GIOVANNI Fiorentino
Non si conosce l'anno di nascita di questo decoratore e scultore d'origine fiorentina, attivo nel primo quarto del XVI secolo in Ungheria, dove ottenne un discreto successo artistico e professionale. Né si hanno notizie della sua famiglia e degli sviluppi della sua carriera.
La fortuna artistica di G. sembra aver avuto origine in Ungheria e, probabilmente, a Esztergom (Strigonia), dove fu senz'altro il rappresentante più autorevole di quella straordinaria scuola di scultura fondata, nel primo decennio del Cinquecento, dal cardinale prelato Tommaso Bakócz (circa 1442-1521). È proprio per questo potentissimo mecenate - patriarca di Costantinopoli dal 1507, legatus a latere di papa Leone X dal 1513 e cancelliere segreto sotto il regno di Ladislao II (1490-1516) - che G. potrebbe aver eseguito i suoi primi importanti lavori di scultura. È stato ipotizzato, infatti, che con altri scalpellini italiani, toscani in particolare, avrebbe avuto una parte attiva nell'ornamentazione interna di quel capolavoro assoluto del Rinascimento dell'Est europeo che è la cappella dell'Annunziata, comunemente detta cappella Bakócz, annessa alla cattedrale di Esztergom (Balogh, 1956).
La costruzione di questo monumento, destinato a luogo di sepoltura del potente dignitario, fu avviata nel 1506 e, in buona parte, terminata alla fine dell'anno successivo. Fatta eccezione per l'altare in marmo bianco risalente al 1519, opera di Andrea Ferrucci, la quasi totalità delle decorazioni, scolpite nel marmo rosso locale, venne eseguita nel breve arco di un biennio da un gruppo di almeno sei maestri coadiuvati da diversi tagliapietre.
La mano del maestro fiorentino sarebbe da riconoscere (grazie al confronto con le sue opere siglate e datate) nella nicchia del lavabo nella sacrestia (evidente somiglianza dei mascheroni con il ritratto nell'insegna dei Désházy sul portone di Menyö), nella mensola con testa d'angelo della finestra del coro (analogie stilistiche con la figura femminile che compare sulla lapide funeraria della famiglia Forgách), nei capitelli dei pilastri degli stalli e nella nicchia per le ampolle. L'ipotesi sembra essere, del resto, più che verosimile, anche al di là di ogni considerazione sugli aspetti stilistici e costruttivi dei suddetti manufatti. A quel tempo, infatti, la bottega di Esztergom godeva di un prestigio non comune, come testimoniano le numerose commissioni a essa affidate, molte delle quali relative a opere poi esportate in numerose località non solo ungheresi, ma anche di paesi stranieri, e fu per gli artisti che ne fecero parte uno straordinario strumento di promozione personale. Non è un caso, forse, che le altre opere di G. furono quasi tutte commissionate da alti esponenti del mondo ecclesiastico e politico riconducibili, direttamente o indirettamente, alla sfera d'influenza del cardinale Bakócz.
Dopo aver lavorato in Transilvania a Nagyvárad, l'odierna Oradea Mare (in italiano Gran Varadino) per il vescovo Sigismondo Thurzó (1506-12) - che gli avrebbe commissionato la propria pietra tombale - G. fu chiamato da István Désházy, castellano di Esztergom e segretario di Tommaso Bakócz, per eseguire diversi lavori di scultura da destinare alla chiesa di Menyö in Transilvania (Bunyitay, 1886; 1887). Tra il 1514 e il 1515, G. scolpì il portone d'ingresso, il ciborio per custodire le specie eucaristiche e il fonte battesimale, in passato nel Museo Ipolyi di Oradea e oggi esposto nel Museo storico di Bucarest. Le iscrizioni che corrono lungo il bordo circolare del fonte battesimale indicano chiaramente il nome dell'artista ("Ioannes Florentinus me fecit"), quello del committente e la data di esecuzione (1515).
Tutte queste opere, eseguite in marmo rosso d'Ungheria, sono tipicamente fiorentine nel disegno d'insieme e nei dettagli. In particolare, il grande portale sembra essere una variante più povera e disadorna della porta della sagrestia della cappella Bakócz, a sua volta dedotta, nel disegno, dal portone interno della chiesa di S. Spirito a Firenze, opera di Salvi d'Andrea (1487).
Nello stesso anno G. eseguì a Felsö-Elefánt (poi Gomba) la lastra tombale di Gregely Forgách da collocarsi nella cripta della chiesa dei paolini, firmata e datata e ancora esistente in situ. L'importanza dell'opera non è dovuta tanto alla qualità dell'esecuzione o all'originalità della struttura compositiva quanto al fatto che, anche in questo caso, il maestro incise sulla lastra il suo nome, forse perché riteneva che essa fosse ben fatta e che quindi fosse giusto indicarne l'autore.
Nel 1515, facendo ritorno dal sinodo laterano, il primate di Polonia Jan Łaski soggiornò per qualche giorno a Esztergom, ospite del cardinale Bakócz. È assai probabile che, in questa occasione, entrò in contatto con la rinomata bottega di scultori e scalpellini impiegati nella fabbrica della cappella dell'Annunziata e dei quali G. era uno dei maestri più noti e apprezzati. Grazie a un quaderno di appunti che Łaski tenne a partire dal 1495, siamo ben informati, tra le altre cose, sul luogo nel quale il primate desiderava fosse collocata la sua tomba. È proprio dopo il soggiorno a Roma, protrattosi dal 1513 al 1515, che Łaski cambiò radicalmente i suoi orientamenti precedenti esprimendo la volontà di essere sepolto nel cimitero annesso alla cattedrale di Gniezno, in una tomba a lastra con sovrastante baldacchino a colonne. Il testamento dell'arcivescovo, del 1517, nella parte relativa ai conteggi fa riferimento a sette lastre tombali in marmo commissionate alla bottega di Esztergom e destinate, una allo stesso Łaski e le altre ad alcuni suoi illustri predecessori, benefattori e parenti. Tra i vari scalpellini, la scelta del primate dovette ricadere su G. che infatti incise il proprio nome e la data ("Johannes Florentinus me fecit MDXV") sulla lapide del suo illustre committente.
Due di quelle lastre erano destinate, rispettivamente, al vescovo di Włocławek, Krzesław da Kurozvek - che nel 1489, dopo essere stato nominato gran cancelliere della Corona, aveva presentato l'allora suo segretario Łaski alla corte reale, dando inizio alla luminosa carriera del futuro primate - e al vescovo Johann Radlicza, vissuto a Cracovia nel Trecento. La seconda di queste lastre tombali, collocate rispettivamente nel duomo di Włocławek e nella cattedrale di Wawel, è andata distrutta. Altre quattro trovarono sistemazione nella cattedrale di Gniezno: oltre a quella del primate, le due pietre tombali degli arcivescovi Johann Gruszczyński e Andreas Boryszewski e quella del fratello Andreas Łaski, canonico della cattedrale. Sembrerebbe che la settima, destinata ad Andrzej Góry, che era stato un professore di Łaski, non facesse parte del gruppo precedente e che sia stata ordinata, non da Łaski, solo in un secondo tempo (Kozakiewiczowa, 1961). La singolarità di tutte queste lapidi non sta tanto nella concezione formale quanto nel significato. Si tratta, infatti, di lapidi concepite come monumenti commemorativi, in buona parte prive di simboli religiosi, che, quando presenti, si prestano a essere interpretati come segni d'appartenenza al rango ecclesiastico. Scolpite in marmo rosso, le lapidi ripetono tutte uno stesso schema che integra elementi caratteristici delle lapidi funerarie dell'antichità romana con motivi ricorrenti nell'Italia del Quattrocento e del primo Cinquecento. Sono, generalmente, lastre monumentali con al centro motivi araldici circondati da una ghirlanda di fiori o fogliame, sospesa su nastri le cui estremità svolazzanti rafforzano il carattere simmetrico della composizione. Immediatamente al di sotto c'è un'iscrizione commemorativa, in caratteri romani finemente scolpiti, in alcuni casi racchiusa in una tabula chiaramente ispirata ai modelli dell'antichità classica e, in altri casi, scolpita direttamente sulla superficie. In assenza di analoghi esempi italiani, la critica storiografica ha indicato nel cippo funerario diffuso in Pannonia, il modello formale al quale più o meno direttamente G. si sarebbe ispirato (Gerevich; Białostocki, 1976; 1979). Queste pietre tombali, diffuse dal II secolo d.C., furono oggetto di generale ammirazione nel corso del Quattrocento, entrando a far parte di importanti collezioni antiquarie private.
Basandosi unicamente sulle caratteristiche tipologiche e sui particolari stilistici dei monumenti funerari riferiti con certezza a G. sono state attribuite al maestro fiorentino le seguenti altre opere: la lastra tombale scolpita per Nikolaus Szentléleki (circa 1516) nella chiesa di Csatka; la lapide di Bernardo Monelli (1496), custodita nel Museo del Castello di Mattia Corvino a Buda, assai simile alla precedente nel motivo a viticcio della decorazione; le due lapidi realizzate per un personaggio sconosciuto (circa 1510) e per un membro della famiglia Szentléleki, provenienti dalla chiesa domenicana di Buda e oggi nel Museo del Castello; infine la lastra tombale con iscrizione in caratteri cirillici situata nella chiesa serba di Ráckeve (circa 1525) e destinata a un certo Nikolaus, che costituisce, allo stato delle attuali conoscenze, l'ultimo indizio relativo alla sua produzione artistica.
G. rappresenta al meglio la generazione di artisti italiani attivi nel Nordest dell'Europa tra XV e XVI secolo. Entrati a contatto con i gusti locali di una committenza ampia e diversificata, essi riuscirono a creare correnti artistiche autonome e originali, nonostante i numerosi collegamenti con l'Italia e con la Toscana in particolare. Nel Rinascimento artistico ungherese e, in secondo luogo, polacco - i cui sviluppi trovano molte giustificazioni nelle condizioni sociali dei due paesi tra Quattro e Cinquecento - G. occupa un posto di primo piano non certo per la qualità artistica delle sue opere quanto, soprattutto, per aver fissato in una forma estremamente chiara e riconoscibile il tipo della lastra tombale d'ascendenza classica, utilizzata nel significato più proprio di monumento commemorativo.
Di G. non si conoscono luogo e data di morte.
Fonti e Bibl.: V. Bunyitay, A menyöi keresztkút és a Renaissance Szilágymegyében (Il fonte battesimale di Menyö e il Rinascimento nella contea di Szilágy), Századok 1886; Id., Szilágymegye középkori müemlékek (Monumenti medievali della contea di Szilágy), Századok 1887, pp. 27 s.; H. Ehrenberg, Firenzei János magyar-és lengyelországi müvei (Opere di G. F. in Ungheria), in Archaeologiai Értesitö, XIII (1893), pp. 250-257; J. Mycielski, Trzy nagrobki z epoki renesansu w katedrze gnieźnieňskiej (Tre tombe d'epoca rinascimentale nella cattedrale di Gniezno), in Sprawozdania Komisii do badania historii sztuki w Polsce (Relazioni della Commissione per le ricerche di storia dell'arte in Polonia), V (1896), pp. XC s., figg. 16-18; J. Kohte, Verzeichnis der Kunstdenkmäler der Provinz der Posen, I, Berlin 1898, pp. 86, 104, 122; S. Komornicki, Kultura artystyczna w Polsce czasów Odrodzenia (La cultura artistica in Polonia nel Rinascimento), in Kulturze Staropolskiej (Cultura antica polacca), Kraków 1932, p. 553; L'opera del genio italiano all'estero, C. Budinis, Gli artisti italiani in Ungheria, III, Roma 1936, pp. 66, 68, 74 s., 156; E. Horváth, Il Rinascimento in Ungheria, Roma 1939, pp. 48 s.; L. Palinkas, Il Rinascimento ungherese, Budapest 1942, p. 13; J. Balogh, Az Erdélyi Renaissance (Il Rinascimento in Transilvania), I, Kolozsvár 1943, pp. 64, 86, 211-214, 378 (con ulteriore bibl.); Id., La cappella Bakócz di Esztergom, in Acta historiae artium, III (1956), pp. 146 s., 160, nn. 155-157; J. Gerevich, Johannes Fiorentinus und die Pannonische Renaissance, ibid., VI (1959), pp. 309-338; H. Kozakiewiczowa, Mecenat Jana Łaskiego (Z zagadnieň sztuki renesansowej w Polsce) (Il mecenate Jan Łaski. Questioni dell'arte rinascimentale in Polonia), in Biuletyn historii sztuki XXIII (Bollettino di storia dell'arte), I (1961), pp. 4, 6-9, 16; J. Białostocki, The art of the Renaissance in Eastern Europe: Hungary, Bohemia, Poland, Ithaca-New York 1976, pp. 2, 18, 33 s., 45 s.; H. Kozakiewiczowa - S. Kozakiewiczowic, The Renaissance in Poland, Warsaw 1976, pp. 36, 319; J. Białostocki, Rinascimento polacco e Rinascimento europeo, in Polonia-Italia. Relazioni artistiche dal Medioevo al XVIII secolo. Atti del Convegno… Roma… 1975, Warszawa-Krakow 1979, p. 34; F. Quinterio, Il "Rinascimento scarlatto" da Esztergom a Cracovia: i maestri fiorentini alla corte degli Jagelloni, in Quasar, VIII-IX (1992-93), pp. 19, 22; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 117; Enc. universale dell'arte, X, col. 754, s.v. Polonia; XIV, col. 387, s.v.Ungheria.