FIESCHI, Giovanni Filippo
Nacque nella prima metà del sec. XV da Gian Luigi del ramo di Torriglia della potente famiglia ligure, e da Luisetta (Lucetta) di Rollando Fregoso. Suoi fratelli furono Gottardo (che cambiò il nome in Gian Luigi, dopo la morte del padre), Antonio Maria, Orlando, Ibleto, Franchetta e Violante. Da giovane, dovette conoscere un breve periodo di prigionia a Milano, quando, nel 1426, nonostante l'opposizione della madre. fu consegnato a Filippo Maria Visconti, insieme con un fratello ed una sorella, come ostaggio per la liberazione del padre, caduto prigioniero.
Secondo il Federici, nel 1439 il F., in quanto patronus della collegiata di S. Maria in Vialata e di S. Adriano di Trigoso, ottenne dal papa Eugenio IV la conferma dei privilegi ad essa precedentemente concessi. Egli sposò, ignoriamo quando, Antonia Maria, figlia unica di Antonio di Luca Fieschi e vedova di Giacopone Fieschi, la quale gli portò in dote quanto dei feudi e dei beni familiari aveva ereditato dal padre. In tal modo il F. aumentò il controllo sul patrimonio della sua casata. Quando, il 30 settembre o il 1º ott. 1447, per ordine del doge di Genova Giano Fregoso fu decapitato Giovanni Antonio Fieschi, un cugino del F., questi ottenne di poterne ereditare i beni fondiari, benché fossero viventi, oltre alla vedova dell'ucciso, anche i suoi figli Nicolosino e Maria. Intervenne militarmente, sullo scorcio dell'anno, con forze al suo soldo, per impedire che Tortona si impadronisse di alcuni castelli che il cugino aveva posseduto nel territorio di quella città: nell'azione ebbe l'appoggio del doge Giano Fregoso, che mandò in suo aiuto Masino Fieschi ed Antonio Fregoso, capitano genovese per l'Oltregiogo. Sempre nello stesso anno, il F. fu nominato dal doge capitano generale nella Riviera di Levante. Poteva ormai essere considerato il capo della casata anche perché suo padre che era avanti nell'età, sarebbe morto di lì a poco, nel gennaio del 1451.
Passata Milano sotto Francesco Sforza (25 marzo 1450), il F. dichiarò la sua fedeltà al nuovo duca per il tramite di Biagio Assereto, il riconfermato podestà di Milano. Benché il nuovo doge di Genova Pietro (II) Fregoso, salito al potere l'8 sett. 1450. si fosse affrettato a riconoscere al F. il titolo e le funzioni di capitano generale nella Riviera di Levante (19 settembre), tra i due non tardarono a nascere profondi contrasti. Infatti, se già sullo scorcio dell'anno il F., che doveva godere dell'appoggio dello Sforza, cominciò a condurre una serie di attacchi contro Genova, partendo da Portofino e da Portovenere, dove aveva posto la sua base di operazioni, finì poi con l'interrompere ogni attività bellica quando lo Sforza fu costretto. dall'evoluzione dei rapporti di politica estera, a stringere con Genova un'alleanza in funzione antiveneziana (4 nov. 1451).
Dopo la stipula di quest'accordo il duca di Milano incaricò l'Assereto di recarsi dal F. per persuaderlo a desistere dalle sue scorrerie ed a riconciliarsi col Fregoso. Nel trattato stretto il 30 dic. 1451 tra la Repubblica fiorentina ed il duca di Milano, il F. è nominato tra gli alleati di quest'ultimo. L'anno dopo, tuttavia, si riaccese il dissidio tra lui e il doge per il controllo di Chiavari, e dopo pochi mesi esplose in lotta aperta. Lo Sforza dovette schierarsi, almeno per il momento, con Genova, dato che al F. tolse alcune terre.
Nel maggio del 1452, quando il doge fece giustiziare il capitano generale Niccolò Fregoso, sospettato di tradimento, il F., che aveva accolto presso di sé i figli dell'ucciso, decise di reagire compiendo un colpo di mano su Genova: giunse combattendo con i suoi uomini fino alle porte della città, ma lì fu bloccato dall'accanita resistenza degli avversari e costretto a ritornare nel suo feudo di Montoggio rinunciando all'impresa. Nel giugno catturò Galeotto Fregoso, un cugino del doge, che era stato inviato alla Spezia come capitano, in sostituzione di Giovanni Galeazzo, altro cugino del doge, ma a lui ribellatosi. Lo avrebbe, di Il a poco, rimesso in libertà. Proseguì, comunque, le sue incursioni contro i territori di dominio genovese, per cui il doge si vide costretto a fortificare Molassana. Nell'ottobre fu indotto dallo Sforza e da Niccolò Soderini, legato fiorentino, a stipulare con Genova ed il Fregoso un accordo, che ruppe tuttavia ben presto, riprendendo gli attacchi contro la città. Nell'estate del 1453 furono sospesi solo per dieci giorni, onde permettere il passaggio di Renato d'Angiò dal porto ligure (16 luglio). Nell'agosto, l'Assereto venne incaricato dallo Sforza di convincere il F. a desistere dalla sua attività militare contro Genova. L'iniziativa fallì. Profondamente irritato, perché nel corso di una scorreria contro la Riviera B. Colleoni, al soldo del duca di Milano, aveva fatto prigioniero il suo segretario, il F. nel settembre occupò Levanto e poi tutta la costa orientale. A bloccarlo lo Sforza inviò il suo ambasciatore a Genova, Giovanni della Guardia, e Franco Assereto, primogenito di Biagio. Nel novembre il F. subì una sconfitta, approfittando della quale lo Sforza riuscì ad interporsi come paciere nel conflitto, offrendosi come arbitro tra le parti.
Il 1º genn. 1454 lo Sforza pubblicò le sue decisioni che, su intesa delle parti, furono poi sottoposte alla revisione e alla ratifica del cardinale D. Capranica, inviato del papa a Genova. In cambio della fine del conflitto al F. veniva confermato il titolo di capitano e luogotenente ducale nella Riviera di Levante; gli venivano riconosciuti il controllo della podesteria di Levanto e il diritto di nominare gli ufficiali di Recco, di Rapallo, di Portofino, di Monterosso e di altre località. Le franchigie concesse ab antiquo alla famiglia furono riconfermate. Il doge di Genova, inoltre, si impegnava a nominare il F. ammiraglio, nel caso in cui si fosse allestita una flotta.
Il feudo del F. divenne allora, in forza di tale arbitrato, uno Stato di tutto rispetto. Oltre alle località citate, esso comprendeva infatti Borgotaro e Varese Ligure, centri di grande importanza strategica; Calice e Madrignano, in Lunigiana; Grondona e Varzi, in diocesi di Parma; ed inoltre i castelli di Torriglia e di Montoggio, alle spalle di Genova. In questa vasta area il controllo esercitato dalla Repubblica genovese fu soltanto nominale (fatte salve le cittadelle di Chiavari e di La Spezia). Anche dal punto di vista daziario, il traffico attraverso di esso del sale e del grano fu strettamente controllato dal F. e dalla sua famiglia. Il F. era riuscito a tradurre in realtà un disegno accarezzato a lungo dai suoi antenati e per primo da Niccolò Fieschi durante il sec. XIII: creare uno Stato appenninico fornito di sbocchi al mare.
Soddisfatto in tal modo nelle sue aspettative, il F. si adoperò con successo per mettere pace tra il doge di Genova e il cugino di questi Ludovico Fregoso, a lui ribelle. Nel 1455, perdurando lo stato di guerra contro il re di Napoli - la pace di Lodi del 9 apr. 1454 non aveva toccato i rapporti tra Alfonso il Magnanimo e la Repubblica di Genova, specificamente esclusi dai patti, né su di essi aveva influito la cosiddetta Lega italica stipulata a Venezia il 30 agosto di quel medesimo anno - fu nominato ammiraglio della flotta allora armata per compiere un'incursione contro Napoli. Con le sue navi il F. si portò sul teatro delle operazioni ma, legato politicamente al sovrano aragonese, scelse di rimanere nelle acque di Procida, consentendo in tal modo al Magnanimo di organizzare la difesa del Regno. In quel medesimo anno abbandonò la linea di recente adottata nei confronti del doge Pietro Fregoso per riprendere la lotta aperta: si accostò infatti decisamente agli avversari del doge e con essi organizzò un colpo di mano contro Genova per rovesciare il gruppo al potere nella città e sostituirlo con uno nuovo, con l'appoggio del duca di Milano.
I "congiurati" miravano a due obiettivi: impedire che Genova si alleasse con il re di Francia o lo riconoscesse come suo signore e porre i presupposti politici per giungere ad un accordo con il duca di Milano. Dell'affare furono parte attiva anche Biagio Assereto, signore di Serravalle, ed il re Alfonso, che inviò un contingente di truppe, schieratosi con le milizie al soldo del F. e degli Adorno.
Nel dicembre il F. e gli altri "congiurati" attaccarono Genova e se ne impadronirono, costringendo il doge a rinchiudersi nella fortezza del Castelletto. Nonostante questo successo iniziale, l'impresa fallì. Sia a causa dei dissidi e dei contrasti subito esplosi fra il F. e gli Adorno, sia a causa del mancato aiuto milanese (Francesco Sforza evitò di inviare truppe), gli attaccanti non furono in grado di mantenere le posizioni conquistate e furono messi in fuga da un contrattacco di Pietro Fregoso.
Il F. continuò nella sua lotta. Il 1º genn. 1456 quando, per confermare la tregua con il re di Napoli e di Sicilia, scrisse all'ammiraglio catalano B. Villamarino, che incrociava nelle acque liguri bloccando con la sua flotta il porto di Genova, Pietro Fregoso chiese che venissero escluse dall'accordo le località in mano del Fieschi. Il F. continuò a collaborare con re Alfonso nella sua guerra senza quartiere contro Genova. Nel 1457 respinse un'ulteriore offerta di accordo, avanzata dal doge, ed intensificò i suoi attacchi contro i territori di dominio genovese. Quando la città subì un pesante blocco marittimo, che ne rese assai precario l'approvvigionamento cerealicolo, il F. ottenne dal re Alfonso di poter utilizzare i due porticcioli di Sestri Levante e di Rapallo come scali per il grano importato dalla Sicilia e destinato anche a sopperire al fabbisogno alimentare delle sue truppe.
Non riuscendo ad aver ragione dei suoi avversari, il Fregoso finì col trattare la cessione di Genova al re di Francia, rappresentato da Giovanni d'Angiò, duca titolare di Calabria, nemico di Alfonso d'Aragona. L'Angiò entrò nella città come governatore l'11 maggio 1458. Immediata fu la risposta del re di Napoli, che assediò Genova con la flotta del Villamarino. La morte di Alfonso (27 giugno) provocò disorientamento negli assedianti e negli stessi assediati; ne approfittò Pietro Fregoso che, con il pretesto di non essere stato ancora soddisfatto dall'Angiò della somma pattuita per la cessione di Genova, si alleò con il nuovo re di Napoli e di Sicilia, Ferdinando d'Aragona, e convinse il F. ad accordarsi con lui.Nel 1459 il F. decise di passare all'azione; nel febbraio, mosse da Novi Ligure ed occupò Albaro, preparandosi ad assalire Genova. L'Angiò preferì prendere tempo: non rintuzzò l'attacco e rimase in attesa dei rinforzi promessigli. Il F. volle dare inizio all'attacco prima che al nemico giungessero le truppe di soccorso: colpito da un proietto di colubrina, rimase ucciso.
La scomparsa del F. non ebbe solo effetti sul piano militare, pregiudicando i risultati della giornata, ma aprì anche una grave crisi all'interno della famiglia Fieschi per la successione al ruolo di guida. Il F., infatti, dal matrimonio con Antonia Maria Fieschi non aveva avuto figli maschi 1 a contendersi l'eredità del defunto furono così i suoi stessi fratelli ed un suo nipote, Giacomo di Antonio Fieschi, già in lite tra loro. Il matrimonio della vedova del F. con Manfredi Landi segnò una ulteriore ma temporanea diminuzione dei beni ereditari della famiglia.
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