DONÀ (Donati, Donato), Giovanni
Ultimo esponente di questo ramo della casata, la cui residenza spostò da S. Ternita a S. Canciano, nel sestiere di Cannaregio, nacque a Venezia il 23 dic. 1509 da Bernardo di Giovanni e da Raimonda Raimondi di Fantino di Giorgio. Fu anche, nell'ambito famigliare, colui che percorse la più prestigiosa carriera politica, mentre Fantino, il minore dei fratelli (Bernardo ebbe quattro maschi e almeno due femmine), si occupò dell'amministrazione patrimoniale, in particolar modo degli interessi commerciali che i Donà intrattenevano con Cipro ed in seguito, dopo la perdita dell'isola, delle proprietà fondiarie situate nel Padovano e nel Veronese.
Dotato di vasta cultura ed abile parlatore, il D. rivesti per molti anni, nel mondo politico veneziano, il ruolo di una sorta di coscienza critica nei confronti di quanti operavano nelle magistrature o sostenevano posizioni che gli sembrassero pregiudizievoli dell'autorità dello Stato. Non fu solo un convinto anticlericale: il carattere duro, risentito, scontroso gli impedi di ottenere incarichi di natura diplomatica tanto nelle ambascerie all'estero quanto nei rettorati di Terraferma; il suo cursus honorum fu dunque prestigioso, ma non eccezionale: entrò più volte a far parte dei savi del Consiglio e del Consiglio dei dieci, ma senza continuità, e nonostante l'età avanzata, la libertà che gli derivava dal non essere sposato e le cospicue ricchezze, non riusci mai procuratore né doge; pur ricevendo qualche suffragio nelle elezioni del 1578 e 1585, la sua candidatura al trono ducale non ebbe mai serie probabilità di successo: i lunghi discorsi in Senato (che gli valsero l'appellativo di "dalle Renghe") e l'intransigenza con cui non esitò a colpire i colleghi corrotti, o presunti tali, lo resero infatti impopolare al punto da vanificare in parte i suoi indubbi meriti di rigore morale e politico ed una vita dedicata esclusivamente allo studio ed al servizio dello Stato. Felice sintesi di questa figura suona dunque la stringata iscrizione marmorea che gli eredi collocarono sotto il suo busto nella chiesa di Ss. Giovanni e Paolo: "Numquani milii, sed semper patriae".
La sua personalità ebbe modo di manifestarsi sin dagli esordi dell'attività politica: non aveva che venticinque anni allorché, nella veste di savio agli Ordini, perorò efficacemente nel Maggior Consiglio in favore dell'opportunità di concedere aiuto economico ai figli di Girolamo Canal, l'animoso comandante della flotta veneta morto a Zante nel corso di una campagna navale. Nuovamente savio agli Ordini nel 1536 e 1537, in quest'ultimo anno fu tra i sostenitori dell'invio di una ambasceria a Carlo V e Francesco I per favorire la pace tra le potenze cristiane in funzione antiturca, la qual cosa si sarebbe poi parzialmente verificata nel convegno di Nizza. Acquistato nel 1538 per 500 ducati il titolo di senatore, concesso dalla Repubblica per far fronte alle emergenze della guerra contro gli Ottomani, il D. si divise a lungo tra politica e cultura: provveditore sopra Banchi nel 143, ufficiale alle Rason Vecchie un decennio più tardi, quindi censore (1554 e 1563), avogador fiscale (1556) e savio di Terraferma (1558, 1561, 1562, 1565), egli risulta insieme dedicatario di numerose opere italiane e latine e a sua volta autore di epigrammi e poesie, tanto che nel maggio 1553 venne incaricato di pronunciare l'orazione funebre del doge Francesco Donà dalle Rose.
La robusta eloquenza del D. doveva però esprimersi al meglio nel mondo, certamente a lui più congeniale, della scena politica: nel giugno 1559 attaccò violentemente il patriarca Vincenzo Diedo, definendolo "lupo rapace" per aver speso 900 ducati in un banchetto per il cardinale nipote di Paolo IV, mentre ancora ne doveva al fisco 2.000 per imposte non pagate; il 20 ed il 21 sett. 1560 fu il principale accusatore dell'ambasciatore presso la S. Sede, Marcantonio Da Mula, che il papa aveva nominato vescovo di Verona, chiedendo ed ottenendo il suo immediato rimpatrio; nel '67 pose sotto accusa l'ex bailo a Costantinopoli, Marino Cavalli, per aver trasgredito le commissioni e favorito il mercante ebreo Aaron de Segura; nel '70, in qualità di savio del Consiglio, sollecitò il richiamo in patria ed il processo dell'ambasciatore a Roma Michele Surian, reo di aver troppo debolmente tutelato gli interessi veneziani nella trattazione della lega antiturca. Ancora, nell'agosto '72 si batté contro l'ipotesi di cedere Cipro agli Ottomani; il 21 nov. '78, come capo del Consiglio dei dieci, si oppose alla consegna alle autorità pontificie di Cornelio Sozzini, incarcerato a Venezia, il 26 ott. 1580, infine, chiese il trasferimento dal Consiglio dei dieci al Senato, allora meno indulgente verso Roma, della trattazione della vertenza che opponeva la Repubblica al patriarcaio di Aquileia.
Del tutto in linea con un'indole tanto rigorosa l'incarico, più volte rinnovatogli (1567, 1570, 1577, 1578, 1585), di inquisitore sulla condotta del doge defunto, e di membro del Consiglio dei dieci, di cui fece parte negli anni 1567-68, 1570-71, 1573-74 e 1576; fu anche tra gli elettori dei dogi Pietro Loredan, Sebastiano Venier e Pasquale Cicogna, e poi governatore delle Entrate (1568, 1577 e 1586), provveditore sopra i Conti delle procuratie (1569), savio del Consiglio (1570, 1571, 1573, 1574, 1581), esecutore delle deliberazioni del Senato nelle guerre contro i Turchi (1571), consigliere ducale (1572, 1575 e 1579), riformatore dello Studio di Padova (1574-75 e 1580-81). Morì a Venezia, "da poplesia longo tempo", il 23 genn. 1592.
Nel testamento, redatto il 10 febbr. 1585 e successivamente più volte modificato a mano a mano che premorivano fratelli e sorelle, si raccomanda a Dio "conossendo io haver fato molti errorj et peccati contra la Sua gran misericordia, e bontà"; tranne pochissimi legati, lasciò le proprietà fidecommesse nei figli dello zio Vincenzo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii..., III, cc. 303 s., 318; Ibid., Avogaria di Comun. Libro d'oro nascite, schedario 170, sub voce; Ibid., Sezione notarile. Testamenti, b. 194/542; Ibid., Avogaria di Comun, b. 159/1: Necrologi di nobili, ad diem; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, cod. 16 (= 8305): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto..., II, c. 33v; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti..., I, cc. 256v-257r; Ibid., Cod. Cicogna 3526: G. P. Gasperi, Catalogo della Biblioteca veneta…, pp. 42 s.; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, cod. 828 (= 8907): Consegli, ad diem; cod. 829 (= 8908): Consegli, cc. 23r, 52r, gor, 93r, 96v, 139r; cod. 831 (= 8910): Consegli, cc. 38r, 95r, 170v, 265r; La corrispondenza da Madrid dell'ambasciatore Leonardo Donà (1570-1573), a cura di M. Brunetti-E. Vitale, Venezia-Roma 1963, pp. XL, XLIII; Nunziature di Venezia, VIII (marzo 1566-marzo 1569), a cura di A. Stella, Roma 1963, pp. 265, 290, 298, 377; IX (26 marzo 1569-21 maggio 1571), a cura di A. Stella, Roma 1972, pp. 91 s. Cfr. inoltre: F. Sansovino, Venetia città nobilissima, et singolare, Venetia 1663, pp. 599, 614; A. Valier, Dell'utilità che si può ritrarre dalle cose operate dai Veneziani, Padova 1787, pp. 343 s.; E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, pp. 64, 199; III, ibid. 1830, pp. 15, 56; V, ibid. 1842, pp. 223, 352; VI, ibid. 1853, pp. 613 s.; V. Lamansky, Secrets d'Etat de Venise, Saint-Pétersbourg 1884, p. 90; A. Stella, Ricerche sul socinianesimo: il processo di Cornelio Sozzini e Claudio Textor (Banière), in Boll. dell'Ist. di storia della società e dello Stato veneziano, III (1961), p. 88; A. Stella, Dall'anabattismo al socinianesimo nel Cinquecento veneto, Padova 1967, pp. 155 s.; A. Da Mosto, Idogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Firenze 1977, pp. 301, 307 s.; G. Cozzi, Domenico Bollani: un vescovo venez. tra Stato e Chiesa, in Riv. stor. ital., LXXXIX (1977), p. 579; P. Grendler, The "Tre savii sopra eresia" 1547-1605: a prosopographical study, in Studi veneziani, n. s., III (1979), pp. 319-321; Id., L'Inquisizione romana e l'editoria a Venezia. 1540-1605, Roma 1983, pp. 74, 286; G. Trebbi, F. Barbaro, patrizio veneto e patriarca di Aquileia, Udine 1984, p. 344.