DINI, Giovanni (Giovanni di Dino)
Nacque a Firenze nella prima metà del sec. XIV. Nulla sappiamo della sua famiglia e, pertanto, dei suoi legami parentali con altre famiglie fiorentine. Certo è che fu indirizzato agli studi e che nel 1345 si iscrisse all'arte dei medici e degli speziali. Per quanto riguarda la sua attività in campo economico, conosciamo solo le quote delle sue imposizioni fiscali, che parrebbero collocarlo nel ceto dei piccoli proprietari.
Ben conosciuta, invece, è la carriera pubblica del D., che andò distinguendosi nei Consigli come uno dei novi cives cui premeva particolarmente la supremazia della legge sui soprusi e le parzialità del patriziato. Nel maggio del 1370 fu estratto per la prima volta alla massima carica politica, il priorato: il gonfaloniere di allora, Salvestro de' Medici, sarebbe stato ancora suo compagno in importanti avvenimenti. In ogni caso questo primo incarico ai vertici del Comune non fu certo di tranquilla routine per il D., perché in quell'anno la città era impegnata contro il Comune ribelle di San Miniato al Tedesco e i Visconti suoi protettori. Al D. fu poi affidata la corresponsabilità nella conduzione della guerra, esplosa nel 1375 contro i legati di papa Gregorio XI, che stavano ricomponendo in Romagna il dominio pontificio: fu infatti uno degli Otto della guerra, soprannominati gli Otto santi, che riuscirono a far sollevare terre e Comuni sottoposti alla Chiesa, come Viterbo e Perugia.
Il D., insieme con sette colleghi, i priori e tutti gli ufficiali fiorentini in carica, fu scomunicato, mentre alla città fu posto l'interdetto per fiaccarne il potere economico e le relazioni internazionali. La proroga dell'ufficio degli Otto santi permise senz'altro al D. di rafforzare la propria leadership fra la gente di recente ascesa, mentre la coraggiosa lotta contro le pretese pontificie contribuirono a diffonderne la fama. Tuttavia, mentre da un lato questa speciale Balia andava perdendo nel tempo il suo prestigio politico, dall'altro continuava la dura opposizione alla guerra della Parte guelfa, comprendente il patriziato conservatore delle antiche casate, che colpiva i suoi oppositori ed i novi cives con la legge dell'"ammonire", la quale privava dei diritti politici coloro che erano accusati di non essere veri guelfi. La Parte non si arrestò neppure davanti agli Otto santi, ma anzi nel colpire uno di loro raggiunse il più alto risultato della propria strategia: fu proprio il D. l'oggetto della persecuzione filoguelfa. Il pretesto per la sua estromissione politica si fa risalire a un contrasto con un vecchio patrizio, Simone Peruzzi, entrato a sostituire uno degli Otto, ma questa probabilmente fu solo l'occasione per eliminare un costante critico dei vecchi privilegi.
Questo ennesimo sopruso spinse gli Otto a costituirsi in partito, contrapposto ai conservatori della parte; i suoi capi riconosciuti (il D., Salvestro de' Medici, Benedetto Alberti e Tommaso Strozzi) scelsero l'alleanza con le masse degli artigiani e dei lavoranti della lana per contrastare gli oligarchi arroccati dentro l'istituzione guelfa, divenendo così i "movitori" del tumulto dei ciompi.
Quella che era stata nel giugno del 1378 una lotta politica all'interno ancora della classe dirigente, con petizioni e richiami antimagnatizi, si trasformò un mese dopo in un'azione radicale e peculiare dei sottoposti all'arte della lana e di altri artigiani minori: le loro richieste comprendevano l'aumento dei salari, l'eliminazione del controllo repressivo e la costituzione di nuove arti. ma anche riforme fiscali e monetarie. Tuttavia il D. ed i suoi compagni non avevano perso del tutto il prestigio e il controllo della situazione, tantoché si ritiene Michele di Lando, gonfaloniere di Giustizia, un possibile emissario degli Otto; inoltre il D. venne indicato da alcuni rivoltosi fra i capi del tumulto, e certamente fu nominato fra i cavalieri eletti dai ciompi e riammesso a petizione del popolo nella sua magistratura.
Conclusasi nel settembre la fase più drastica della rivolta, il D. continuò a rimanere un protagonista di quel periodo (1378-1382) in cui prevalevano negli uffici gli artigiani minori, compresi i membri secondari della lana, come tintori e farsettai, insieme con i componenti del partito degli Otto. In particolare nel 1379 egli contribuì a scoprire e a combattere i tentativi di rivincita dei fuorusciti fiorentini filoguelfi, nonché a prolungare il loro esilio. Durante l'anno seguente fu spesso ascoltato come consulente per gli Otto da parte della Signoria: i temi specifici per i quali espresse la propria opinione andavano dai rapporti diplomatici e conflittuali con Arezzo ai tentativi di comporre la guerra con gli esiliati, dal problema interno riguardante la repressione dei delitti alle pressanti richieste dei soldati per il pagamento del soldo.
Con la caduta del governo allargato alle arti minori, avvenuta nel gennaio del 1382 sotto la pressione delle grosse casate mercantili e della Parte guelfa, anche il D. fu trascinato nella disfatta del regime popolare: una Balia straordinaria costituita nell'occasione abolì le due arti aggiunte, costrinse gli artigiani minori alla minoranza politica, aprì le porte agli sbanditi degli ultimi quattro anni, mentre il D. e Tommaso Strozzi furono banditi dalla città; Salvestro de' Medici, infine, fu confinato per dieci anni. Dopo il 1382 non abbiamo più alcuna notizia del Dini.
Non sappiamo se quel Bartolomeo di Giovanni Dini che figura nel catasto del 1427 sia suo figlio, a causa della frequente omonimia dei patronimici in fase di cognomizzazione.
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