ventennio del Settecento, il F. incise un paesaggio con rovine di Claude Lorrain e un altro in cui è ambientato il mito di Fetonte, del pittore inglese Richard Wilson. Benché nelle stampe non compaia il nome del disegnatore, potrebbe trattarsi anche in questo caso di collaborazioni con Stefano Tofanelli di cui sono noti disegni da paesaggi di Lorrain incisi da Volpato (Giovannelli, 1994, p. 199).
All'inizio degli anni Novanta, il successo professionale ed economico permise al F. di creare e mantenere una famiglia. Dal suo matrimonio con la romana Anna Maria Zappati, nel dicembre 1791 nacque il primogenito Pietro (Campanile, 1982-83, p. 41). Tra il 1793 e il 1797 nacquero Maddalena Clementina, Maria Carolina, Lorenzo Luigi, Raffaele, e, nel 1809, Barbara Antonia (Roma, Archivio storico del Vicariato, Parrocchia di S. Lorenzo in Lucina, Registro dei battesimi, XXXVII., 1788-1793; XXXVIII, 1793-1798; LXI, 1809-1810). Dal 1792 il F. risulta abitare a via della Vite (ibid., Stato delle anime, 1792, 1795) mentre in un Avviso agli amatori delle belle arti del 20 marzo 1806 è indicato l'indirizzo di piazza di Spagna 13 che ancora compare nella memoria autobiografica del 1812 (Arch. S. Luca).
A partire dal 1798 sembrano emergere problemi economici, probabilmente collegati con la crescita rapida della famiglia e l'avanzare della crisi politica a Roma che provocò una drastica contrazione delle committenze. Nelle lettere al Gamba, tra il 1798 e il 1805, si fecero più pressanti le richieste di smercio delle stampe e di anticipi di denaro soddisfatti dal cugino (Ep. Rem., X, I, 2358-2376). Non ci sono notizie sul periodo dell'occupazione francese, ma nel 1799, nel momento dell'arrivo delle truppe napoletane a Roma, il F. pubblicò una stampa raffigurante un ritratto di gruppo della Famiglia Gabrielli, disegnato da Agostino Tofanelli in occasione del ritorno dall'esilio del principe Pietro (L'arte di presentarsi..., 1985, p. 71). Contemporaneamente il F. completò per la calcografia di Volpato, sempre su disegno di Stefano Tofanelli, il rame raffigurante il Martirio di s. Andrea, dipinto dal Domenichino nell'oratorio presso S. Gregorio al Celio (Campori [1866], 1975, p. 223). A questo stesso periodo di rinnovata collaborazione con Volpato forse risale la realizzazione del rame tratto dal S. Michele e il drago di Guido Reni, della chiesa dei Cappuccini (Giovannelli, 1985, p. 151 n.; Id., 1992-93, pp. 268, 300).
Tra il 1800 e il 1801 il F. incise due rami da originali di Stefano Tofanelli (Campanile, 1982-83, p. 70), raffiguranti Due amorini nell'atto di provare e di scoccare la freccia, immagini tipiche del gusto dell'epoca per il bozzetto neoclassico e il frammento anacreontico, traducendo gli incarnati con la collaudata sensibilità per i morbidi passaggi luminosi e la vegetazione del sottobosco con effetti di più intensi contrasti. Il 12 giugno del 1801 il F. annunciava al Gamba di aver compiuto il rame raffigurante Eco e nel luglio informa che sta terminando di incidere l'Iride.
Si tratta di due stampe dai dipinti di Guido Head, del quale il F. incise anche un dipinto raffigurante Bacco e Arianna. La stampa di Eco risulta disegnata da Agostino Tofanelli che probabilmente aveva realizzato anche i disegni dalle altre opere di Head. Il tramite diretto per la commissione al F. potrebbe essere stato Vincenzo Pacetti che nel suo diario manoscritto, il 3 giugno 1803, annota di aver fatto da intermediario per il pagamento dei tre rami (Roma, Museo centrale del Risorgimento, Giornale, lett. F, 3 giugno 1803, f. 50r).
Nel marzo dello stesso anno venne completato un altro soggetto di successo: un'Angelica e Medoro da un dipinto che Teodoro Matteini aveva realizzato per F.A. Hervey conte di Bristol. Un'altra stampa di analogo soggetto letterario amoroso, tratta dal dipinto di Luca Cambiaso Venere e Adone, conservato nella Galleria Borghese, fu pubblicata nel 1804 e proposta come pendant dell'Angelica e Medoro (Ep. Rem., X, I, 2368). Il 23 giugno 1804 il F. annunciò di aver da poco pubblicato la Venere marina tratta da un dipinto di Bernardino Nocchi del 1790 (ibid., 2369; Giovannelli, 1992-93, p. 270) e, un anno dopo, di aver compiuto la copia del Giove e Antiope dal dipinto di B. Gagnereaux nella villa Borghese (Ep. Rem., X, I, 2375, 23 marzo 1805).
In queste traduzioni il F. esibisce un'originale commistione di bulino e maniera au crayon che rende in modo virtuosistico il contrasto tra l'incarnato del nudo femminile, protagonista di entrambe le composizioni, e l'ambiente circostante. Questa caratteristica, particolarmente apprezzata dai contemporanei, si perderà quando nel 1823, per volere di Leone XII, i rami della Calcografia camerale ritenuti osceni saranno distrutti o modificati con l'aggiunta di drappi e veli a coprire le nudità. Il primo stato dei due rami è ancora rintracciabile in alcune stampe conservate all'Istituto nazionale per la grafica (L'acquatinta..., 1989).
Nel settembre 1803 era forse già a buon punto una delle due traduzioni da N. Poussin. Infatti una prima prova del rame della Strage degli Innocenti, tratto dal dipinto della collezione Giustiniani, veniva inviata al conte Roberti (Ep. Rem., X, I, 2366). Tuttavia la stampa fu completata solo nel 1805, quando il dipinto era già stato acquistato da Luciano Bonaparte (Carioni, 1995, pp. 12, 16 s.). Il rame sancì il successo ufficiale del F., come testimonia Antonio Guattani nelle Memorie enciclopediche romane del 1806. Guattani recensisce il rame con la Strage degli Innocenti riconoscendo in F. l'"esimio incisore" che aveva saputo conservare "il carattere, la purità de' contorni, e la forza dell'espressione" dell'originale (p. 51). L'anno dopo lo stesso periodico dedicò largo spazio ad un'altra iniziativa di successo del F., Lo studio del disegno, pubblicato nel 1806. Si tratta di un repertorio di modelli, incisi dai lucidi che Vincenzo Camuccini aveva tratto dall'Assunzione di Raffaello quando il dipinto era stato tolto dall'altare di S. Pietro in Montorio per essere trasferito in Francia in seguito al trattato di Tolentino. Per questo vasto repertorio in cui dovette impegnare energie economiche e professionali (Ep. Rem., X, I, 2376), il F. sperimentò una tecnica basata sull'uso della semplice linea di contorno ombreggiata da un lievissimo tratteggio. In contrasto con la maniera intensamente pittorica del F., questa scelta indica la sua flessibilità rispetto alle diverse richieste del mercato e in questo caso la capacità di corrispondere ai contemporanei criteri didattici delle Accademie.
Il successo ottenuto dal F. negli ambienti accademici fu confermato nel 1807, quando all'Accademia di belle arti di Milano fu esposta e premiata con il primo premio la traduzione da Poussin de Il Tempo che scopre la Verità progettato fin dal 1803 insieme con La Strage degli Innocenti (Ep. Rem., X, I, 2367). Il rame, dopo il successo milanese, esposto nel negozio di Agapito Franzetti sulla via Flaminia a Roma, ricevette il plauso di Guattani che riconobbe all'artista la qualità massima per un incisore dell'epoca e cioè il "far stampe come pitture" (Memorie enciclopediche romane, III [1808], p. 27). Accompagnata da un testo di Bartolomeo Gamba, la stampa, insieme con altre opere di bassanesi di successo, fu di nuovo esposta il 16 agosto dello stesso anno a Bassano, in occasione delle celebrazioni per il compleanno di Napoleone (Gamba, 1807). Nel 1810 il rame con il Tempo che scopre la verità fu esposto in Campidoglio (Missirini, 1823, p. 354). Qui comparve anche l'incisione di un Cristo in croce di Michelangelo, della collezione di Luciano Bonaparte che Pacetti aveva proposto nel 1804 al Morghen di tradurre (Campori [1866], 1975, p. 407) e che forse proprio tramite il Morghen successivamente era stata affidata al Folo. Per accelerare la vendita della sua collezione gia in corso da anni, Luciano Bonaparte fece pubblicare a Londra nel 1812 un nuovo catalogo con testi brevi, corredato di 142 tavole di cui il F. firmò dieci incisioni (La cesta di frutti di Jordaens, la Strage degli Innocenti di Poussin, un Ritratto di Rubens di A. Vari Dyck, Diogene che cerca un uomo di Vari Mol, una Venere del Padovanino, S. Vincenzo di Paola di G.B. Moroni, La Maddalena e La Modestia e la Vanità attribuiti a Leonardo, in realtà di B. Luini, il Cristo in croce di Michelangelo, una Madonna con Gesù e s. Giovannino di Raffaello). Oltre a incidere nuovi rami il F. fornì probabilmente versioni semplificate dei rami realizzati precedentemente. In realtà la Strage degli Innocenti che compare in questo catalogo sembrerebbe una copia in formato ridotto del rame più antico, realizzata con una grafica semplificata, priva dei virtuosismi pittorici che Guattani aveva tanto lodato nella stampa del 1806. La collaborazione del F. al catalogo della collezione di Luciano Bonaparte è testimoniata anche da riferimenti nella corrispondenza di Bernardino Nocchi che, in una lettera del 28 genn. 1807 al figlio Pietro a Lucca, accenna ad un coinvolgimento dell'incisore anche nella ricerca di buoni disegnatori per i rami della collezione (Giovannelli, 1985, p. 165).
Naturale coronamento del successo del primo decennio del secolo fu l'elezione del F. ad accademico di merito dell'Accademia di S. Luca il 30 ag. 1812 (Carloni, 1995, p. 22). L'elezione fu forse sostenuta dallo stesso Canova, allora principe di S. Luca, per il quale, come ci fa sapere Pietro Bonato, in una lettera a Bartolomeo Gamba del 24 febbr. 1811, il F. aveva cominciato in quell'anno a incidere una copia dell'Ercole e Lica di spalle (Campanile, 1982-83, p. 93; Canova..., 1993, pp. 143 s.). In questa traduzione il F. tentò di adeguarsi ad un'interpretazione rigorosa della scultura canoviana, senza preziosismi cromatici e pittorici, alleggerendo le combinazioni di segni e contrasti luminosi. Questa fu tuttavia l'unica commissione del Canova per il F. nonostante l'incisore dimostrasse gradualmente di adeguarsi alla contemporanea evoluzione del gusto per l'interpretazione grafica della scultura. Le diciassette incisioni che il F. firmò qualche anno dopo per le Dissertazioni sulle sculture di Villa Albani, pubblicate a Roma da Stefano Raffei nel 1821, come supplemento ai Monumenti inediti di J.J. Winckelmann, denunciano l'adeguamento definitivo all'aspirazione documentaria della stampa di traduzione che, nei primi decenni dell'Ottocento, tendeva a ridurre drasticamente i valori chiaroscurali per affidare soltanto alla linea di contorno il compito di trasmettere i dati dell'originale riprodotto. Questo processo sembra ancora una volta modellarsi e maturare sulla base del linguaggio grafico degli autori dei disegni preparatori. Come già la limpidezza disegnativa di Camuccini e i criteri della didattica accademica avevano suggerito i chiari contorni degli studi dalla Trasfigurazione di Raffaello, la traduzione della Morte di Virginia dello stesso Camuccini, forse iniziata nel 1816 (Campanile, 1982-83, p. 103), rispetta le indicazioni fornite dal disegno preparatorio di Giambattista Borani del quale, incidendo già i disegni per le tavole del Museo Chiaramonti, il F. aveva sperimentato la purezza della linea e il controllato chiaroscuro.
In questa fase dell'evoluzione del suo stile si collocano le incisioni di alcuni ritratti. Nei ritratti del generale S.A.F. Miollis e di un altro giovane di epoca napoleonica, databili nei primi anni del secolo, il F. elabora un segno morbido e granuloso che accenna lievemente le ombre, adatto a interpretare il sensibile contorno a lapis dei disegni originali realizzati da Jean-Baptiste Wicar, altro artista la cui collaborazione dovette suggerire al F. nuove elaborazioni grafiche.
Nel 1816-17 il F. riprodusse, da un disegno di Giambattista Borani, il ritratto di B. Thorvaldsen che V. Camuccini aveva dipinto nel 1808. L'incisione, che esalta il contorno disegnativo tralasciando completamente l'interpretazione dei valori cromatici, piacque a Leopoldo Cicognara che fece incidere al F. il suo stesso ritratto per l'antiporta del primo volume della Storia della scultura del 1823 (Campanile, 1982-83, p. 178). Altra interpretazione grafica affine è il ritratto di Pio VII inciso da un dipinto di grande successo dello stesso Camuccini, su un disegno sempre di Borani. Ma in questi anni di piena restaurazione politica si compì anche un'integrale conversione culturale del F. che intuì la necessità di aderire, attraverso una rinnovata interpretazione dei soggetti sacri, alla contemporanea tendenza al recupero di valori spirituali. Benché già nel febbraio del 1805 il F. avesse rivelato al Gamba l'ambizioso progetto di incidere la Cena di Leonardo in concorrenza con quella già realizzata da Morghen nel 1800 (Ep. Rem., X, I, 2373), solo nel 1825, in una lettera del 6 ottobre, il F. poté comunicare al fratello Lorenzo di essere sul punto di terminare l'opera (Bassano del Grappa, Biblioteca del Museo civico, Ep. Gamba, XV, E. 10, 2395; Campanile, 1982-83, p. 188).
II rame di grande formato, elaborato nell'arco di circa venti anni, costituisce una rinnovata forma del virtuosismo grafico del F. che giunge a modulare con ulteriore gradualità la trasparenza e la luminosità delle diverse materie, eliminando le zone d'ombra profonda che avevano creato le vibrazioni e i contrasti amati dal pubblico dei decenni precedenti. L'immagine rappresenta il distillato ultimo della sensibilità pittorica e luministica della grafica di fine Settecento, il culmine forinale della tradizione incisoria nel cui ambito il F. era stato educato. Questo codice grafico schiarito e depurato di cromatismi drammatizzanti, che già tra il 1815 e il 1816, nelle traduzioni di una Madonna con Bambino di Raffaello e di una Madonna del Sassoferrato, si era prestato a cogliere le sfumature dei più intimi sentimenti religiosi, sancisce il successo del F. anche presso i pontefici della Restaurazione.
Leone XII approvò l'acquisto dei suoi rami per la Calcografia camerale e concedette che non fossero distrutti i soggetti profani, ma solo emendati con l'aggiunta di drappi e veli. Inoltre, nella stessa lettera del 1825, in cui il F. annunciava al fratello il compimento della Cena, l'incisore informava che il pontefice stesso aveva commissionato nuovi rami di soggetto religioso a lui ed al figlio Pietro (Campanile, 1982-83, p. III).
Probabilmente intorno al 1830 il F. riprodusse il modello in gesso del Cristo che Thorvaldsen aveva modellato a Roma nel 1821 nello studio di Canova e poi scolpito in marmo a Carrara per la cattedrale di Copenhagen. L'incisione del F. si basa su un disegno di Tommaso Minardi; nel confronto con la grafica di questo artista il F. compie l'ultima metamorfosi, aderendo in pieno, con la sapienza di una tecnica straordinariamente duttile e una profonda sensibilità, ai valori formali ed etici della nuova arte.
Il F. morì a Roma il 7 luglio 1836.
Negli ultimi anni della sua vita il F. rallentò notevolmente la propria produzione, prendendo parte alla vita accademica, spesso come componente della giuria dei concorsi (Arch. S. Luca, Misc. Congr. I, n. 118; II, n. 107; Misc. Conc. I, n. 16) e seguendo e promuovendo l'attività del primogenito Pietro. Questi, nato a Roma il 3dic. 1791, già nel 1809dimostrava notevole abilità (Giovannelli, 1985, p. 171) e nella mostra romana del 1810in Campidoglio espose il disegno della Danae di Tiziano incisa dal padre (Missirini, 1823, p. 354). Pietro lavorò a lungo per la Calcografia camerale, utilizzando la tecnica incisoria appresa dal padre, aggiornata secondo i criteri documentari prevalenti nel terzo e quarto decennio del secolo. Della sua produzione si ricordano le stampe tratte da Lo sposalizio della Vergine e dalla Madonna di Foligno di Raffaello, dalla Deposizione dalla Croce di Daniele da Volterra, da una Madonna con Bambino del Sassoferrato, da un busto ritratto di Gregorio XVI e da un medaglione con Pio IX. Pietro incise inoltre da disegni di Leonardo Camia, le statue di S. Paolo, S. Matteo, S. Metro, S. Bartolomeo, S. Matteo, collaborando alla traduzione dei Dodici apostoli di Thorvaldsen. Incise anche una statua per il secondo tomo del museo Chiaramonti del 1837 (Visconti, II, 1837, tav. XV). Morì a Roma nel 1867.
La quasi totalità della produzione incisoria dei F. e del figlio Pietro è conservata presso l'Istituto nazionale per la grafica di Roma. Oltre ai lavori realizzati da Pietro espressamenite per la Calcografia camerale, i rami pervennero all'Istituto con l'acquisto della calcografia dei F. proposto nel 1822 (Archivio di Stato di Roma, Camerlengato, parte I, tit. IV, b. 43) e forse concluso nel 1823. I due rami con il Martirio di s. Andrea del Domenichino e il S. Michele e l'Angelo di Guido Reni passarono invece alla Calcografia con la vendita degli eredi di Giovanni Volpato nel 1827, mentre nel 1828 il rame con la Morte di Virginia fu venduto dai fratelli Camuccini insieme a tutti i rami di traduzione delle loro opere (Ibid., Camerale II, Calcografia camerale, bb. 1, 2).
Fonti e Bibl.: Bassano Del Grappa, Biblioteca del Museo civico, Epistolario, Remondini, X, 1, 2346-2376; Roma, Archivio storico dell'Accademia nazionale di S. Luca, vol. 56, f. III; vol. 59, ff. 3v, 4, 17v; vol. 95, n. 60; vol. 169, n. 50; Misc. sc. di N. I, n. 39; Archivio di Stato di Roma, Camerlengato, parte I, tit. IV, Antichità e belle arti, b. 43; Ibid., Camerale II, Calcografia camerale, bb. 1, 2; Memorie per le belle arti, IV (1788), p. CCXCVI; E.Q. Visconti, Il Museo Pio Clementino..., III, Roma 1791, tavv. I, II, XIV, XV, XVI; V, ibid. 1791, tavv. VI; VI, ibid. 1792, tavv. I, n, XII, XVIII, XIX, XXII, XXXIV, XXXVIII, XLVIII, LVII, LXI; VII, ibid. 1807, tavv. XXIV, XXV; Roma, Museo centrale del Risorgimento, Giornale delle cose più importanti di pertinenza di Vincenzo Pacetti..., 15maggio 1803, lett. F, 3giugno 1803e 27luglio 1805, lett. C, 21luglio 1805; Memorie enciclopediche romane, I (1806), pp. 50 s., 75; II (1807), p. 134; III (1808), pp. 26 s., 146-148; IV (1809), pp. 27, 158; V (1810), pp. 44 s.; B. Gamba, Catal. degli artisti bassanesi viventi in cui si descrivono alcune delle loro migliori opere esposte... il dì 16 ag. 1807 per festeggiare ... Napoleone il Grande, Bassano 1807, pp. n.n.; G.A. Guattani, Galleria di Luciano Bonaparte, Roma 1808, pp. 34, 93, 117; F.A. Visconti, Il Museo Chiaramonti aggiunto al Pio Clementino..., I, Roma 1808, tavv. XV, XXII, XLIII, XLIV; II, ibid. 1837, tavv. XV, XXIX; N. Palmerini, Catal. delle opere d'intaglio del celebre Raffaello Morghen, Firenze 1819, p. 303; E.Q. Visconti - G.G. De Rossi - S. Piale, Monumenti scelti Borghesiani..., Roma 1821, I, tavv. III, VIII, XV, XXVII, XXXI, XXXVI; II, tavv. IV, IX, XIV, XV, XXIII; L. Cicognara, Storia della scultura dal suo risorgimento fino al secolo di Canova, I, Prato 1823 (incisione dell'antiporta); M. 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