SCHMIDT, Giovanni Emanuele
SCHMIDT, Giovanni Emanuele. – Nacque a Livorno verso il 1773 da Giovanni Antonio Schmidt (ignote le date di nascita e morte) e Maria Domenica Cecchetti (Livorno 1735 - Napoli 1815). Le origini austriache, il luogo e la data presunta di nascita, il secondo nome, i nomi dei genitori e dei figli sono attestati dai certificati conservati nell’Archivio di Stato di Napoli. Si può ipotizzare che il padre appartenesse a una delle numerose comunità di lingua tedesca immigrate in Toscana nel Sei-Settecento, in particolare dopo l’insediamento dei Lorena nel granducato (1738). La nascita in Livorno è confermata dalla dizione «Giovanni Schmidt livornese», apposta nei frontespizi a stampa di alcuni suoi libretti. In diversi certificati viene qualificato «maestro di belle lettere» o «maestro di lingua francese».
Il 28 luglio 1810, dichiarandosi trentasettenne, si unì in matrimonio a Napoli con la diciannovenne Raffaela Bruno (Napoli 1791-1844), figlia del negoziante Giovanni e di Maria Rosa Chirico, con la quale già abitava, assieme a sua madre e al padre di lei, a San Ferdinando, strada S. Brigida 39 (più tardi a Vico Lungo in S. Trinità 47). Al matrimonio era assente il padre, forse già morto. Dall’unione nacquero nove figli, cinque maschi e quattro femmine: Massimiliano Giuseppe Maria (1812), Pietro Gaetano Vittorio Francesco (1814), Beniamino (1817), Maria Rosa (1818?), Antonia (1821, visse dieci mesi), Ippolito Antonio Marcello (1823), Virginia Anna Rosalia (1825), Emilia Paola Diomira (1827), Achille Antonio Gualberto (1831).
Stando ai bibliografi, il primo dramma per musica di Schmidt sarebbe Idante ovvero I sagrifizj d’Ecate, dato alla Scala di Milano nel febbraio 1800 con musica di Marco Antonio Portogallo: ma l’attribuzione dell’adespoto libretto si regge su una laconica citazione novecentesca (M.P.P.d’A. Carvalhaes, Marcos Portugal na sua música dramática, Lisboa 1910, p. 132). In realtà la sua attività di poeta teatrale è concentrata principalmente in Napoli sull’arco di un quarantennio, dal 1802 (Gli Americani, musica di Giacomo Tritto) al 1841 (Le Nozze campestri, vari compositori; salvo diversa menzione, qui e di seguito i drammi di Schmidt s’intendono creati nel teatro di San Carlo). L’Almanacco reale del 1810 ne riporta in termini ufficiali il ruolo di «poeta drammatico addetto ai Reali Teatri», e i prospetti d’appalto delle stagioni teatrali ne attestano la presenza discontinua sì – tra il 1832 e il 1835, assente dal San Carlo, concentrò l’attività sul teatro del Fondo e sul teatro Nuovo – ma costante fino alla stagione 1843-44, quando l’impresa non gli rinnovò più il contratto (Casillo, 1994, p. 553). In tale veste Schmidt ebbe il compito di scrivere libretti nuovi, ridurre e rimaneggiare lavori altrui, approntare o ritoccare traduzioni di opere francesi in prima rappresentazione locale, e occuparsi anche della direzione di scena degli spettacoli, lavorando a fianco dei colleghi Andrea Leone Tottola e Giuseppe Palomba.
Iniziò a lavorare prima della fuga di Ferdinando IV (1806), fu inutilizzato negli anni di Giuseppe Bonaparte, riprese con maggior lena nel periodo murattiano (con la traduzione dell’Œdipe à Colone di Nicolas-François Guillard per Antonio Sacchini, edizione bilingue, Napoli 1808), premendo sull’impresario Charles de Longchamps per farsi presentare a Carolina Bonaparte, alla quale dedicò Odoardo e Cristina, scritto per Stefano Pavesi nel 1810 (Archivio di Stato di Napoli, Teatri, f. 4). Nel 1813, con Palomba e Tottola, richiese e ottenne dal re di poter stampare e vendere i libretti a proprie spese, acquisendone i diritti d’autore (ibid.). L’attività s’intensificò al ritorno dei Borboni, grazie al sostegno dell’impresario Domenico Barbaja, che lo assunse al posto di Gabriele Rossetti. Il prestigio ottenuto gli valse alcune gratificazioni economiche, a compensazione di uno stipendio sempre più ridotto nel tempo (dai 360 ducati annui del 1818-21 ai 144 del 1843-44): nel 1824 una beneficiata al Teatro dei Fiorentini, e nel 1825 una regalia di 60 ducati per l’«azione pastorale» I voti de’ sudditi, musicata da Gaetano Donizetti per l’insediamento di Francesco I di Borbone (ibid., ff. 4, 52, 125).
Alcuni tratti dell’indole melancolica di Schmidt si desumono dalla tarda memorialistica: «Ce Schmidt manquait essentiellement de gaieté; il avait le caractère fort lugubre, et ne parlait jamais que de malheurs et de catastrophes. Rossini, dont sa conversation éteignait la verve, dut, pour pouvoir travailler, prier Barbaja de lui épargner les entrevues avec ce navrant personnage» (Azevedo, 1864). Analogo il ricordo di Giovanni Pacini che, a proposito del suo debutto napoletano nel 1824, ricordava: «Lo Smith era un uomo di qualche ingegno, ma la miseria era sua indivisibile compagna, talché per il di lui carattere, affliggente oltre ogni dire, spirava melanconia al solo vederlo» (Pacini, 1875).
Schmidt produsse oltre ottanta lavori, firmati o attribuiti, in proprio o in collaborazione. Nella librettistica trattò generi diversi e argomenti di varia specie. Soggetti coloniali o ispanici: Gli Americani, 1802, poi ripreso come Gonzalvo nel 1805 e infine profondamente rimaneggiato in Amazilia nel 1825 (Pacini); Cimene (dal Cid di Corneille; teatro del Fondo, 1814; Tommaso Consalvo), divenuto Rodrigo nel 1823 (Antonio Sapienza; poi reintitolato Gonzalvo nella ripresa scaligera del 1825, poi erroneamente attribuito a Felice Romani, cfr. Spada, 1994, p. 476) e quindi di nuovo Consalvo nel 1841 (Giovanni Baietti). Drammi giocosi e semiseri: Lo sposo di provincia (Roma, teatro Argentina, 1821, Giacomo Cordella), L’amante virtuoso (Fondo, 1823, Giuseppe Balducci), Dev’esser uno e son quattro (Nuovo, 1827, Giovanni Festa), Ernesto e Zelinda (da Eugène Scribe, Fondo, 1832; Dionigi Pogliani Gagliardi). Soggetti esotici e turcheschi: L’affricano generoso (Valentino Fioravanti, 1814), La sposa indiana (1822, Pietro Generali), Osmano, pascià d’Egitto (Fondo, 1828, Giuseppe Magagnini). Soggetti di ambientazione medievale, come il citato Odoardo e Cristina, suo primo melodramma larmoyant a lieto fine, e preromantici, come Malvina, ambientata in Scozia (1829; Michele Costa e Nicola Zingarelli). Ebbe tuttavia maggiore inclinazione per i temi di matrice classica: Piramo e Tisbe (da Ovidio, 1803; Gaetano Andreozzi), Cesare in Egitto (Roma, teatro d’Alibert, 1805; Tritto), Andromeda (1805; Vittorio Trento), Il salto di Leucade (dall’omonima tragedia di Giovanni Pindemonte, 1812; Luigi Mosca), Marco Curzio (1813; Luigi Capotorti, per il genetliaco e l’onomastico di Napoleone), Pompeo in Siria (Milano, Scala, 1825; Francesco Sampieri).
Svolse anche una lunga e riconosciuta attività di traduttore di melodrammi, giacché la politica culturale dei Napoleonidi fece del San Carlo un avamposto musicale europeo in Italia: gli si devono le versioni italiane di Edippo a Colono di Sacchini (1808), La vestale di Gaspare Spontini (1811), Ifigenia in Aulide di Christoph Gluck (1812), la «tragedia» Ecuba (1812, da Jean-Baptiste de Milcent, per Nicola Manfroce). Il successo della Vestale ne fece il traduttore ufficiale dell’impresa dei Reali teatri e in più gli offrì il destro per farne una parodia comica, La lavandara o sia Il ritorno di maggio (1813, Fondo; Pietro Raimondi). Con il ritorno dei Borboni tradusse anche opere di gusto romantico, come Fernando Cortez (1820, Étienne de Jouy; Spontini) e Zampa (1833, Mélesville; Ferdinand Hérold). Non è improbabile che siano sue anche le versioni di due opere di Adrien Boieldieu, Gianni di Parigi (1816, libretto di Claude de Saint-Just) e La dama bianca (1827, Scribe), come pure i ritocchi in un paio di opere di Ferdinando Paer, il «fatto storico» Leonora ossia L’amor conjugale (Dresda 1804, libretto adespoto ma attribuito a Giacomo Cinti) e Sofonisba (Bologna 1805, di Domenico Rossetti), ripresi a Napoli rispettivamente al Fondo nel 1816 (Eleonora) e al San Carlo nel 1820.
Secondo una tradizione invalsa a Napoli, per anniversari o compleanni dei membri della casa reale scrisse diversi «drammi per musica in un atto», o «azioni melodrammatiche», opere di soggetto celebrativo di breve durata per motivi di protocollo, allestite con grande sfarzo: Argene e Alsindo (1822, Generali), Meleagro (1826, Pogliani Gagliardi), Leonilda (1830, Michele Salvoni), Alfonso d’Aragona (1835, autori vari), La gioja del popolo (1831, Fondo, ignoto l’autore della musica). Per il genetliaco di Maria Isabella, consorte di Francesco I, il 6 luglio, furono date Argia (1823, Raimondi), Amazilia (1825, Pacini) ed Elvida (1826, Donizetti). Quest’ultimo atto unico, con il «componimento melodrammatico» Aristea (1823) e i già citati Voti de’ sudditi (1825), fu il contributo del giovane Donizetti a tale sistema encomiastico.
Anche le cantate di Schmidt si inserivano in questo filone: per il ritorno di Ferdinando IV approntò L’oracolo di Cuma, data il 18 giugno 1815 (Fioravanti): la sibilla Deifobe fu Isabella Colbran, già interprete dell’Arianna in Nasso (febbraio 1815; Simone Mayr). Seguì il Divertimento melodrammatico con balli analoghi (1822, coreografie di Filippo Taglioni) per la visita di Federico Guglielmo III di Prussia. Gli ultimi componimenti encomiastici furono, per l’onomastico di Ferdinando II (30 maggio 1840 e 1841), Il dono a Partenope e Le nozze campestri con musiche di «vari distinti compositori». Due i libretti di balletto: La morte di Abele (1813, da Salomon Gessner, musica di Wenzel Robert conte di Gallenberg) e Gonzalvo e Zilia (1837, Gallenberg e Raimondi).
Tra i compositori ch’egli tenne a battesimo al San Carlo figurano Saverio Mercadante e Giovanni Pacini. Il primo, al suo debutto assoluto, con L’apoteosi d’Ercole (1819, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, non senza qualche affinità con la coeva Ermione di Tottola e Rossini) ottenne un grande successo, che gli valse l’ingaggio per Anacreonte in Samo (1820, tratto da Anacréon chez Polycrate di Jean-Henri Guy); il secondo si affermò nel 1824 con Alessandro nell’Indie, rimaneggiamento del dramma metastasiano (Pacini, 1875). Dopo Odoardo e Cristina, Schmidt collaborò ancora con Pavesi: furono probabilmente suoi, al San Carlo, sia Anco Marzio (primavera 1822), rimaneggiamento delle Danaidi romane (Venezia 1816; libretto di Antonio Sografi), sia I cavalieri del nodo in un atto (per il genetliaco di Ferdinando I, 12 gennaio 1823).
Il nome di Schmidt è però legato in primis alla collaborazione con Gioachino Rossini, per il quale scrisse due drammi: l’opera del trionfale debutto sancarliano, Elisabetta, regina d’Inghilterra (4 ottobre 1815), e Armida (11 novembre 1817). Il soggetto della prima fu tratto da un dramma in prosa coevo, Il paggio di Leicester di Carlo Federici, recitato a Napoli dalla compagnia Perotti (il compositore scrisse alla madre durante la composizione: «Il Poeta e un po freddo ma la Musica Sarà Calda»; Rossini, 2004). Quanto ad Armida, che attinge la materia dai canti IV, V, XIV, XV e XVI della Gerusalemme liberata, Schmidt ne fece un lavoro originale, senza ricalcare i tanti adattamenti operistici anteriori, e distribuì l’azione in tre atti anziché due, per dar spazio a un «ballo analogo» al termine del secondo; l’ampia prefazione riporta con acribia gli scostamenti dal modello tassiano e si attesta come un manifesto di poetica del librettista moderno. Di Schmidt (pur non firmata) è anche l’Adelaide di Borgogna, su un soggetto medievale «tratto dal Liutprando, dal Sigonio, dal Muratori e dal Denina» (Roma, teatro Argentina, 27 dicembre 1817). L’Odoardo e Cristina del 1810 fu poi messo a frutto da Tottola e Gherardo Bevilacqua Aldobrandini per un Eduardo e Cristina che Rossini imbastì con musiche sue preesistenti (Venezia, S. Benedetto, 1819). Non è escluso che Schmidt avesse messo mano anche a una Matilde semiseria, tratta dalla Mathilde di Monvel (Jacques-Marie Boutet, 1799), che Rossini, scritturato al teatro Apollo di Roma nel carnevale 1821, avrebbe portato con sé da Napoli, incompleta, ma che sarebbe poi stata rimpiazzata da una diversa Matilde Shabran di Jacopo Ferretti (sul controverso caso, cfr. Spada, 1994, pp. 483-485; Beghelli, 2012). Potrebbe infine aver curato la versione italiana del Conte Ory data al San Carlo nel 1830.
Schmidt ebbe rapporti diretti anche con il marchese Sampieri, intimo di Rossini, per il quale scrisse il citato Pompeo in Siria scaligero (1825). Per quest’opera era stato designato Romani, ma l’impresario dei teatri di Napoli e della Scala, Joseph Glossop (per breve tempo subentrato a Barbaja), conferì d’autorità l’incarico a Schmidt. Una rara lettera di questi a Sampieri (21 agosto 1824) getta luce sulla matura coscienza e sul ruolo decisionale del librettista, che per coerenza col soggetto storico volle inibire al compositore l’uso dell’arpa; e nell’annunciare una «scena co’ cori» per Clearco, «onde l’attore non rimanga leso nelle sue convenienze» (ossia nel giusto peso spettante alla sua parte nell’economia complessiva dell’opera), concludeva: «ciò che più mi fa lambiccare il cervello è quella brevità [scil. dei recitativi], quasi impossibile, che ora si esige, ed i quattro primi attori del dramma. Se fossero stati tre, l’affare a quest’ora era spicciato» (Migliorini, 2007, p. 130).
Per potersi collocare di diritto tra i letterati, Schmidt si produsse anche come autore al di fuori del teatro musicale, toccando parecchi generi in voga: il «dramma spettacoloso» Le nozze dei Sanniti in versi sciolti (Roma 1805), da cui trasse l’omonimo libretto (1824, Raimondi); le tragedie Atelvoldo (Napoli 1815), Ercole (Napoli 1835, riscrittura in sciolti dell’Apoteosi d’Ercole del 1819) e Isabella degli Abenanti (Napoli 1832, da cui Giuseppe Sapio trasse un libretto nel 1836); la commedia La moglie rara (Roma 1820); il poemetto in terza rima La gara (Napoli 1825), breve disputa poetica tra la Pace, Minerva e Mercurio per il primo ingresso di re Francesco I al San Carlo; e due farse, Il credulo deluso alla fiera di Sinigaglia (Roma 1819) e soprattutto Sior Zannetto a’ Campi Elisi, autoritratto eroicomico di un poeta di teatro spiantato che chiede venia a Goldoni, Metastasio e Alfieri per aver saccheggiato le loro opere. Questa farsa, creata al Fondo di Napoli nel 1814, circolò in Italia almeno fino al 1845 (Spada, 1994, pp. 478 s.).
Dopo l’ultimo libretto conosciuto, Le nozze campestri, scrisse ancora la commedia di quattro atti I linguisti, premiata in un concorso letterario a Napoli (1841) e pubblicata assieme all’atto unico L’astuzia militare nel 1844. Nello stesso anno restò vedovo e cessò la collaborazione con i Reali Teatri. L’«azione melodrammatica» Il dono a Pallade (Catania 1852) è un rimaneggiamento d’altra mano del citato Dono a Partenope del 1840. Una lettera a Pacini (senza data, forse 1846; Casillo, 1994, pp. 552-554), conferma, oltre alla cessazione dall’incarico napoletano, la sua ormai difficile situazione economica e personale nonché la morte della moglie e di due figli adolescenti. Come ex-dipendente dei Reali Teatri percepì tuttavia una pensione minima fino alla morte (Archivio di Stato di Napoli, Giornale di entroito ed esito della cassa dei Professori giubilati, f. 9).
Morì a Napoli il 10 novembre 1849.
Per continuità e ampiezza d’intervento Schmidt si colloca tra i principali librettisti coevi. Munito di una salda cultura classica, provetto nel mestiere, versato nelle lingue, dotato di curiosità intellettuale, fu un professionista perfettamente inserito nel sistema produttivo dei teatri del primo Ottocento, che consideravano il poeta teatrale un letterato di rango inferiore, al servizio delle corti e degli impresari. La critica coeva e successiva gli rimproverò scarsa originalità nel versificare, sia per le traduzioni sia per le riduzioni librettistiche, ma ne lodò spesso l’abile orditura drammatica e la fantasia nella creazione dei soggetti.
Fonti e Bibl.: I certificati di matrimonio e morte di Giovanni Schmidt, quelli di nascita, matrimoni e morte di alcuni componenti della famiglia, sono conservati nell’Archivio di Stato di Napoli, Stato Civile Napoleonico e Stato Civile della Restaurazione, San Ferdinando (gentile comunicazione di Cesare Corsi). Diversi documenti riguardanti l’attività napoletana sono conservati ivi, nella serie Teatri, ff. 4, 9, 35, 37, 52, 98, 113, 125. A. Azevedo, G. Rossini. Sa vie et ses œuvres, Paris 1864, pp. 92 s.; G. Pacini, Le mie memorie artistiche (edite ed inedite), Firenze 1875, p. 33; M. Tartak, Matilde and her cousins, in Bollettino del Centro rossiniano di studi, XIII (1973), pp. 13-23; Il teatro di San Carlo, 1737-1987, a cura di B. Cagli - A. Ziino, II, Napoli 1987 (in partic. T.R. Toscano, Il rimpianto del primato perduto. Dalla Rivoluzione del 1799 alla caduta di Murat, p. 88 e note; J. Rosselli, Artisti e impresari, pp. 45 s.); M. Spada, “Elisabetta, regina d’Inghilterra” di Gioachino Rossini: fonti letterarie e autoimprestito musicale, in Nuova Rivista musicale italiana», XXIV (1990), pp. 147-182; G. Rossini, Lettere e documenti, a cura di B. Cagli - S. Ragni, I, Pesaro 1992, pp. 57, 174, IIIa, p. 89; F.L. Casillo, G.S., librettista “napoletano” dell’Ottocento, in Critica letteraria, XXII (1994), pp. 551-600; M. Spada, G.S. librettista: biografia di un fantasma, in Gioachino Rossini 1792-1992. Il testo e la scena. Atti del convegno internazionale di studi… 1992, a cura di P. Fabbri, Pesaro 1994, pp. 465-490; Le prime rappresentazioni delle opere di Donizetti nella stampa coeva, a cura di A. Bini - J. Commons, Milano 1997, ad ind.; Rossinis “Eduardo e Cristina”. Beiträge zur Jahrhundert-Erstaufführung, a cura di R. Müller - B.R. Kern, Leipzig 1997; A. Sapienza, La parodia dell’opera lirica a Napoli nell’Ottocento, Napoli 1998, pp. 73-92; Armida, a cura di C.S. Brauner (“l libretti di Rossini”, 7), Pesaro 2000; B. Migliorini, Musica e musicisti nell’epistolario del marchese Sampieri, in Fonti musicali italiane, XII (2007), pp. 125-143; Sigismondo, a cura di M. Beghelli (“I libretti di Rossini”, 18), Pesaro 2012, pp. LXXIV-LXXXIII; C. Faverzani, Ginevra e il cardinale. Libretti italiani da Salieri a Ponchielli, Lucca 2015, pp. 89-107, 160-179; A. Salvagno, La vita e l’opera di Stefano Pavesi (1779-1850), Lucca 2016, ad ind.; Elisabetta regina d’Inghilterra, a cura di V. Borghetti (“I libretti di Rossini”, 22), Pesaro 2019.