MAGNANINI, Giovanni Filippo
Nacque a Fanano, nel Modenese, tra il 1535 e il 1545 da Santi iuniore.
Il padre era nipote di Santi seniore, che svolse incarichi amministrativi per Alessandro Farnese, il futuro papa Paolo III, e per questo aveva portato la famiglia a essere tra le più in vista della terra d'origine. Il M. fu il primo dei cinque figli di Santi iuniore, il quale a sua volta ricoprì, sempre a Fanano, varie cariche, anche di natura giudiziaria.
Sui primi anni di vita del M. non si hanno notizie, così come sull'istruzione ricevuta; forse apprese anche le lingue classiche, ma incerta sembra la grafia del greco nelle esigue testimonianze, né si hanno altri positivi riscontri. Ancora giovane si trasferì a Ferrara, probabilmente poco prima del 31 marzo 1565, quando Alfonso II d'Este gli concesse il privilegio di cittadinanza. Abitò nella contrada di S. Nicolò, nelle vicinanze del palazzo dei Bentivoglio, i quali (in particolare Cornelio) probabilmente non furono estranei al suo arrivo a Ferrara. Il 21 febbr. 1566 sposò Giulia Coati di Bonaventura, con una cerimonia che si svolse in corte, nelle stanze di Leonarda d'Este, figlia di Ercole II e moglie di Cornelio Bentivoglio.
Nel dicembre dello stesso anno ebbe il primo figlio, Cornelio, in onore del protettore, morto precocemente; nel 1568 nacque Orazio, di cui fu padrino di battesimo Ermete Bentivoglio. Oltre a questi, il M. ebbe altri tredici figli, tra i quali Ottavio, nato il 14 febbr. 1574, letterato che ebbe fama maggiore del padre. Le date di nascita dei figli sono segnalate dal M. in calce al manoscritto cl. I, 88 della Biblioteca comunale Ariostea di Ferrara, preziosa fonte intorno alla sua vita privata.
Dal 1568 il M. fu segretario al servizio di Cornelio Bentivoglio, luogotenente generale dello Stato dal 1560, e assunse un ruolo di sempre maggiore rilievo, per cui già nel 1571 fu investito di parte del territorio di Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, in possesso di Cornelio dal 1567, il quale a sua volta lo aveva ricevuto in dono da Alfonso II. Attorno al 1576 soggiornò per qualche tempo in Francia, come testimonia un documento redatto il 14 agosto di quell'anno, con cui gli si accorda il privilegio reale di vendere e acquistare beni in Francia, dove era stato mandato in missione da Bentivoglio nel quadro di rapporti diplomatici particolarmente intensi tra gli Estensi e la monarchia francese. Il M. compì altri viaggi in Toscana, a Magliano (feudo di Bentivoglio), forse anche a Lucca (alcuni suoi sonetti nel manoscritto cl. I, 88 dell'Ariostea recano a margine questa data topica) e a Bologna, tra il 1577 e il 1583.
Una lettera del dicembre 1579 al M. edita da F. Sansovino in Del segretario (Venezia 1596, pp. 219-222), nonché l'indicazione, nell'introduzione di Sansovino, del M. come modello del perfetto segretario testimoniano della notorietà raggiunta anche fuori Ferrara, in un periodo contrassegnato da intense discussioni proprio su questa particolare figura di uomo di corte.
Morto nel 1585 Cornelio Bentivoglio, nel testamento del quale il M. compare come testimone, fu confermato come segretario anche dal figlio di Cornelio, Ippolito. Il M. aveva raggiunto un buon livello economico, come testimonia una serie di acquisti e fitti di terreni tra il 1587 e il 1594, anno in cui divenne "generale de le poste". Tuttavia, verso il 1597 (secondo Dotti, 1989-90, p. 19), si trovò in difficoltà economiche e dovette forse essere incarcerato per debiti.
Il M. morì a Ferrara il 14 luglio 1598 dopo una lunga malattia e fu sepolto nella chiesa di S. Nicolò.
Tra il 1581 e il 1583 fu in corrispondenza con G.B. Deti, uno dei cinque fondatori dell'Accademia della Crusca, che gli indirizzò alcune lettere (Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, Mss., cl. I, 175, nn. 16, 18), dove si affrontano anche questioni letterarie, comprese quelle relative al poema epico, sollevate dalla pubblicazione della Gerusalemme liberata di T. Tasso. Al M. inoltre è dedicata la stampa dell'Aggiunta alle rime et prose del sig. T. Tasso (Vinetia, A. Manuzio, 1585), da parte di Nicolò Manassi, letterato in quegli anni molto attivo, anche sul piano politico, sullo stesso versante filofrancese. Da queste lettere risulta inoltre che il M. si stesse occupando di un commento a Boccaccio, a Dante e alle Cento novelle (forse il corpus uscito la prima volta per le cure di Sansovino nel 1561). Il M. fece parte dell'Accademia della Crusca, alla quale fu affiliato il 1 febbr. 1589, forse con il nome di Avvampato (come sostiene Barotti citando una lettera non più nota di Bastiano De' Rossi; ma così non risulta nel catalogo degli accademici della Crusca redatto da Severina Parodi) e fu sicuramente in contatto con Lionardo Salviati, conosciuto probabilmente nel 1587 durante il soggiorno di costui a Ferrara. Salviati gli dedicò parole di ammirazione nelle Considerazioni di Carlo Fioretti da Vernio sopra un discorso di m. Giulio Ottonelli da Fanano dietro alla Gierusalemme di T. Tasso (Firenze 1586, p. 27); del poema tassiano esisterebbe presso l'Ariostea una stampa con annotazioni del M., di cui però non c'è traccia (Dotti, 1991-92, p. 198). Salviati lasciò al M. i propri libri e questi li destinò al duca estense, ma la collezione rimase almeno per un periodo presso gli eredi; ne era forse parte anche il manoscritto cl. I, 394 dell'Ariostea, contenente una raccolta di proverbi iniziata da Salviati e con aggiunte del Magnanini.
Alla fine del secolo risalirebbe la stesura dell'Ormisdo, favola pastorale esemplata sul modello del Pastor fido di B. Guarini, la cui editio princeps costituisce dunque il termine post quem per la stesura. Guarini era stato padrino di battesimo di un figlio del M., di cui era anche lontanamente parente.
L'Ormisdo narra la storia di un vecchio che esprime all'amico Licandro il suo pentimento per avere cacciato da casa il figlio Filisco, che aveva cercato di diffondere il cristianesimo tra i pagani; il figlio a sua volta si fa convincere dall'amico Stratonio a tornare a casa, ricercato com'è dai pastori per aver ucciso una cerva sacra a Diana. Traditi, i due sono catturati e stanno per essere sacrificati, quando una serie di agnizioni e di fatti miracolosi porta alla loro salvezza e alla conversione dei pagani. L'opera, inedita, è tramandata dal manoscritto cl. I, 79 della Biblioteca comunale Ariostea (testimone unico, scritto da almeno tre mani diverse, con correzioni forse autografe), è, come detto, fortemente debitrice verso il Pastor fido nella struttura generale, nelle singole scene e in numerosi passaggi. Il testo non è completo: mancano alcune parti, e diverse imperfezioni stilistiche e metriche fanno pensare che sia sopravvenuta la morte dell'autore; vi si legge un solo coro, alla fine del I atto; non c'è prologo e gli atti sono molto dissimili per lunghezza (dagli 860 versi del I ai 1374 del V).
Caratterizzata da sentimenti paterni, da un'ispirazione religiosa molto forte (con il frequente riferimento a passaggi biblici e la presenza di monologhi a sfondo parenetico), l'opera è priva di personaggi femminili e ne è assente il tema amoroso: potrebbe essere stata concepita per un ordine religioso o per una confraternita (Dotti, 1989-90, p. 23). Se il legame con l'opera guariniana è esplicito, è anche vero che la scelta della "favola pastorale", anziché della "tragicommedia", colloca il M. su una linea meno moderna, più legata al modello tassiano. Sul piano linguistico, il testo si caratterizzerebbe per presenze petrarchesche e dantesche, oltre che guariniane, e per la tendenza a replicare le medesime formule di ascendenza tassiana (per es. "glorioso acquisto", più volte iterata in alternativa a "generoso acquisto"), talvolta reimpiegate da Guarini (per es. "generoso petto", Liberata, I, 1, 4 e Pastor fido, I, 1, 7).
Il M. fu autore anche di rime, inedite, conservate in vari manoscritti dell'Ariostea, soprattutto nel menzionato manoscritto cl. I, 88, che contiene numerose poesie di vario metro (canzoni, sonetti, madrigali, ballate, stanze nonché la traduzione lirica di tre salmi), in forma spesso non finita, fitta di correzioni e mutazioni. Trattano di vicende personali, quali il matrimonio, la malattia della moglie o la morte di un figlio, ma i testi sono per la maggior parte di argomento amoroso, giocati su moduli espressivi di maniera. Non mancano tuttavia accenti diversi, come quelli che il M. impiega per descrivere i sentimenti che prova quando la sua città è avvolta dalla nebbia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Ferrara, Arch. Bentivoglio, Serie patrimoniale, 48, n. 15; Quinternetto GGG, 1-3; 57, n. 44; 68, nn. 2, 37 (testamento); 70, nn. 39, 49; 71, n. 28; 73, n. 24; Lettere sciolte, m. 10, nn. 159-160, 521, 542, 583, 668 (marzo 1571 - dicembre 1575); m. 14, nn. 414-418, 420-421, 483-484, 513-514, 518-519; m. 16, nn. 285-286; Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, Mss., cl. I, 88; cl. I, 175, nn. 14 (note lessicali al XIV canto del Purgatorio), 16 ("Spositione d'alcune voci delle cento novelle antiche"), 17-18 (lettere di G.B. Deti al M.); 19 (due lettere a Claudio Ariosto); cl. I, 394; Antonelli, 595, ad nomen; M. Dotti, Studi su G.F. M. e sull'Ormisdo, tesi di laurea, Università cattolica del S. Cuore, facoltà di lettere e filosofia, a.a. 1989-90, pp. 19, 23; F. Borsetti, Historia almi Ferrariae Gymnasii in duas partes divisas, II, 4, Ferrariae 1735, p. 375; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, III, Modena 1783, p. 118; P. Serassi, Vita di T. Tasso, III, 2, Roma 1785, p. 12; L. Barotti, Memorie istoriche di letterati ferraresi, II, Ferrara 1793, pp. 294 s.; G. Fontanini, Biblioteca dell'eloquenza italiana, I, Parma 1803, p. 349; L. Ughi, Diz. storico degli uomini illustri ferraresi, II, Ferrara 1804, p. 46; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, IV, Milano 1833, p. 308; G. Antonelli, Indice dei manoscritti della Civica Biblioteca di Ferrara, Ferrara 1884, ad nomen; V. Santi, Leonardo Salviati e il suo testamento, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XIX (1892), pp. 24 s.; N. Pedrocchi, Storia di Fanano, Fanano 1927, pp. 297-302; A. Sorbelli - A. Rabetti, Diz. biogr. frignanese, Pievelago 1952, p. 106; Accademia della Crusca, Catalogo degli accademici dalla fondazione, a cura di S. Parodi, Firenze 1983, p. 23; M. Dotti, Prime note su G.F. M. e l'"Ormisdo", in Atti e memorie dell'Accademia Patavina, CIV (1991-92), pp. 195-209.