EMO, Giovanni
Ultimogenito di Pietro di Gabriele e di Fiordiligi Valmarana di Prospero, nacque a Venezia il 16 sett. 1670. Il padre, che apparteneva al ramo di S. Maria dei Servi, percorse una prestigiosa carriera politica, benché non disponesse di grandi risorse familiari; quanto all'E. fondamentale dovette risultargli l'aiuto dei fratelli, che rinunciarono al matrimonio per favorire l'ascesa nel mondo politico veneziano di quello che tra loro sembrava dimostrare migliori qualità intellettuali ed una più spiccata propensione per il dibattito assembleare.
Cosi, mentre il fratello Angelo si trovava in Morea in qualità di commissario presso le truppe impegnate nell'ultimo scorcio della guerra della Lega santa, il 25 nov. 1697 a Venezia l'E. entrava nell'agone politico assumendo il saviato agli Ordini, che costituiva il tradizionale tirocinio per gli esponenti delle migliori famiglie. Trascorsa la contumacia prevista dalla legge, fu rieletto alla carica dal io ottobre 1698, ma neppure tre mesi più tardi (23 dicembre) optò per la procuratoria sopra gli Uffici (2 genn. 1699-1º genn. 1700). Un primo significativo riconoscimento delle capacità dimostrate gli venne attribuito nel luglio del 1700, allorché entrò a far parte dei savi di Terraferma, magistratura che occupò costantemente per il secondo semestre di un intero decennio, alternando le mansioni di savio alla Scrittura con quelle di cassiere del Collegio.
L'E. ebbe modo cosi di conoscere da vicino gli uomini, le istituzioni, i meccanismi che operavano ai più alti livelli della Repubblica: fu una lunga lezione che egli seppe vivere con accortezza e discrezione, all'ombra di personaggi emergenti quali Carlo Ruzzini e Pietro Garzoni, mentre l'ancor fresco ricordo della conquista della Morea sembrava riproporre alla ribalta internazionale l'immagine della Serenissima quale avamposto della Cristianità contro il Turco.
Alle ragioni dell'ambizione politica l'E. riusci a provvedere assicurandosi una base economica meno precaria mediante un matrimonio destinato a rivelarsi quantomai opportuno: il 27 febbr. 1702 sposava infatti Apollonia Bon di Leonardo di Ottaviano, crede, per parte materna, dei Michiel di S. Geminiano. Essa gli diede un figlio maschio, Pietro, e mori; nei primi mesi del 1711 scomparve anche il bambino, per cui l'E. si trovò a poter disporre della dote di Apollonia e (ovviamente, dopo l'immancabile rincorrersi di processi e controaccuse) dell'eredità Michiel: beni che per la parte immobiliare, secondo la redecima del 1740, gli garantivano un'entrata annua di 1.456 ducati e 6 grossi. Poteva dunque assumersi il carico di un rettorato o di un'ambasceria, tanto più che ormai era giunto ai vertici del Collegio: nel semestre ottobre 1710-marzo 1711 veniva eletto "nobile" in Francia, ossia gentiluomo residente in forma privata, ma munito di incarichi di carattere pubblico: questo perché i rapporti diplomatici tra i due Stati erano interrotti da più di un anno a causa della vertenza relativa all'ambizioso cardinale Pietro Ottoboni.
Ufficialmente all'E. furono affidate questioni commerciali: avrebbe dovuto cercare di ottenere il rilascio dei vascelli mercantili veneti requisiti dagli armatori francesi; ma in realtà si volevano informazioni precise sull'andamento della guerra di successione spagnola nelle Fiandre e su eventuali prospettive di pace.
L'E. parti subito per Parigi (la prima lettera, da Padova, è datata 31 luglio 1711) e vi rimase sino all'agosto dell'anno seguente, ma senza ottenere granché: i suoi dispacci al Senato alternano notizie (per lo più sconsolate) sui tentativi per far valere le ragioni della Repubblica presso i riottosi armatori marsigliesi ad informazioni di seconda mano sui preliminari di Utrecht; quelli agli inquisitori di Stato riguardano gli sforzi compiuti presso Giovanni Querini, figlio del procuratore Paolo, che nonostante la disperazione del padre, non voleva saperne di lasciare la dispendiosa vita parigina e tornarsene a Venezia.
Più interessanti, ai nostri occhi, le quindici lettere inviate al savio del Consiglio e pubblico storiografo Pietro Garzoni, ispiratore ed artefice della sua missione in Francia: in esse, frammiste alle ricorrenti suppliche per ottenere un rimpatrio che ponesse fine all'intollerabile emorragia di denaro, l'E. forniva una quantità di notizie politiche e private, in uno stile incisivo e asciutto, ma anche colto, elegante, vivace.
L'E. era da poco tornato in patria, quando J.-B. Colbert marchese di Torcy ripristinava il buon accordo tra la Repubblica e la Francia, in vista dell'ormai imminente pacificazione di Utrecht: nell'opinione dei concittadini il merito ne fu attribuito all'E., che si vide riconfermato nella carica di savio del Consiglio (1º ott. 1712 - 31 marzo 1713); senonché ora per la sua famiglia il problema prioritario consisteva non tanto nella ricerca di un prestigio politico che poteva ragionevolmente ritenersi acquisito, quanto nella sopravvivenza fisica del casato: nessuno dei fratelli aveva figli, e quindi toccò al quarantaduenne E. pensare ad un nuovo matrimonio. Trasferitosi nella parrocchia di S. Simeon Piccolo, il 17 sett. 1712 sposava Lucia Lombardo di Alvise di Federico, da cui ebbe Pietro, Alvise, Angelo (il futuro capitan da Mar) e due figlie, Fiordiligi e Cecilia, entrambe destinate a contrarre cospicui matrimoni.
Non si conosce l'ammontare della dote di Lucia, che però dovette essere notevole, dal momento che fu probabilmente lei a fornire al marito (che peraltro in ogni circostanza non mancò di sottolineare l'esiguità delle proprie sostanze) i 45.400 ducati con i quali l'11 marzo 1718 l'E. realizzò, in unione a Nicolò Tron di S. Stac, l'acquisto di 3.467 "campi" (quota parte) presso Cavarzere: è vero che si trattava di terreni in gran parte paludosi, ma è noto che il Tron seppe poi ricavarne una splendida campagna.
Nuovamente savio del Consiglio per il semestre ottobre-marzo negli anni 1713-17, l'E. fu anche sopraprovveditore alle Biave (19 apr. - 30 sett. 1713), inquisitore sopra gli Ogli (28 apr. - 30 sett. 1714), provveditore all'Artiglieria (14 apr. 1714 - 13 apr. 1715) e ancora, per i brevi mesi concessigli dalla latitanza dal Collegio, savio alla Mercanzia, provveditore all'Armar, deputato sopra la Provvision del danaro e provveditore all'Arsenale.
Il 21 febb. 1715 l'E. fu eletto ambasciatore straordinario in Inghilterra, in occasione dell'avvento al trono di Giorgio I di Hannover, ma la legazione fu rinviata a causa dello stato di guerra in cui si trovava la Repubblica, al termine del quale gli fu possibile optare per il più remunerativo e prestigioso bailaggio a Costantinopoli (17 dic. 1718). Trascorse tutto l'anno seguente nei preparativi per la missione, che avrebbe dovuto sanzionare un nuovo (e stavolta perpetuo) periodo di pace tra i due avversari; lasciò il Lido il 6 maggio 1720 ed in settembre giunse sul Bosforo, dove trovò ad accoglierlo Carlo Ruzzini. A Costantinopoli l'E. trascorse quasi quattro anni, nel corso dei quali fu soprattutto impegnato ad ottenere dai Turchi il rilascio dei prigionieri resi schiavi e l'emanazione di inefficaci firmani contro le prevaricazioni dei pirati dulcignotti; a questo proposito, l'E., anche grazie al tempestivo esborso di una grossa somma (12.500 reali), riusci ad evitare una guerra minacciata dal visir in seguito ad un violento contrasto, verificatosi nel maggio del 1722 nel porto di Venezia, tra sudditi della Porta ed alcuni dalmati.
Non furono però queste vicende (abituali, in fondo, per un bailo) a qualificarne l'esperienza orientale, quanto una sorta di nuovo clima, una diversa sensibilità che possiamo avvertire nel suo comportamento e che si tradusse in una più serena valutazione del mondo ottomano rispetto a tanti precedenti rifiuti: anche a non voler attribuire particolare significato all'elogio "addirittura entusiastico" del popolo turco presente in alcune lettere del milanese Luigi di Sant'Iller, che accompagnò l'E. durante il bailaggio, è certo che quest'ultimo non mancò a più riprese di sottolineare, nei dispacci inoltrati al Senato, la diminuita pericolosità della Porta, l'attenuarsi dell'antica bellicosità: amante della pace, addirittura "timido" poteva anzi talvolta apparire il sultano Ahmed, ma non perciò incapace né sprovveduto, ché anzi "parlano e pensano in oggi i Turchi con molta maggior cognizione che in passato, fabbricano [navi] con sollecitudine, fondono cannoni d'ogni grandezza"; infine, quando ormai era vicina l'epoca della partenza, nel corso di un lungo colloquio giunse addirittura ad auspicare non solo la pace tra i due Stati, ma anche "una scambievole familiarità, et amicizia non mai alterabile" (Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 2164 ( = 8430): Costantinopoli, c. 20v).
Il 16 nov. 1723 il D. era stato eletto procuratore di S. Marco de ultra e, dopo il ritorno a Venezia, nell'estate del 1724, poté riprendere il suo posto tra i savi dei Consiglio, carica che avrebbe continuato ad occupare, con singolare assiduità, per quasi trentacinque anni.
C'è da chiedersi quali siano state le ragioni dei suoi successi e della sua straordinaria longevità politica. Fonti e studi concordano nell'attribuire all'E., a partire dagli anni Venti, la guida indiscussa di un proprio gruppo nel Senato e nel Maggior Consiglio; un partito formato dai membri delle casate di media e piccola ricchezza, ch'egli seppe coagulare attorno a sé stimolandone le rivendicazioni contro gli "oligarchi", contro gli esponenti delle famiglie più doviziose.
Era colto, ossia provvisto di un'apertura mentale che superava le angustie di tanti eruditi dei suo tempo: il salotto della sua casa era frequentato da personalità come Antonio Conti, Giannamaria Ortes, Francesco Algarotti (quest'ultimo lo celebrò come una delle tre cose "più singolari al mondo", accanto all'esercito prussiano ed al violino di Tartini), e per il primogenito Alvise volle come educatore il somasco Giacomo Stellini, aperto alle più stimolanti "novità" della cultura d'Oltralpe: né va dimenticato che fra il quarto ed il sesto decennio del secolo fu tra i principali responsabili della politica culturale veneta, nella sua qualità di riformatore dello Studio di Padova (1736-38, 1740-42, 1744-46, 1748-50, 1752-54, 1757-59).
Fu anche dotato di notevole eloquenza, da lui rivolta più a commuovere gli animi che a promuovere un'equilibrata e razionale azione politica: il suo intento era infatti quello di ottenere il consenso dei concittadini, ed a tal fine soleva ricorrere a tutta una serie di regole, massime, proverbi che il nipote Giacomo Nani sottopose ad una lucida analisi, rara testimonianza dei meccanismi dell'oratoria veneziana: in breve, l'E. seppe scansare l'odio degli avversari evitando anzitutto di attaccarli sul piano personale (un anonimo sonetto del 1724 ricordava: "Nell'uomo null'è per voi oggetto di scherno, e di disprezzo"); semmai ne riprendeva le argomentazioni, rafforzandone gli aspetti più deboli e meno convincenti, proponendo il proprio punto di vista in modo tale da suscitare negli uditori affetto, stima, ammirazione. Tutto sommato la sua linea di condotta era viziata di demagogia, perché resa possibile dalla benevolenza di uomini disposti soprattutto ad applaudire quanti meglio avessero saputo interpretarne gli umori.
L'E. poté contare su amicizie sicure, quali i Nani di S. Sainuele, i Riva di S. Trovaso, i Renier di S. Stae, e numerose altre seppe procurarsi, accordando protezione ad esponenti di rilievo del mondo delle lettere, quali il cardinale Angelo Maria Querini, Scipione Maffei ed il Conti, o a spregiudicati ma brillanti interpreti dello spirito lagunare, come Giorgio Baffo, che in lui celebrò l'uomo "grande e prode". Sul piano politico non è possibile attribuirgli una linea di condotta organica: fu certamente un fautore dell'ideologia della Repubblica, e come tale ebbe buon gioco nel farsi carico di denunciare in Senato le interferenze francesi e soprattutto le mire espansionistiche asburgiche; eppure si collocò su posizioni quantomai moderate in occasione della soppressione del patriarcato di Aquileia (1748-51), e qualche anno più tardi non solo prese le distanze dai "giovani" che sostenevano il decreto ecclesiastico del 7 sett. 1754, ma addirittura riusci a convincere il vecchio amico Paolo Renier a schierarsi con quanti ne chiedevano l'abolizione. Ideologicamente poi fu vicino agli "spiriti forti", ai programmi di rinnovamento cari ai libertini, eppure avverti intensamente le suggestioni religiose rappresentate dal nipote Bernardo Nani. Nel 1752 cercò di suggellare una vita dedicata alla politica con l'ascesa al dogado, ma, nonostante l'età ormai avanzata e il prestigio di cui godeva, dovette soccombere allo scialbo e ricco Francesco Loredan.
Dopo il bailaggio, dunque, l'E. divenne uno dei protagonisti della vita politica e amministrativa veneziana: savio del Consiglio per il secondo semestre del 1724, e poi ininterrottamente dal 1ºottobre al 31 marzo degli anni 1725-1746, nel corso dei quali ricopri l'incarico di deputato al Commercio nei mesi di assenza dal Collegio (1726-30), di inquisitore di Stato (1729), di deputato o aggiunto ai deputati sopra la Provvision del danaro (1731-41); fu anche a più riprese - come si è accennato - riformatore dello Studio di Padova, correttore della promissione ducale nel 1735. Per due volte venne nominato ambasciatore straordinario: in occasione dell'elevazione al trono di Polonia di Augusto III (28 luglio 1736) ed al soglio pontificio di Benedetto XIV (17 ag. 1740); ma entrambe le legazioni, di natura esclusivamente cerimoniale, non ebbero luogo, a motivo del perdurante stato di guerra che sconvolgeva l'Europa. Ancora, fu provveditore all'Arsenale (1744), provveditore sopra i Monasteri (1745), savio alla Mercanzia (1746) e, nello stesso anno, deputato al Commercio per la settima volta.
Con lo scorrere del tempo, tuttavia, il sommarsi delle cariche divenne meno frenetico, anche perché accanto al vecchio procuratore stavano emergendo i figli Alvise ed Angelo; comunque conservò sempre la veste di savio del Consiglio per il primo semestre dei periodo 1747-54 (nel corso del quale fu anche savio alle Acque, nel 1749, ed inquisitore sopra il doge defunto, nel '52), e poi da aprile a settembre a partire dal 1755.
In conclusione, l'E. non ebbe la cultura di un Marco Foscarini o la calcolata moderazione di un Andrea Tron: neppure giunse a dar corpo all'insoddisfazione del presente, giacché questo compito sarebbe spettato alla successiva generazione dei Memmo, dei Querini, dei Pisani: fu soprattutto l'accorto interprete di un momento di transizione politica e sociale della Repubblica e del patriziato di cui faceva parte, ed al servizio di questi egli peraltro dedicò con convinzione la propria esistenza.
L'E. mori a Venezia il 13 maggio 1760 e fu sepolto nella chiesa di S. Maria dei servi, accanto ai suoi antenati.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii veneti…, III, pp. 391, 400; per il contratto di nozze con Lucia Lombardo, Ibid., Avogaria di Comun, b. 125: Contratti di nozze, n. 3616; Ibid., Matrimoni con notizie dei figli, cassetta 193, sub voce Emo Giovanni; per il testamento della Lombardo, Ibid., Sezione notarile. Testamenti, b. 1274/243. Sulla situazione patrimoniale dell'E., Ibid., Dieci savi alle decime. Redecima 1739, b. 326/478, 479; per la causa con il Michiel, Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. P. D., C 2305/4; ibid. C 1026/292; sugli acquisti a Cavarzere, ibid., C 2006/1, 41, 42; ibid., C 2010, cc. non numerate.
La carriera politica, in Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle Voci. Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 24, c. 84; reg. 25, c. 86; reg. 26, cc. 114, 219; reg. 27, cc. 124 s.; Ibid., Elezioni dei Pregadi, reg. 21, cc. 8-11, 14-21, 24, 39, 50, 57, 63, 69, 73, 81, 105, 170; reg. 22, cc. 3-10, 40, 54 ss., 64 ss., 72 s., 135 s., 163, 184; Ibid., Senato. Dispacci Francia, f. 208; Ibid., Inquisitori di Stato, b. 153: Lettere agli ambasciatori in Francia, ad annum; b. 438: Dispacci degli ambasciatori in Francia, ad annum; Ibid., Senato. Dispacci Costantinopoli, ff. 173-177; Ibid., Inquisitori di Stato, b. 430: Letteredei baili a Costantinopoli, ad annum. Due lettere dell'ambasciatore a Parigi Alessandro Zen all'E., del 1735, in Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 2719, cc. non numerate; ulteriori testimonianze sulla personalità e la vita dell'E., ibid. 870, cc. 598v-599r; ibid. 1129, cc. 69r-70v; Padova, Biblioteca universitaria, Ms. 914: Serie ed ordine delle idee del Pr. Emo, cc. 62-85; Ibid., Ms. 396: Carte relative al viaggio di Giacomo Nani in Levante. 1763, c. 18v; Arch. di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato, b. 470; Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 2223/XXIV; Ibid., Mss. P. D., C1354/12.
Si vedano inoltre: Quindici lettere di G. E. a Pietro Garzoni, Venezia 1883; Congratulazione a G. E. nel giorno del suo solenne ingresso alla dignità diprocurator di S. Marco, Venezia 1724; Corona di lodi al G. E., che dopo la sua ambasceria di Costantinopoli…, Venezia 1724; Raccolta di componimeenti poetici in lode di G. E. in occasione del suo solenne ingresso alla Procuratoria di S. Marco, Venezia 1724; G. Baffo, Raccolta universale, III, Cosmopoli 1789, p. 196; F. Algarotti, Opere, IX, Venezia 1794, p. 329; E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane…, V, Venezia 1842, p. 600; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, VII, Venezia 1859, p. 60; A. Baschet, Histoire de la Chancelerie secrète…, Paris 1870, p. 464; A. Da Mosto, Idogi diVenezia nella vita pubblica e privata, Milano 1960, pp. 491, 521; C. Godi, Un equilibrio difficile: l'amicizia tra il Mazzucchelli e il Querini, in Aevum, XXXV (1962), 1-2, pp. 95, 99 ss., 108; G. Gullino, Sebastiano Foscarini e il decreto del Senato veneto 7 sett. 1754, in Archivio veneto, s. 5, XCII (1971), pp. 62, 68; Id., La politica scolastica veneziana nell'età delle riforme, Venezia 1973, p. 78; Relazioni diambasciatori veneti al Senato …, VII. Francia, (1659-1792), a cura di L. Firpo, Torino 1975, pp. XX-XXI; P. Preto, Venezia e i Turchi, Firenze 1975, p. 511; P. Del Negro, La retorica dei Savi…, in Retorica e politica. Atti del II Convegno italo-tedesco (Bressanone 1974), a cura di D. Goldin, Padova 1977, pp. 123, 126, 128 ss.; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato…, V, Francia (1492-1600), a cura di L. Firpo, Torino 1978, p. XXIX; P. Del Negro, Giacomo Nani e l'Università di Padova nel 1781 …, in Quaderni per la storia dell'Univ. di Padova, XIII (1980), pp. 100 ss., 106-109; G. Tabacco, Andrea Tron e la crisi dell'aristocrazia senatoria a Venezia, Udine 1980, pp. 23 s., 103, 123 ss.; P. Del Negro, Politica e cultura nella Venezia di metà Settecento…, in Comunità, XXXVI (1982), 184, pp. 336, 361, 363, 365 s., 370, 384, 400, 407, 410; Id., Vico nel discorso politico di un patrizio veneziano del Settecento, in Vicoe Venezia, a cura di C. De Micheli s.G. Pizzamiglio, Firenze 1982, pp. 184-187, 193; Id., I "Pensieri di Simone Stratico sull'Univ. di Padova" (1760), in Quaderni per la storia dell'Univ. di Padova, XVII (1984), p. 2; Id., L'Università, in Storia della cultura veneta. Il Settecento, V, 1, Vicenza 1985, p. 54; B. Dooley, Le accademie, ibid., p. 84; P. Del Negro, Proposte illuminate e conservazione nel dibattito sulla teoria e la prassi dello Stato, ibid., V, 2, ibid. 1986, pp. 139 s.; M. L. Soppelsa, Le scienze teoriche e sperimentali tra Sei e Settecento, ibid., p. 319; G. Gullino, I patrizi veneziani e la mercatura negli ultimi tre secoli della Repubblica, in Mercanti e vita economica nella Repubblica veneta , a cura di G. Borelli, II, Verona 1986, p. 444; S. Rumor, Storia breve degli Emo, Vicenza 1910, pp. 98-100.