DONÀ (Donati, Donato), Giovanni
Nacque a Venezia, a S. Vito, nel sestiere di Dorsoduro, da Antonio di Giovanni, del ramo detto dalle Torreselle, e da Marina Michiel del cavaliere Giovanni, il 9 febbr. 1691.
Fu il primogenito di numerosa prole: cinque maschi e due femmine, ma solo queste ultime si sarebbero sposate (Chiara nel 1720, con Vincenzo Cappello di Andrea, e Andriana nel '37, con Giovanni Bembo di Bertuccio), per cui questo ramo della casata si estinse con l'ultimo dei fratelli, Marco (1709-post 1793).Nulla sappiamo della giovinezza del D.; la famiglia non era particolarmente ricca (nella redecima del 1739 il padre dichiarò di possedere, oltre al palazzo dominicale, altri sedici immobili a Venezia, sette capitali di livello attivi, ventinove case e trecentoquarantasei "campi" sparsi tra il Polesine, il Padovano ed il Vicentino, per un reddito complessivo annuo di 2.700 ducati, netti di ogni aggravio), ciononostante i suoi esordi nel mondo della politica furono all'altezza della migliore tradizione: savio agli Ordini dal 5 marzo al 30 giugno 1716, il 21 settembre di quello stesso anno era eletto capitano a Vicenza, ma rifiutò la carica il 21 ottobre, impegnandosi però ad accettare un altro rettorato entro pochi mesi; nel gennaio '17 riusci dunque podestà a Chioggia, carica che esercitò dal 27 luglio al 26 novembre dell'anno successivo, allorché fu sostituito da Giovanni Bollani. Furono sedici mesi relativamente tranquilli, dal momento che le principali preoccupazioni del D. consistettero nella repressione del contrabbando, specie di farine e vini, e nella riscossione delle gravezze, operazione sempre spinosa e di difficile esecuzione, ma che le urgenze della guerra contro il Turco rendevano allora più che mai necessaria e degna di attenzione. Rientrato a Venezia, fu dei tre ufficiali ai Dieci uffici dal 5 febbr. 1718 al 4 giugno del '20, quindi savio alle Decime in Rialto (16 nov. 1720-15 nov. '21) e provveditore al cottimo di Londra, dal 21 dic. 1721 al 31 marzo '23, quando optò per il saviato di Terraferma. che sostenne sino al 30 giugno di quello stesso anno. A questa carica rimase fedele a lungo; eccettuato il 1725, ininterrottamente dal '23 al '37: nel '24 per il primo semestre, nel '26 dal 27 giugno a fine settembre, tra il '27 ed il '31 da aprile a settembre, dal '32 al '34 per il secondo semestre (e nel '33-'34 ebbe le mansioni di savio alla Scrittura, suppergiù l'equivalente di un ministro della Difesa, allorché la Repubblica attuò la neutralità armata, in occasione della guerra di successione polacca), dal '35 al '37 dal 1° di ottobre al 31 marzo dell'anno successivo.
Temperamento riservato e prudente, ma scrupoloso e appassionato al lavoro come pure, in generale, a quanto attenesse al mondo della politica (la riferta di un confidente degli inquisitori di Stato lo dice avido di conoscere notizie sulla guerra, nell'agosto del '37), il 29 sett. 1738 risultò eletto savio del Consiglio per il semestre 10 ott.-marzo '39; fu quindi aggiunto ai tre deputati sopra la Provvision del denaro (18 apr.-31 dic. '39) e deputato straordinario alla vendita dei beni ad pias causas (io giugno-31 dic. '39), ancora savio del Consiglio per il primo semestre del 1740., poi deputato alla sopraintendenza allo spoglio dei libri dei governatori delle Entrate (21 luglio-31 dic. '40), provveditore all'Arsenale (28 luglio-31 dic. '40), nuovamente savio del Consiglio nei primi sei mesi del '41, nel corso dei quali (e precisamente il 23 aprile) fu eletto bailo alla Porta ottomana.
Era il coronamento di una ormai lunga carriera, condotta con discrezione, ma anche con assoluta fedeltà ai tradizionali ordinamenti dello Stato ed alle sue strutture sociali, i rapporti tra Venezia e Costantinopoli erano allora improntati a reciproco rispetto, ma le ingerenze dei Francesi nel sempre inquieto mondo balcanico, dove appoggiavano le rivendicazioni di Francesco Rákóczy in Ungheria e quelle turche nel banato di Ternesvár, tenevano desta l'attenzione delle diplomazie europee, soprattutto in conseguenza della fase di debolezza politica che l'Impero, impegnato nella guerra di successione austriaca, stava attraversando.
La partenza del D. avvenne il 19 marzo 1742 su una nave dal beneaugurante nome di "Europa in pace", che lo portò prima a Corfù, poi a Tenedo e infine sul Bosforo, dove giunse agli inizi di luglio, a rilevare il predecessore Andrea Erizzo; la lunga e sanguinosa guerra che impegnava il sultano Mahmud, nelle province orientali dell'Anatolia ed in Mesopotamia, contro il minaccioso scià persiano Nadir, agevolò notevolmente la missione del D., che poté subito tranquillizzare il Senato circa le presunte e temute pressioni francesi sulla Porta. In sede politica la sua azione si restrinse alla composizione delle annose e sanguinose vertenze che contrapponevano i sudditi veneti di Perasto a quelli turchi di Dulcigno, mentre in quella diplomatica poté addirittura conseguire quello che a Venezia fu ritenuto un rilevante successo, e cioè che il bailo si presentasse a quella corte vestito di zibellino, al pari delle "maggiori Corone"; superiore importanza riveste invece, ai nostri occhi, l'operato del D. nel settore del commercio, dove riuscì ad ottenere la riapertura di un consolato veneto ad Alessandria, che fu affidato all'abile mercante Giovanni Ferro.
Fu questo uno dei primi atti di una politica contrassegnata da maggior dinamismo nel mondo della mercatura e dei traffici; nella prima metà degli anni '60, infatti, approfittando della lunga neutralità osservata nel corso del secolo, la Repubblica avrebbe riaperto anche il consolato di Aleppo e concluso trattati con le potenze barbaresche, con Tunisi, Algeri e il Marocco: le lettere indirizzate dal D. agli inquisitori di Stato nel corso del 1744, e da questi puntualmente trasmesse al magistrato dei savi alla Mercanzia, costituiscono dunque una chiara testimonianza delle speranze con cui le massime cariche dello Stato seguirono la pratica, e anche spiegano lo sgomento (che nella sua fase più acuta raggiunse toni di febbrile apprensione colorata della maggior segretezza, col ricorso a dispacci cifrati) con cui il bailo, appunto nell'estate del 1744, annunciò l'arrivo a Costantinopoli di settantuno casse di lastre di vetro di cattiva fattura, nonostante portassero il marchio di una famosa bottega muranese.
Tornato in patria alla fine di novembre del '45, appena terminata la quarantena entrò a far parte dei consiglieri ducali (5 genn.-30 sett. '46) e fu poi savio del Consiglio per il primo semestre degli anni 1 47-'49, affiancando a tale prestigiosa carica, per i restanti mesi dell'anno, quelle di provveditore all'Arsenale, di savio all'Eresia, di savio alla Mercanzia, di provveditore alla Sanità. Il 26 sett. 1748 era anche stato eletto commissario ai confini del Friuli, ma l'importante missione, nella quale ebbe come controparte i commissari imperiali A. v. Fin e K. v. Saurau (poi sostituito dal conte F. Pli. Harsch), iniziò solo nell'estate del '50, a motivo della concomitante vertenza austro-veneta che avrebbe portato alla soppressione del patriarcato di Aquileia. Alla metà di ottobre del 1750 il D. si trovava a Mauthen, in Carinzia, donde poi si trasferi con i colleghi a Pontebba, in territorio veneto: compito dei commissari era di stabilire definitivamente il tracciato del confine lungo l'Isonzo, dove le giurisdizioni dei due Stati presentavano un tracciato complesso e quantomai irregolare, creando nel contempo tutta una serie di enclaves. Il D. offrì ancora una volta prova di notevoli capacità diplomatiche, riuscendo a stabilire con i colleghi austriaci un clima costruttivo e cordiale, che sfociò nei trattati stipulati a Cormons nel maggio '53, e poi ratificati a Vienna e a Venezia due mesi più tardi, rispettivamente il 22 ed il 24luglio; né la sua opera si fermò qui, giacché negli anni che seguirono fu più volte chiamato a fornire il suo parere (a sua volta fondato sulle scritture dei consultori Stelio Mastraca e Tommaso Scalfurlotto) sia sul ventilato progetto, da parte veneziana, di uno scalo da realizzarsi alla foce del Timavo e "capace di far abbandonar il porto di Trieste", sia sullo scambio di alcuni villaggi austriaci con altri veneti in prossimità del contado di Gradisca, proposto da Maria Teresa nel '57, nell'intento di razionalizzare ulteriormente la linea di confine. Tale prolungato impegno gli consenti di ottenere la dispensa dal capitanato di Brescia, cui era stato eletto il 21 dic. 1755; fu invece nuovamente consigliere ducale dal 1°ott. '59 al 30 sett. '60 e per lo stesso periodo, un anno più tardi, inquisitore di Stato.
In tale veste toccò a lui, unitamente ai colleghi Andrea Diedo e Giovanni Grimani, porre sotto accusa e incarcerare nel castello di S. Felice, a Verona, l'avogador di Comun Angelo Querini. Pare che la questione non fosse solo politica, che cioè non si trattasse solo di una lotta tra due diverse concezioni dello Stato: gli autori infatti che si sono occupati della vicenda - sfociata poi nella celebre "correzione" del '61-'62 - accennano tutti, sia pure oscuramente e genericamente, all'esistenza di privati dissapori tra il Querini ed il D., che avrebbe colto l'occasione per compiere una vendetta personale. Certo è che i partigiani dell'ex avogadore tentarono di eleggere il D. podestà a Feltre, per allontanarlo da Venezia; il disegno non riusci, ma non è senza significato che, dopo aver deposto la carica, il suo nome non compaia più, per lungo tempo, nel Segretario alle Voci.
La contumacia si concluse solo quattro anni dopo, ed ebbe il sapore di una punizione, quasi una tardiva concessione ai suoi avversari: il 15 maggio 1765 risultò eletto capitano a Padova, dove si recò il 18 settembre e dove morì improvvisamente qualche mese più tardi, il 4 febbr. 1766.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii, III, p. 353; Ibid., Avogaria di Comun. Libro d'oro nascite, schedario 170, ad Indicem; Ibid., Dieci savi alle decime. Notifiche di decima, b. 327/18; Ibid., Segretario alle Voci. Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 25, cc. 138, 232; reg. 26, cc. 19, 23, 33; reg. 27, c. 219; reg. 28, c. 1; reg. 29, c. 199; reg. 30, cc. 36, 155; Ibid., Segretario alle Voci. Elezioni del Pregadi, reg. 21, c. 59; reg. 22, cc. 9 s., 13-19, 22, 40, 136, 175, 189; reg. 23, cc. 2 ss., 39, 51, 105, 125, 156, 164, 170; Ibid., Senato. Dispacci Costantinopoli, ff. 197 ss. (un regesto di 126 dispacci del D., in Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, cod. 2164 [= 8430], cc. 219r-247r); Arch. di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato, b. 150: Lettere ai baili a Costantinopoli, nn. 329-333; b. 151: idem, nn. 353-356; b. 431: Dispacci del bailo a Costantinopoli, sub die 12 luglio 1742 e 5 giugno 1744; la relazione dei bailato del D. non ci è pervenuta; possiamo tuttavia ricavarne la struttura e il senso generale dalla risposta datale dal doge Pietro Grimani, il 7 maggio 1746, in Documenti stor. inediti... pubblicati per le illustri nozze Bevilacqua-Neuenfels, Venezia 1856, pp. 51 ss.; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, cod. 16 (= 8305): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, II, c. 35v; CI- VII, cod. 2211 (= 10049): Bilanzi delli bailaggi, c. 168; cl. VII, cod. 864 (= 8943): Consegli, cc. n.n., ad annos 1759-61; cl. VII, cod. 865 (= 8944): Consegli, cc. n.n., sub die 12 maggio 1765; due volumi di scritture dei consultori ai confini Mastraca e Scalfurotto al D., in Venezia, Bibl. d. Civico Museo Correr, Mss. Donà dalle Rose cc. 191s. Cfr. inoltre: D. Dall'Ongaro, Ode all'Eccellenza del sig. G. D., veneto Senatore amplissimo dell'ordine de' Savii, nel compiere gloriosamente la commissione ai confini del Friuli e dell'Istria, Udine 1756; A. Bazzoni, Le annotazioni degli Inquisitori di Stato di Venezia, in Arch. stor. ital., s. 3, XI (1870), 2, p. 25; G. De Renaldis, Mem. stor. dei tre ultimi secoli del Patriarcato d'Aquileia (1411-1751), Udine 1888, pp. 534, 545 s.; A. Del Piero, A. Querini e la correzione del Consiglio dei X del 1761-1762, in Ateneo veneto, XIX (1896), I, pp. 293, 297; L. Ottolenghi, L'arresto e la relegazione di A. Querini (1761-1763), in Nuovo Archivio veneto, XV (1898), pp. 105-108, 112, 120, 124 s., 127, 142, 144; M. Petrocchi, Il tramonto della Repubblica di Venezia e l'assolutismo illuminato, Venezia 1950, p. 35; F. Seneca, La fine del patriarcato aquileiese (1748-1751), Venezia 1954, p. 62; G. Comisso, Agenti segreti di Venezia (1705-1797), Milano 1984, p. 43.