ROMAGNOSI, Giovanni Domenico (Gian Domenico)
– Nacque l’11 dicembre 1761 a Salsomaggiore, primo di dieci figli, da Marianna Trompelli e dal notaio Bernardino, consigliere del Ducato di Parma e Piacenza, ufficiale pubblico e amministratore di piccoli feudi.
Trascorse la giovinezza fra il paese natale e i centri di Borgo San Donnino (oggi Fidenza), dove studiò presso il ginnasio dei gesuiti, e di Piacenza, dove frequentò il collegio della congregazione di S. Vincenzo de’ Paoli, fondato dal cardinale Giulio Alberoni. Le sue letture di formazione compresero i testi di Francis Bacon, John Locke, Christian Wolff e in particolare di Étienne Bonnot de Condillac, che aveva soggiornato a Parma per alcuni anni come precettore del piccolo duca. Rinunciando al sacerdozio si iscrisse nel 1782 all’Università di Parma, dove si laureò nel 1786 in utroque iure esordendo, sulle orme paterne, come praticante notaio per un triennio. Nel 1789 fece parte della Società letteraria di Piacenza, dove lesse i suoi primi lavori: il Discorso sull’amore delle donne considerato come motore precipuo della legislazione, il Discorso sullo stato politico di tutte le nazioni, Sull’opinione pubblica. Nel 1790 fece parte dell’Accademia degli Ortolani.
Nel 1791 pubblicò a Pavia – con dedica al giurista Luigi Cremani, docente di istituzioni criminali e civili nell’Ateneo pavese – il suo primo saggio, redatto nel 1789 e più tardi da lui stesso definito «scorretto ed immaturo» (cit. in Sestan, 1957, p. XI): Genesi del diritto penale.
Chiaramente ispirato al pensiero giuridico del giusnaturalismo illuministico e a Cesare Beccaria, il testo era argomentato in base a un rigoroso metodo induttivo teso a dimostrare che il diritto di punire deriva non già dal diritto alla difesa dell’individuo isolato, nel suo stato naturale, ma dal diritto alla difesa dell’essere sociale organizzato in comunità, quindi della società la quale, sola, può comminare pene conformi al danno, al dolo e alla spinta criminosa subita. Solamente in questo secondo stato si ha dunque la vera genesi del diritto, mentre nel primo stato si ha la legittima difesa. Anche il delinquente sarebbe mosso dal desiderio di soddisfare impunito i propri desideri, ma la controspinta sarebbe rappresentata dal dolore che verrebbe procurato, attraverso la pena, a chi commettesse un crimine. La controspinta, tuttavia, non giustifica da sola la pena. La pena, infatti, non serve a punire chi ha peccato, ma solo come deterrente a impedire di peccare ancora. Del resto Romagnosi osservava che non si possono prevenire i delitti solo con la minaccia della pena, se le leggi che regolano la società sono tali da promuovere i reati. Sebbene ritenesse che chi delinque agisce in piena libertà contro un proprio simile, tuttavia egli rilevava che esistono anche fattori esterni alla volontà nel delinquere (ad esempio l’ambiente sociale). Vi erano dunque fattori del delitto insensibili a qualsiasi controspinta.
Grazie a questo saggio, venne eletto alla carica annuale di pretore di Trento, dove si trasferì nel 1791. Nel 1792 pubblicò a Trento l’opuscolo Cosa è eguaglianza e nel 1793 Cosa è libertà. Primo avviso al popolo, testi nei quali rivelava le sue moderate simpatie per le idee della Rivoluzione francese. Nell’esercizio del suo ufficio difese rigorosamente le prerogative dall’autorità civica resistendo contro l’avocazione al foro vescovile di una causa penale di sua competenza. Concluso il mandato di pretore, affrontò alcuni contrasti con il principe vescovo di Trento, Pietro Vigilio Thun, che tuttavia gli concesse nel 1793 il titolo di consigliere aulico d’onore. Nel 1795 partecipò senza successo a un concorso bandito dall’Accademia di Mantova con lo scritto Ricerche sulla validità dei giudicii del pubblico a discernere il vero dal falso, espressione dei suoi orientamenti filosofico-politici. Per alcuni anni ricoprì diversi incarichi giuridici a Trento e nel 1796, all’arrivo di Napoleone, celebrò l’evento inviando al Senato municipale un memoriale in cui inneggiava alla «sapienza ed autorità dell’invitto generale francese» (Mannori, 1984-1987, I, p. 1). Restaurato il potere vescovile, nell’aprile del 1799 fu arrestato su denuncia di Francesco Slop, con accuse di giacobinismo, lesa maestà e abuso nell’esercizio delle sue funzioni di pretore. Dopo quindici mesi di carcerazione preventiva a Innsbruck, in seguito al processo uscì prosciolto nel luglio del 1800 con formula liberatoria ampia, ottenendo anche il bando dagli Stati imperiali del suo accusatore. Durante la prigionia scrisse Delle leggi dell’umana perfettibilità per servire ai progressi delle scienze e delle arti, sostenendo, illuministicamente, che «il mobile unico, universale e costante delle azioni degli uomini è l’amore della felicità» (Opere di G.D. Romagnosi riordinate ed illustrate da Alessandro De Giorgi, IV, 1, 1841, p. 164).
Nel 1801, con la seconda occupazione francese del principato di Trento, venne nominato segretario generale del Consiglio superiore del Tirolo meridionale, presieduto da Carlo Antonio Pilati, mantenendo l’incarico fino al 1802. Nel maggio del 1802 studiò gli effetti magnetici dell’elettricità e il 3 agosto dello stesso anno pubblicò i risultati della sua ricerca sul Ristretto de’ foglietti universali di Trento, inviando una relazione Sul galvanismo anche all’Accademia delle Scienze di Parigi, ma la comunità scientifica lo ignorò. Nel 1820 sarebbe stato il fisico danese Hans Christian Ørsted, fondatore dell’elettromagnetismo, a condurre un analogo esperimento, ammettendo che «la conoscenza dei lavori di Romagnosi avrebbe anticipato la scoperta dell’elettromagnetismo di diciotto anni» (Experimenta circa effectum conflictus electrici in acum magneticam, in Annales de chimie et de physique, 1820, vol. 14, p. 417). Il 29 dicembre 1802 – per iniziativa del generale Médéric-Louis-Élie Moreau de Saint-Méry, amministratore generale degli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla e su proposta del giurista Claude Emmanuel de Pastoret – fu nominato professore di diritto naturale e pubblico all’Università di Parma, dove rimase fino al 1806, pubblicando nel 1805 la sua seconda opera di rilievo: l’Introduzione allo studio del diritto pubblico universale che consolidò definitivamente la sua fama nel mondo del diritto.
Concepito come trattato giuridico, ma più del precedente aperto alla politica del suo tempo e al mondo della storia ‘razionale’, in esso si scorgeva già abbozzata la successiva teoria dell’incivilimento cui Romagnosi avrebbe dedicato, nel 1832, uno dei suoi libri più importanti. Nell’Introduzione, premesso che ogni complesso giuridico dovesse basarsi sui bisogni della comunità, sosteneva che lo scopo del diritto doveva essere il rafforzamento delle strutture civili e politiche della società. Secondo la concezione tardosettecentesca del diritto, l’autore prendeva in esame sia il diritto pubblico positivo, sia il diritto naturale. Centrale era, di conseguenza, il concetto di ‘natura’ nei suoi molteplici aspetti: ossia la natura fisica regolata da leggi, dedotte dall’esperienza; la natura umana dotata di ragione e guidata dai sensi; e infine la «natura stessa delle cose» (Opere..., cit., III, 1, 1845, pp. 379 s.), la sola in grado di prescrivere ciò che alla società umana sarebbe realmente necessario, in quanto, per Romagnosi, all’origine delle società civili erano appunto i «puri rapporti reali e naturali delle cose» (pp. 177 s.), Sullo stretto rapporto fra diritto e morale si fondava anche la «civile filosofia» romagnosiana che postulava una rigorosa distinzione fra i due ambiti a livello di analisi, ma al tempo stesso la capacità di considerarli nel loro insieme quando poi si affrontava la sostanza delle cose nella vita reale. Per Romagnosi, infatti, il fine dichiarato della scienza del diritto pubblico era quello di «produrre la moralità pubblica» e il risultato era la possibilità di associare la giustizia alla «possanza degli Stati» (p. 98). Secondo l’ispirazione illuministica, obiettivo della filosofia civile era realizzare la pubblica «felicità» nella vita associata, mediante l’‘incivilimento’, ossia il costante perfezionamento del genere umano all’interno della vita associata. In base a queste premesse il «diritto pubblico universale» finiva per coincidere con l’«arte della sociale felicità particolarmente pubblica» (p. 223). La «molla» dell’agire umano era dunque costituita dalla volontà, che era a sua volta sollecitata dall’«amor proprio», ossia dalla ricerca del piacere e dalla fuga dal dolore. Il fine ultimo era la realizzazione della «massima felicità distribuita nel maggior numero» (p. 92).
Chiamato nell’agosto del 1806 a Milano, in qualità di consigliere di Stato del napoleonico Regno d’Italia, a occuparsi della revisione del progetto del primo codice italiano di procedura penale, entrato in vigore nel 1807, contrastò con forza ogni tentativo di concedere al potere politico prerogative superiori a quelle del potere giudiziario. Nel 1808 era nuovamente impegnato nella revisione del Codice penale napoleonico che sarebbe entrato in vigore nel Regno d’Italia nel 1810.
Nel 1807 fu nominato consultore del ministero di Giustizia e ispettore generale delle scuole di diritto e ottenne la prestigiosa cattedra di diritto civile all’Università di Pavia, a inaugurare la quale pronunciò il discorso Dell’origine e progressi della civile giurisprudenza auspicando che «un moderato contrasto di passioni e di poteri da una parte, leghi l’interessi particolari col generale; e dall’altra, rimossi i ceppi di una costituzione inflessibile, faccia incessantemente inoltrare l’incivilimento fino al punto che la nazione rendasi sicura e felice» (Opere..., cit., II, 2, 1844, p. 380). Dalla cattedra pavese, in neppur troppo velato contrasto con il regime napoleonico, Romagnosi affermò esser preferibile liberarsi dagli ‘Stati grandi’ e tendere alla costituzione di Stati repubblicani, mirando a una confederazione internazionale di repubbliche di medie dimensioni. Contemporaneamente ripubblicò, ampliata e rivista, la sua Genesi del diritto penale e pronunciò il discorso Quale sia il governo più adatto a perfezionare la legislazione civile. Nel gennaio del 1809 fu quindi nominato professore di alta legislazione civile e criminale nei suoi rapporti con la pubblica amministrazione nelle Scuole speciali di pubblica amministrazione di Milano da lui stesso progettate e destinate a formare i futuri magistrati e funzionari del Regno. In quegli anni di intenso lavoro si dedicò alle prime riflessioni sulle costituzioni, alle Lezioni di diritto civile (pubblicate postume) e ai Principi fondamentali di diritto amministrativo (pubblicati nel 1814), considerati ancora oggi – da studiosi come Sabino Cassese e Luca Mannori – una pietra miliare nella genesi di questa branca del diritto.
Entrato così a far parte a pieno titolo dell’élite di governo, Romagnosi percorse anche una significativa carriera all’interno della massoneria italiana, ricoprendo prima la carica di maestro venerabile della Loggia reale Giuseppina di Milano, poi quelle di ‘grande esperto’ e di ‘grande oratore aggiunto’ del Grande Oriente d’Italia.
Nel 1811 fondò il Giornale di giurisprudenza universale che diresse dal 1812 al 1814, pubblicando articoli sull’istruzione pubblica legale, sulla legislazione civile, sull’alta amministrazione, e facendo del periodico un luogo di riorganizzazione pratica e concettuale del diritto che precedette le opere sistematiche elaborate negli anni della Restaurazione.
Accanto all’attività accademica e alle consulenze per il governo, Romagnosi si occupò negli anni Dieci di una quantità di questioni minori, fornendo consulenze e pareri tecnici su temi quali le prede marittime (1812), la qualificazione dei fiumi (1812), le forme dei testamenti (1812), la cittadinanza e la forensità (1814), la pubblicità dei giudizi criminali (1814).
Colpito nel 1812 da un attacco di emiplegia, rimase invalido, ma continuò a lavorare con intensità immutata. Nell’ultimo anno del Regno d’Italia, tuttavia, non lesinò critiche a Napoleone, toccando il culmine con lo scritto anonimo Giudizio sul Regno di Napoleone Bonaparte, uscito nel 1814, in cui l’imperatore era raffigurato come il traditore della rivoluzione. Nel 1814 stese un proprio curriculum vitae destinato al conte Giovanni Scopoli, direttore della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia, in cui tracciò i primi elementi di un’autobiografia intellettuale.
La fine dell’esperienza napoleonica e la restaurazione del dominio austriaco coincisero con l’elaborazione del volume Della Costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa, pubblicato anonimo nel 1815, con la falsa indicazione di Filadelfia (ma Lugano). In questo lavoro affermò ideali costituzionali che gli sarebbero valsi i sospetti della polizia austriaca.
Romagnosi affermava l’importanza di una definizione giuridica dell’assetto istituzionale e amministrativo fondato su un testo scritto: la costituzione, appunto. Il saggio romagnosiano – concepito fin dal 1813, in un contesto di crisi dell’Impero napoleonico, ma stampato dopo la Restaurazione – cercava di conciliare teoricamente il principio monarchico con quello della rappresentanza cetuale, partendo da una ridefinizione dei ceti, basata non sulla tradizione di antico regime, ma sulla proposta di una nuova nozione di nobiltà per merito fondata sugli eletti in rappresentanza del ceto dei possidenti, degli uomini di opinione e dei militari. Questo scritto testimoniava la prima presa di distanza di Romagnosi dal modello napoleonico e preludeva alla sua successiva opzione repubblicana. Il compito fondamentale di una buona costituzione rappresentativa stava infatti nel ridurre la massima concentrazione di potere del sovrano per non cadere nel dispotismo, mantenendo tuttavia salda la figura del sovrano. Il sistema di bilanciamento dei poteri immaginato da Romagnosi, e derivato non già da Montesquieu o dal modello britannico (da lui ritenuto, sulla scorta di Gaetano Filangieri, troppo aristocratico), ma ancora da quello napoleonico, prevedeva una serie di organi costituzionali come il Consiglio di legislazione, elemento rappresentativo che rifletteva la società civile e ne incarnava le istanze dinamiche e di rinnovamento; il Senato che svolgeva un’azione moderatrice; il Protettorato con funzioni di garante e arbitro costituzionale. Nell’esercizio quotidiano del potere il sovrano era ancora superiore «di fatto e di diritto» ai singoli cittadini, ma non era più tale rispetto al «corpo unito della nazione» (Della Costituzione, cit., p. 22) che, nell’ultima parte dello scritto romagnosiano, veniva riconosciuta come «potere predominante» in cui doveva essere riposta «l’ultima garanzia costituzionale» (p. 35). Romagnosi si soffermava infine sul ruolo dell’opinione pubblica, come strumento di controllo degli amministratori. Solo la prima parte del saggio romagnosiano fu però pubblicato nel 1815; la seconda parte, in cui emergevano posizioni velatamente repubblicane, sarebbe stata pubblicata postuma alla vigilia del 1848 con il titolo di Scienza delle Costituzioni (Torino 1847).
Con il 1815 si concluse la prima fase della vita di Romagnosi che lo aveva visto emergere come tecnico di altissimo livello del diritto; con la Restaurazione iniziava una seconda stagione che, pur isolato, lo vide affermarsi a pieno titolo come pensatore politico e civile a tutto campo, più propenso a pubblicare saggi brevi di argomento diverso, piuttosto che trattati giuridici. Al ritorno degli austriaci fu sospeso dall’insegnamento universitario, pur ottenendo la licenza per l’insegnamento privato, che continuò a esercitare per alcuni anni. Fra gli allievi più ragguardevoli di questo periodo ebbe personaggi come Carlo Cattaneo, Cesare Cantù, Giuseppe Ferrari, Defendente e Giuseppe Sacchi. Emarginato dopo la caduta di Napoleone, Romagnosi spostò i suoi interessi dal diritto alla politica, all’economia e alla statistica, alla storia delle civiltà, cui si avvicinò con sguardo laico e disincantato. Tra il 1817 e il 1818 collaborò infatti sia con la governativa Biblioteca italiana, sia con il liberale Conciliatore, periodico cui consegnò, nell’arco di poco più di un anno, almeno otto articoli e recensioni.
In due di questi, in particolare, prese posizione sulla polemica letteraria classico-romantica: nel primo, Della poesia considerata rispetto alle diverse età della nazione, ispirato alla vichiana storia ideale eterna delle nazioni, prese le distanze dalle due fazioni classica e romantica e coniò per sé il termine di «ilichiastico», ossia «adatto alle età» (Scritti scelti e rari di storia e letteratura, Pavia 1826, p. 67). Nel secondo articolo, Delle fonti della cultura italiana, rispose ai compilatori del periodico, e in particolare a Giovanni Berchet, che lo aveva criticato, distinguendo nettamente fra sangue e cultura e rifiutando il medievalismo assoluto e reazionario dei romantici del Nord Europa, sottolineando invece il fondamentale apporto recato dalla tradizione latina alla civiltà italiana.
Dal 1821 iniziò a collaborare saltuariamente anche con la fiorentina Antologia fondata da Giovan Pietro Vieusseux, sulla quale pubblicò nel 1826 le cinque Lettere al professor Giovanni Valeri sull’ordinamento della scienza della cosa pubblica, tese a divulgare presso un pubblico più vasto i principi già esposti nell’Introduzione allo studio del diritto pubblico.
Nel 1820 aveva pubblicato l’Assunto primo della scienza del diritto naturale, una delle sue opere più riuscite, in cui, riprendendo temi già sviluppati nella Genesi del diritto, sostenne che nella natura era presente tanto il principio di individualità quanto quello di socialità e pertanto lo sviluppo umano avveniva naturalmente verso uno stato di società, l’unico in cui si sviluppava l’incivilimento, illuministicamente inteso come un continuo processo verso stadi più avanzati di perfezionamento morale, civile, economico e politico. In questo scritto Romagnosi affrontò anche il tema della libertà di coscienza e della libertà religiosa, definendo laicamente il rapporto fra religione e politica.
Nel 1821, in seguito al fallimento dei moti carbonari di Napoli e di Torino e all’arresto a Milano di Silvio Pellico, Pietro Maroncelli e Federico Confalonieri, Romagnosi venne accusato su base indiziaria, a partire da alcune confessioni dello stesso Pellico, di essere stato a conoscenza della congiura carbonara dei Federati e di non averla denunciata alle autorità. Incarcerato a Venezia, nell’isola di S. Michele, tra il giugno e il dicembre del 1821, subì il sequestro dei propri manoscritti e fu interrogato a lungo dal giudice Antonio Salvotti al quale tenne testa con consumata esperienza di giurista. Assolto dall’accusa di mancata denuncia della congiura, alla fine di un processo conclusosi il 10 dicembre 1821, fu tuttavia sospeso definitivamente dall’insegnamento, anche privato.
Durante la detenzione scrisse Dell’insegnamento primitivo delle matematiche, pubblicato a Milano nel 1822, mentre nel 1824 apparve lo scritto Della condotta delle acque. Nel 1825 uscirono poi le Istituzioni di civile filosofia ossia di giurisprudenza teorica, testo elaborato per le lezioni che avrebbe dovuto tenere all’Università di Corfù su invito del governo britannico, ma che non tenne mai a causa del divieto di espatrio impostogli dalle autorità austriache. In quel periodo lavorò anche alla terza edizione della Genesi del diritto penale (Milano 1823-1824) e all’opera Della ragione civile delle acque nella rurale economia (Milano 1829-1830).
Si apriva così l’ultima, operosissima, fase della vita di Romagnosi, che spostò ormai decisamente i suoi interessi dal diritto all’economia, alla scienza politica e alla filosofia. Nel 1824 fondò con Pietro Custodi e Melchiorre Gioia gli Annali universali di statistica, pubblicati dall’editore Lampato di Milano, la cui direzione assunse dal 1827 proseguendo la sua riflessione sull’incivilimento e sulla filosofia civile sulle pagine del periodico, dove dedicò particolare attenzione all’economia politica, trasmettendo così alla cultura dell’Ottocento la migliore eredità dei lumi.
Pagine interessanti Romagnosi consacrò alle ricerche storiche di William Robertson sull’India antica e sulle antichità del Messico e ai viaggi di Jan Potocki. Nel 1827 pubblicò a Milano l’operetta filosofica Che cos’è la mente sana?, trattatello di gnoseologia e psicologia ispirato all’eredità del sensismo settecentesco, cui sarebbe seguita nel 1828 Della suprema economia dell’umano sapere in relazione alla mente sana e nel 1832 le Vedute fondamentali sull’arte logica, edite come commento a un’edizione della Logica di Antonio Genovesi.
In questi scritti definì le basi del metodo scientifico fondato sull’osservazione dei fenomeni, sull’analisi puntuale delle loro caratteristiche, sulla cauta induzione delle possibili generalizzazioni, e infine sulla formulazione di leggi universali. Su queste basi andava impostata ogni ricerca sui fenomeni naturali, comprese le ricerche sull’uomo, che doveva essere studiato con lo stesso metodo e la stessa procedura con cui si studiavano tutti gli altri esseri naturali.
Il frutto più maturo del suo pensiero fu sicuramente il libro Dell’indole e dei fattori dell’incivilimento con esempio del suo risorgimento in Italia (Milano 1832), che raccoglieva e rielaborava gli scritti in parte già usciti fra il 1829 e il 1832 sugli Annali universali di statistica.
In questo lavoro Romagnosi si pose il problema di quale fosse il motore del progresso umano nella storia. La sua tesi era che la società umana stessa fosse l’organismo fattore di progresso, essendo in sé dotata di forze agenti in particolari condizioni storiche e ambientali. Sulla scorta di una rilettura critica di Vico lo sviluppo civile veniva scandito in quattro periodi: l’epoca del senso e dell’istinto, l’epoca della fantasia e delle passioni, l’epoca della ragione e dell’interesse personale, l’epoca della previdenza e della socialità. Solo nell’ultima epoca le principali funzioni sociali erano state trasferite agli organi pubblici rappresentativi, garantiti dal consenso dei cittadini. Il punto d’arrivo della civiltà era quindi una configurazione sociale in cui prevalevano la proprietà e il sapere. In polemica con Sismondi e con i sansimoniani Romagnosi difendeva la libera concorrenza come fattore di progresso e attribuiva il pauperismo a difetti di legislazione. L’incivilimento, che non era un processo lineare, appariva così come «una cosa complessa risultante di molti elementi e da molti rapporti formanti una vera finale unità simile a quella di una macchina, la quale scindere non si può senza annientarla» (Dell’indole e dei fattori dell’incivilimento, cit., p. 218). Il motore di siffatta macchina era il commercio, sviluppato a sua volta dal progresso dello stato sociale. Ripercorrendo a grandi linee la storia italiana, Romagnosi evidenziava le luci e le ombre dell’antica Roma, valutava positivamente il cristianesimo che era stato capace di mantenere l’incivilimento nonostante il crollo dell’Impero romano, e vedeva nel Medioevo un’epoca di ‘risorgimento’, ossia l’epoca in cui la città divenne luogo di aggregazione di possidenti, artigiani, commercianti e dotti, ponendo le basi per la nascita dello Stato moderno, sebbene ai Comuni medievali mancasse lo spirito politico, avendo dovuto separare «la professione delle armi da quella delle arti e della mercatura» (p. 212). Con Dante, Machiavelli e Galilei si affermò quindi il primato della civiltà italiana che vide, a partire dal Cinquecento, da un lato, la trasformazione economica prodotta dall’espansione commerciale e, dall’altro, i nuovi rapporti internazionali che vedevano l’Italia cadere sotto il dominio delle potenze straniere. A determinare l’incivilimento concorrevano dunque il clima, il territorio, l’economia e la politica, ma era solo quest’ultima a costruire quel «sistema artificiale della socialità», capace di comporre beni, forza e opinione, base per raggiungere l’obiettivo del «massimo di bene ottenibile col minimo di male inevitabile» (Opere, cit, III, 1, 1845, p. 8).
Fondamentale era, in questa visione, il ruolo dell’opinione pubblica che aveva il suo principale soggetto nel ceto intellettuale. Negli stessi anni in cui usciva l’opera di Romagnosi, in Francia Victor Cousin e François Guizot proponevano in un contesto diverso, un analogo nesso fra passato e presente a partire dal concetto di civilisation. Non fu dunque un caso che Romagnosi fosse nominato nel 1833 socio corrispondente dell’Institut de France, appena restaurato da Luigi Filippo proprio su iniziativa del ministro Guizot.
In alcuni dei suoi ultimi scritti, le Lettere al signor Gian Piero Vieusseux sull’ordine col quale si devono studiare le sue opere (1832), fu lo stesso Romagnosi a fornire una chiave di lettura della propria opera e della propria conversione alla filosofia, confessando di aver «pubblicato da ultimo ciò che aveva pensato all’inizio» (Opere, cit., III, 1, 1845, p. 495) e di seguire un preciso filone della filosofia italiana che aveva i suoi antesignani «per la filosofia naturale fondata dal Galilei e da’ suoi continuatori, e per la civile dal Vico, dallo Stellini, dal Genovesi, e dai buoni economisti» (p. 509) rifacendosi sempre al metodo empirico-sperimentale di autori quali Bacone, Locke, Newton, Leibnitz. Rari furono invece gli accenni a Kant, peraltro da lui conosciuto solo di seconda mano, le cui tesi egli giudicava «stentate e tenebrose elucubrazioni di un’alchimia fantastica» (Opere filosofiche, a cura di A. De Giorgi, 1843, p. 534).
Costretto a vivere di una modesta pensione, malato, perseguitato, sempre più spesso, negli ultimi anni della sua vita, Romagnosi si rifugiò nella villa dell’amico Luigi Azimonti a Carate Brianza.
Morì a Milano, celibe e senza figli, l’8 giugno 1835, assistito da Cattaneo, al quale consegnò il suo testamento e affidò i manoscritti inediti.
Fu sepolto nella cappella dei conti Cusani Confalonieri del cimitero di Carate Brianza.
Opere. Le principali edizioni sono: Opere, I-XIX, Firenze, nella Stamperia Piatti, 1832-1839; Opere, di G.D. Romagnosi riordinate ed illustrate da Alessandro De Giorgi, I-VIII, Milano-Padova 1841-1848 [ma 1852]. Nonostante questi due parziali tentativi ottocenteschi non esiste ancora un’attendibile edizione critica di tutte le opere di Romagnosi. Significative scelte di testi sono contenute in: G. Romagnosi - C. Cattaneo - C. Ferrari, Opere, a cura di E. Sestan, Milano-Napoli 1957; Scritti filosofici, a cura di S. Moravia, I-II, Milano 1974; Scritti sull’educazione, a cura di L. Ambrosoli, Firenze 1972. Fra le edizioni novecentesche di singole opere sono da segnalare: Della costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa (1815 e 1848), a cura di G. Astuti, introduzione di F. Patetta, Roma 1937; Della vita degli Stati, a cura di E.A. Albertoni, in Studi Romagnosi, I (1979), 1, pp. 225-298; ibid., XII (1990), 2, pp. 335-403 (il manoscritto di quest’opera incompiuta è stato pubblicato contemporaneamente anche in E.A. Albertoni, La vita degli Stati e l’incivilimento dei popoli nel pensiero politico di G.D. R., Milano 1979, con la cronologia degli scritti e delle edizioni italiane e il testo integrale del libro primo Della vita degli Stati); Genesi del diritto penale (1791), a cura e con saggio introduttivo di R. Ghiringhelli e prefazione di E.A. Albertoni, Milano 1996. Fondamentale per l’approfondimento del pensiero di Romagnosi è la collana Studi Romagnosi, pubblicata tra il 1979 e il 1996 dall’Istituto giuridico della facoltà di scienze politiche dell’Università degli studi di Milano, sotto la direzione di E.A. Albertoni.
Fonti e Bibl.: Manoscritti di Romagnosi si trovano in molte biblioteche e archivi italiani; i fondi più consistenti sono conservati presso la Biblioteca nazionale Braidense di Milano; la Biblioteca Ambrosiana di Milano; la Biblioteca civica Angelo Mai di Bergamo; la Biblioteca Universitaria di Pavia, Fondo Corradi; la Biblioteca comunale di Salsomaggiore; l’Archivio di Stato di Palermo, Fondo Crispi, Carte Cattaneo. Le principali biografie coeve sono: G. Ferrari, La mente di G.D. R. Saggio, Milano 1835; C. Cantù, G.D. R., Torino 1861; A. De Giorgi, Biografia di G.D. R., Parma 1874. I saggi a lui dedicati nella prima metà del Novecento: D. Mistrali, G.D. R. maestro della libertà italiana e precursore dell’idea sociale moderna, Borgo S. Donnino 1908; F. Menestrina, G.D. R. a Trento (1791-1802), Trento 1909; C. Rebora, G.D. R. nel pensiero del Risorgimento, Roma 1911; G. Solari, L’idea individuale e l’idea sociale nel diritto privato, Torino 1911; U. Spirito, R. e l’idealismo, in Giornale critico della filosofia italiana, VI (1925), pp. 42-55; L.G. Cusani-Confalonieri, G.D. R. Notizie storiche e biografiche, bibliografia e documenti, Carate Brianza 1928; L. Caboara, La filosofia del diritto di G.D. R., Città di Castello 1930; A. Norsa, Il pensiero filosofico di G.D. R., Milano 1930; G.A. Belloni, R., profilo storico, Milano 1931; F. Falchi, Il pensiero penalistico di G.D. R., Padova 1933. Numerose le pubblicazioni apparse in occasione del primo centenario della morte: C. Cagli, G.D. R. La vita. I tempi. Le opere, Roma 1935; A. Levi, G.D. R. al Collegio Alberoni, in Archivio storico per le province parmensi, 1935, vol. 35, pp. 261-315; Id., G.D. R. Il primo processo (una pagina poco conosciuta della sua vita), in La scuola positiva. Rivista di diritto e procedura penale, XV (1935), 3-4, pp. 108-124; Id., Nuovi documenti viennesi sul processo di Innsbruck (1799-1800), in Archivio veneto, 1935, vol. 17, pp. 215-259; G.D. R. Studi e memorie nel primo centenario della morte, Parma 1935. Sul pensiero politico di Romagnosi: C. Forresu, Individuo, società e stato nella filosofia del R., Milano 1937; L. Salvatorelli, Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, Torino 1940, pp. 148-151 e 158-160; G. Solari, Il pensiero filosofico e civile di G.D. R., in Id., Studi storici di filosofia del diritto, Torino 1949, pp. 404-415; B. Fava, Il pensiero politico di G.D. R., Reggio Emilia 1953. Fondamentale rimane ancora E. Sestan, Introduzione a G. Romagnosi - C. Cattaneo - C. Ferrari, Opere, a cura di E. Sestan, Milano-Napoli 1957, pp. VII-XLIV e il volume degli Atti del Convegno di studi in onore di G.D. R. nel bicentenario della nascita, Milano 1961. A partire dagli anni Sessanta sempre maggior attenzione viene dedicata al pensiero filosofico di Romagnosi: R. Alecci, La dottrina di G.D. R. intorno alla civiltà, Padova 1966; E. Garin, Storia della filosofia italiana, III, Torino 1966, pp. 1046-1058; A. Dentone, Il problema morale in R. e Cattaneo, Milano 1968; A. Norsa, Ancora intorno ad uno scritto poco noto di G.D. R. sul Regno di Napoleone I, Firenze 1969; N. Bobbio, Una filosofia militante. Studi su Carlo Cattaneo, Torino 1971, ad ind.; S. Cassese, Politica e cultura del diritto amministrativo, Bologna 1971, ad ind.; E. Di Sabantonio, Alcuni aspetti del pensiero di G.D. R., in Rassegna storica del Risorgimento, LIX (1972), 4, pp. 497-513; S. Moravia, Introduzione a G.D. Romagnosi, Scritti filosofici, Milano 1974, pp. 7-63; G. Ricuperati, I giornalisti italiani fra poteri e cultura dalle origini all’Unità, in Storia d’Italia, Annali 4, Intellettuali e potere, a cura di C. Vivanti, Torino 1981, pp. 1083-1132; G. Fassò, Scritti di filosofia del diritto, II, Milano 1982, pp. 529-554; Per conoscere R., a cura di R. Ghiringhelli - F. Invernici, Milano 1982; C.G. Lacaita, R. e Cattaneo, Milano 1983; A. Tarantino, Natura delle cose e società civile. Rosmini e R., Roma 1983; L. Mannori, Uno Stato per R., I-II, Milano 1984-1987; Idee, società ed istituzioni nel Ducato di Parma e Piacenza durante l’età illuministica, a cura di R. Ghiringhelli, Milano 1988, ad ind.; I tempi e le opere di G.D. R., a cura di E.A. Albertoni, prefazione di R. Treves, apparato biobibliografico a cura di R. Ghiringhelli, Milano 1990; S. Cabassi Gandolfi, G.D. R. Tra il secolo dei lumi e il secolo della storia, Parma 1994; I. Mereu, L’antropologia dell’incivilimento in G.D. R. e C. Cattaneo, Piacenza 2001; R. Ghiringhelli, Modernità e democrazia nell’altro Risorgimento. Studi romagnosiani, Milano 2002; E. Palombi, Introduzione alla Genesi del Diritto penale di G.D. R., Milano 2003; C. De Pascale, Filosofia e politica nel pensiero italiano fra Settecento e Ottocento. Francesco Mario Pagano e G.D. R., Napoli 2007; M. Martirano, La filosofia civile in alcuni momenti del pensiero democratico risorgimentale, in Momenti della filosofia civile italiana, a cura di G. Cacciatore - M. Martirano, Napoli 2008, pp. 147-200; G. Spanu, Il pensiero di G.D. R. Un’interpretazione politico-giuridica, Milano 2008; F. Lanchester, R. as a costitutionalist, in Journal of constitutional history, 2012, vol. 23, pp. 77-97; E. Rotelli, R. 1814. Instituzioni di diritto amministrativo, Bologna 2014.