GIOVANNI EMANUELE (Juan Manuel) marchese di Villena
Principe e scrittore castigliano, nato a Escalona (Toledo) il 5 maggio 1282 dall'infante Manuel, ultimo figlio del re San Ferdinando, e da Beatrice di Savoia, figlia di Amedeo IV; morto prima dell'agosto 1349 nel suo castello di Peñafiel.
Educato alla corte dello zio Sancho IV, tra la vita delle armi e i negozî della politica, ne conobbe gli ardimenti e i raggiri; erede di un vistoso patrimonio, fu sollecito di nuovi acquisti; legato al sangue reale, influì sulla politica dei paesi iberici; fece e disfece amicizie e parentele, dominato da un esclusivo interesse personale. A dodici anni vinse i Mori, come governatore militare di Murcia, e li combatté a più riprese, non disdegnando in seguito il loro aiuto di secolari nemici per intimidire antichi alleati cristiani; partecipe della tutela di Alfonso XI, brigò contro lo stesso re; sposò tre volte, obbedendo a mire ambiziose, e, solo per opportunismo politico, patteggiò le nozze della figlia Costanza con Alfonso XI e poi, in odio a questo, con l'infante Pedro di Portogallo, al quale ella andò sposa, dolorosa protagonista del dramma di Inez de Castro (v.). Nel governare il proprio dominio, G. E. mostrò intelligenza irrequieta e altrettanto pronta e scaltra.
Questa esperienza umana è il lievito della sua opera letteraria, poiché egli trasse dal sapere del tempo un contenuto essenzialmente didattico ed empirico, che sempre si adegua all'esercizio della vita. Nelle soste dei lunghi viaggi attraverso la penisola, nelle tregue della guerra, nei riposi del suo castello di Peñafiel - dove nel 1335 rivedeva e copiava tutte le sue opere, G. E. ricomponeva gl'insegnamenti della sua agitata esistenza, con cui interpretava e rielaborava le molte letture dal latino, dal catalano. dall'arabo, lingua a lui familiare per il continuo commercio politico con quel popolo. Egli stesso enumera le proprie opere, di cui alcune perdute, come il Libro de los cantares e le Reglas come se debe trobar - che attestano la sua perizia nella rima - e il Libro de los engeños intorno agli ordigni militari: tutte e tre composte prima del 1329; altre, come la Crónica abreviada (1320-24), epitome della Crónica general; il Libro de la caza (1325-26) sull'arte venatoria ch'era allora compimento della vita aristocratica; il Libro de las armas (verso il 1334), sulle insegne e i privilegi della propria famiglia; il Libro de los castigos (verso il 1334), raccolta di norme per il figlio Fernando, sono d'interesse limitato, frammenti di un mondo cortese e politico e di una materia descrittiva e didascalica che erano stati pienamente investiti nel Libro del caballero et del escudero, forse il primo in ordine di tempo. Derivata per lo schema e i primi capitoli dal Libre del Ordre de Cavayleria che Ramon Lull (v.) non aveva portato a termine, l'opera di G. E. intesse, con ampia e minuta comprensione dei fatti umani, la vita del giovane cavaliere, nella cui figura egli vagheggia tutto l'uomo, non già chiuso in un'astratta e ideale solitudine eroica, ma immerso nell'azione pratica d'ogni giorno, in rapporto con la famiglia, la società, lo stato e la fede, esperto di morale e di scienza, curioso delle leggi naturali, pensoso del mistero della morte e del senso del divino. Più esteso e più complesso il Libro de los Estados (verso il 1330), che mostra notevoli attinenze con la leggenda di Barlaam e Josaphat (v.): vi si passano in rassegna i diversi organismi sociali, le varie condizioni umane, laiche e clericali, le molteplici attività mondane e le contrastanti tendenze spirituali, fino a una trattazione teologica delle tre fedi. E sebbene la doviziosa materia non possieda una salda continuità di tono e prevalga il procedimento precettistico, lo scrittore tuttavia ripercorre con acutezza psicologica e con agilità stilistica le vie innumerevoli dell'azione umana, con la gioia di chi può dispiegare a sua posta il mobilissimo atteggiarsi dello spirito di fronte all'infinita varietà delle vicende e degli stati mondani. Frutto della stessa dottrina è il Libro de los enxiemplo del Conde Lucanor et de Patronio (1328-1335), il capolavoro di G. E., che nella misurata maturità degli anni disciplinava questo suo sapere enciclopedico, sicché i residui libreschi delle altre opere si convertivano in una più viva e autonoma rielaborazione e tutto il libro si affrancava dall'intendimento pedagogico per tramutarsi in pura arte. Se G. E. attinge al Calila e Dimna, alla Disciplina clericalis, a favole esopiane e orientali, a parabole cristiane, e se accoglie tradizioni storico-leggendarie della vecchia Castiglia o racconti di guerra, di crociate, di vita islamitica ed ecclesiastica, tanto da formare una catena di novelle sotto forma di apologhi e collegate da un'occasione e da una morale, la sua fantasia vi opera liberamente, mossa soltanto dalla diretta ma riposata partecipazione alla vita che vi si attua. Ne deriva una sensibilità stilistica lucida e costruttiva, che riflette il multiforme articolarsi della realtà terrena, astuta, insidiosa e ironica, consapevole di accorgimenti pratici e di spirituale saggezza, tutta percorsa dalle passioni e dalle ambizioni che urgono nello spirito umano. Del resto l'opera intera di G. E. porta il segno di una forte tempra morale e di una vigoria rappresentativa; e in essa sembra concludersi la travagliata esperienza di un'epoca e di una nazione, quali il Medioevo e la Spagna, in cui confluivano molti elementi di cultura e di storia e numerose tradizioni di pensiero e di fede, che, mentre nell'opera del catalano R. Lull s'innalzavano in una sfera di mistica rinunzia, in G. E. si organizzavano come perenne condotta pratica, tenacemente legata alla vita operosa.
Ediz.: Le opere a cura di P. de Gayangos nella Bibl. Aut. Esp., LI; El Conde Lucanor, ediz. principe a eura di Argote de Molina, Siviglia 1575, riprodotta da M. Milá y Fontanals, con introduzione, Barcellona 1853; su altri manoscritti le edizioni di H. Kunst, Lipsia 1900; di E. Krapf, Vigo 1902; di F. J. Sánchez Cantón, Madrid 1920 (Bibl. Calleja); El libro del Caballero y del Escudero, ed. di S. Gräfenberg, in Roman. Forschungen, VII, 1893; il Libro de la Caza, ed. di J. Gutiérrez de la Vega, in Bibl. venatoria, Madrid 1877; il Libro de las armas, ed. di A. Giménez Soler, Saragozza 1931; cfr. una lettera autografa di G. E. al suo re, piena di cautela: edita da A. Giménez Soler, in Revue hisp., XIV (1906).
Bibl.: M. Menéndez y Pelayo, Orígenes de la novela, I (1905), p. 86 segg. Cfr. anche le introduzioni alle edizioni citate.