SPINOLA, Giovanni Domenico
SPINOLA, Giovanni Domenico. – Figlio di Giovanni Maria e Pellina Lercari, vide la luce a Genova nel 1580. Aveva dieci fratelli: Giovanni Battista, Maddalena, Agostino, Camilla, Giovanni Agostino, Caterina, Maria, Maria Francesca, Violante e Giovanni Luca.
Una linea di discendenza probabilmente destinata a un certo anonimato, se non fossero intervenute le disavventure del nonno materno Giovanni Battista Lercari. Uomo facoltoso e oligarca di spicco, Lercari era giunto al dogato nel 1563. Alla fine del mandato, però, gli era stato precluso l’ingresso tra i procuratori perpetui della Repubblica di Genova. Fatto pressoché eccezionale, che aveva acceso le ire del primogenito Giovanni Stefano, il quale aveva ucciso uno dei più acerrimi nemici del padre, finendo per questo sul capestro. L’altro figlio maschio, Giovanni Geronimo, non aveva avuto figli, ed era peraltro morto prima del padre. Così, il cospicuo patrimonio di Giovanni Battista Lercari era andato in dote a Pellina e alla sua prole, che se ne servì per ottenere importanti risultati. Il primogenito Giovanni Battista acquistò nel 1615 il ducato di San Pietro in Galatina in Terra di Otranto, dando inizio al ramo degli Spinola di San Pietro. Giovanni Luca figurò invece tra i più grandi banchieri al servizio della Corona spagnola.
Secondogenito di quel fortunato matrimonio, Giovanni Domenico fu avviato alla carriera ecclesiastica. Mancano notizie sulla sua formazione, e non sappiamo quando si trasferì a Roma; ma nel 1604 comprò un chiericato di Camera per 36.000 scudi d’oro. Di lì a poco, il neoeletto Paolo V lo annoverò tra i questori dell’Erario pontificio: segnale di come quel pontefice volesse servirsi del potere finanziario della famiglia di Giovanni Domenico. Nel 1607, ottenne la vicelegazione di Viterbo, dove rimase sino al 1609; mentre nel 1611, sborsando altri 80.000 scudi d’oro, si garantì la carica di uditore della Camera apostolica. Molto vicino al connationale Antonio Sauli, che in quello stesso anno assumeva il protettorato cardinalizio della nazione genovese, Spinola mise in mostra un profilo fortemente politico che non ne avrebbe agevolato la carriera, perché in quegli anni erano i curiali genovesi più fedeli al sovrano pontefice che alla Repubblica a fare strada nelle gerarchie di potere romane.
Pagò presto lo scotto di questo suo posizionamento. Non ebbe altri incarichi nell’amministrazione territoriale pontificia, né gli furono assegnate diocesi, con relative prebende. Apparentemente destinato a una certa marginalità, ottenne invece la porpora nel 1626. Non sappiamo cosa spinse Urbano VIII a farlo entrare nel S. Collegio, e probabilmente fu soltanto un omaggio a un’importante casata patrizia genovese, che peraltro dava regolarmente cardinali alla Chiesa. Ma, per la Repubblica, fu un evento fortunato. Poco dopo la promozione cardinalizia di Spinola, nel gennaio 1627, morì il cardinal protettore succeduto a Sauli, Domenico Rivarola. Nel S. Collegio sedevano due importanti porporati genovesi, Giannettino Doria e Agostino Spinola; ma si trattava di personalità strettamente legate al partito spagnolo, e perciò restie a secondare le politiche della Repubblica. Così, i candidati a prendere il posto di Rivarola si riducevano a due: Giovanni Domenico Spinola e il vezzanese Laudivio Zacchia, membro di una famiglia che aveva prosperato sotto Clemente VIII.
La scelta ricadde su Giovanni Domenico. Per quest’uomo che aveva mosso i suoi primi passi all’ombra di Sauli, la designazione fu il coronamento di una carriera votata al servizio della Repubblica. Tre anni più tardi, però, dovette lasciare la carica, che passò nelle mani proprio di Zacchia. Un avvicendamento che potrebbe far dubitare della fiducia riposta dall’oligarchia genovese in Spinola, adombrando l’ipotesi che i suoi tre anni di protettorato fossero stati una sorta di reggenza, in attesa che Zacchia s’imponesse nel favore di Urbano VIII. Ma le cose stavano diversamente. Spinola fu subito destinato alla diocesi di Acerenza e Matera, che sottostava al patronato regio spagnolo; il che fa pensare a un provvedimento punitivo voluto da Madrid per il troppo zelo mostrato nel servire la Repubblica.
L’ipotesi trova conforto nell’immediata battaglia che si accese su Spinola. Nel 1632, dietro pressioni del governo genovese, assunse la diocesi di Sarzana: vescovado strategicamente importante perché posto agli estremi confini orientali della Repubblica. Vi rimase soltanto quattro anni: nel 1636, fu inviato in un’altra diocesi sottoposta al patronato regio spagnolo, quella di Mazzara, in Sicilia. La nomina avveniva in un momento di forte crisi nei rapporti tra Roma e Genova, perché nel 1637 il governo genovese decretava la proclamazione della Vergine Maria regina di Genova, chiudendo bruscamente una lunga vertenza per il riconoscimento del titolo regio alla Repubblica.
Ne seguì una grave frattura tra la Repubblica e la S. Sede, che il cardinal protettore Zacchia – forse già malato: sarebbe morto nell’agosto del 1637 – non poté sanare. In più, l’arcivescovo di Genova Stefano Durazzo, convinto dell’inopportunità di quell’atto unilaterale, si rifiutò di presenziare alla cerimonia d’incoronazione della Vergine Maria regina di Genova, che si tenne nel marzo del 1637. Lo sostituì Spinola, che, ricevuto dal doge un bacile d’oro contenente uno scettro, una corona regale e le chiavi della città, lo collocò sull’altare della cattedrale genovese di S. Lorenzo, dove si tenne la cerimonia. Con quel gesto, che peggiorò ulteriormente i suoi rapporti con gli spagnoli, si rese inviso anche a Urbano VIII, sancendo così la sua definitiva marginalizzazione. Tornò a far parlare di sé durante il primo conflitto di Castro, quando fu camerlengo tra il 1642 e il 1643. Successivamente, nel conclave che elesse Innocenzo X, fu tra i papabili; ma la sua candidatura perse presto quota, proprio perché si trattava di un porporato genovese e per di più appartenente alla nobiltà vecchia (minoritaria a Roma).
Relegato nella sua diocesi di Mazzara, vi morì l’11 agosto 1646.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Archivio segreto, Lettere di Cardinali, 2801-2802; Notai antichi, 2285, 2500, 2801, 4501, 4502, 4113, 4117, 4118, 4124; Biblioteca apostolica Vaticana, Urb. lat. 1074 e 1079; Chig. I.III.87; Vat. lat. 7098; Genova, Biblioteca civica Berio, manoscriti rari VIII.2.28-31: Alberi genealogici di diverse famiglie nobili, compilati et accresciuti con loro prove dal molto reverendo fra’ Antonio Maria Buonaroti, sacerdote professo del Sagr’Ordine Gerosolimitano in Genova, distribuita in tre tomi, manoscritto cartaceo del 1750, I-V, III, p. 219.
L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali della Santa Romana Chiesa, VI, Roma 1793, pp. 263 s.; L. Giustiniani, Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, VIII, Napoli 1804, p. 215; Maria Santissima nei fasti della ligure storia: raccolta di scritti inediti offerta a sua eccellenza rev.ma Monsignor Lodovico March. Gavotti Arcivescovo di Genova, Genova 1915, pp. 62 s.; L.M. Levati, Dogi biennali di Genova dal 1528 al 1699, I, Genova Rivarolo 1930, pp. 108-122; M.G. Bottaro Palumbo, “Et rege eos”. La Vergine Maria Patrona, Signora e Regina della repubblica (1637), in Quaderni franzoniani, IV (1991), 2, pp. 35-49; Legati e governatori dello Stato pontificio, 1550-1809, a cura di Ch. Weber, Roma 1994, p. 431; Palazzo Doria Spinola: architettura e arredi di una dimora aristocratica genovese da un inventario del 1727, a cura di R. Santamaria, Recco 2011 (in partic. A. Lercari, Gli Spinola duchi di San Pietro. Dalla Repubblica aristocratica di Genova alla Corte di Madrid, pp. 143-175; C. Marsilio, Gli Spinola di San Pietro protagonisti del sistema politico-finanziario internazionale (secoli XVI-XVIII), pp. 177-183).