GIOVANNI di San Vincenzo al Volturno
Di lui si ignorano la data e il luogo di nascita, e anche le sue origini familiari sono affatto oscure. Si sa soltanto che fu attivo nella comunità monastica di San Vincenzo al Volturno (oggi parte del comune di Rocchetta al Volturno, presso Isernia) nel corso della prima metà del secolo XII e che negli anni Trenta, e forse Quaranta, fu il compilatore del Chronicon Vulturnense.
Le sontuose ricostruzioni che interessarono il monastero nel corso dell'XI secolo - e che culminarono nel 1115 con la consacrazione della nuova chiesa abbaziale a opera di papa Pasquale II - sono l'indubbio segnale che San Vincenzo al Volturno gestiva un patrimonio che garantiva ancora un notevole afflusso di ricchezze. È verosimile, pur se non documentato, che i tentativi degli abati proseguissero nella costruzione di dominatus loci nelle aree di presenza patrimoniale più solida e coerente. Queste, però, si restringevano sempre più, decurtate dall'aggressiva intraprendenza dei potenti locali e dei nuovi dominatori normanni, che con l'andar del tempo avrebbero sottratto al monastero gran parte della sua terra. Gli abati vulturnensi furono quindi costretti a cercare forme di convivenza con elementi di potere diversi: famiglie che avevano ormai rivalutato le proprie originarie prerogative funzionariali secondo un'ottica chiaramente signorile, nuove forze militari che disegnavano per sé ulteriori ambiti di egemonia. Non sappiamo nulla del modo in cui il monastero gestiva la base socio-economica del proprio potere, ormai limitata a un ristretto numero di villaggi posti nei pressi dell'abbazia. Quel che è certo è che il sorgere del potere degli Altavilla, alla metà del XII secolo, avrebbe inferto un altro durissimo colpo alle aspirazioni di dominio territoriale degli abati di San Vincenzo al Volturno, con la conseguente perdita di gran parte delle immunità giuridiche che i loro predecessori erano stati in grado di acquisire.
Quando l'abate Gerardo (1076-1109 circa) incaricò G. di organizzare in un'esposizione coerente le vicende più importanti della comunità vulturnense, riteneva che questi dovesse "actus vel nomina sanctorum patrum huius sacri cenobii preciosi martyris Vincencii abbatum humili recensere elogio" (Chronicon Vulturnense, p. 32). G. decise però di conferire all'opera un carattere più assoluto, da un lato allargando la prospettiva fino a comprendere le vicende generali dell'umanità intera, dall'altro inframezzando alla narrazione delle vicende del proprio monastero i documenti che diceva di aver trovato negli archivi comunitari. In questo modo le tradizioni sulle origini e il successivo splendore di San Vincenzo al Volturno avrebbero trovato degna sistemazione nel quadro di una storia universale e sarebbero state inoltre rese ancora più fulgide dalle testimonianze scritte di privilegi e donazioni.
Nel disegno dell'autore l'opera doveva essere suddivisa in sette libri, ognuno scandito da un momento fondamentale della storia del monastero. Il primo libro avrebbe quindi narrato gli avvenimenti compresi tra la fondazione e la costruzione del San Vincenzo Maggiore a opera dell'abate Giosuè (792-817); il secondo le vicende successive, fino al saccheggio saraceno (881); il terzo sarebbe stato dedicato alla memoria dei novecento monaci decapitati in occasione del disastro saraceno; il quarto sarebbe stato il libro dell'esilio, del successivo ritorno al luogo delle origini e sarebbe giunto fino all'abbaziato di Maraldo (1007-11); il quinto avrebbe raccontato le opere dell'abate Ilario (1011-44), fino alla trasmigracio della comunità sull'altra sponda del Volturno e alla definitiva rovina degli edifici antichi; il sesto avrebbe glorificato l'opera restauratrice del già citato abate Gerardo e del successore di questo, Benedetto (circa 1109 - post 1117). Il libro finale, il settimo, sarebbe stato dedicato all'abate Amico (post 1117-1139), ultimo committente della cronaca vulturnense. Così, attraverso la partizione in sette periodi, il passato della comunità era ambiziosamente accostato alla genesi del mondo e alle successive età dell'uomo. Tuttavia, la compilazione del Chronicon appare, nella forma in cui è stata trasmessa, una raccolta confusa di materiali confezionati in momenti molto diversi. Tradizioni varie, poco o per nulla elaborate, confluirono nell'opera senza dar vita a un racconto armonico e strutturato, ponendo evidentemente gravi ostacoli a una chiara esegesi del testo, che si interrompe verso la metà del quinto libro. D'altro canto proprio il giustapporsi di tradizioni diverse rende il Chronicon una fonte preziosa per capire come sia stato elaborato, nelle varie fasi di vita del monastero, il tema della nascita della comunità vulturnense.
Il codice originale del Chronicon è conosciuto da quando nel 1567, con una lettera a Carlo Borromeo, l'abate commendatario Cesare Costa ne annunciò il ritrovamento e lo salvò dalle rovine della biblioteca monastica. Il manoscritto si conserva oggi nella Biblioteca apostolica Vaticana, cod. Barb. lat. 2724, ed è composto da 341 carte in pergamena, numerate due volte in tempi diversi. La prima numerazione, risalente al XIII sec., è duplice (per libri e per carte) ed è in cifre romane; la seconda, di mano quasi certamente di Costantino Caetani, è invece in cifre arabe.
Il Chronicon fu pubblicato a cura di V. Federici, Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], LVIII-LX, Roma 1925-38. Lo stesso Federici (cfr. Ricerche per l'edizione del "Chronicon Vulturnense" del monaco Giovanni, in Bull. dell'Istituto storico italiano per il Medio Evo, LVII [ 1941], pp. 84-87) identifica in G. l'abate Giovanni (VI) successore di Amico (1139-44).
L'importanza dell'opera di G. sta nel fatto che la documentazione abruzzese-molisana relativa ai secoli IX-XII proviene in gran parte dalle grandi cronache-cartulario composte, tra la fine dell'XI e la fine del XII secolo, nei monasteri di Montecassino, Farfa, San Vincenzo al Volturno, San Clemente a Casauria, San Bartolomeo in Carpineto. Tali cronache rappresentano un fenomeno sostanzialmente originale nel panorama documentario italiano. È vero infatti che la produzione di un testo cronistico in ambito monastico non costituisce un caso eccezionale; non così comune è, invece, il caso di una cronaca il cui argomento - se non unico quanto meno prevalente - siano le vicende del monastero stesso.
Fonti e Bibl.: U. Balzani, Le cronache italiane nel Medio Evo, Milano 1900, pp. 152 s.; A. Muñoz, Le miniature del Chronicon Vulturnense (Cod. Barb. lat. 2724), in Bull. dell'Istituto storico italiano per il Medio Evo, XXX (1909), pp. 57-90; V. Federici, L'origine del monastero di S. Vincenzo al Volturno secondo il prologo di Autperto e il "Libellus constructionis Farfensis", in Studi di storia e diritto in onore di C. Calisse, III, Milano 1940, pp. 3-13; H. Hoffmann, Das Chronicon Vulturnense und die Chronik von Montecassino, in Deutsches Archiv, XXII (1966), pp. 179-196; P. Toubert, Les structures du Latium médiéval, Roma 1973, pp. 79-88; F. De Maffei, Le arti a San Vincenzo al Volturno: il ciclo della cripta di Epifanio, in Una grande abbazia altomedievale nel Molise: San Vincenzo al Volturno. Atti del I Convegno di studi sul Medioevo meridionale, Venafro-San Vincenzo al Volturno… 1982, a cura di F. Avagliano, Montecassino 1985, pp. 269-352; A. Pratesi, Il Chronicon Vulturnense, ibid., pp. 221-231; G. Arnaldi, Annali, cronache, storie, in Lo spazio letterario nel Medioevo. Il Medioevo latino, I, 2, La produzione del testo, Roma 1993, p. 513; J. Mitchell, The crypt reappraised, in San Vincenzo al Volturno, I, The 1980-86 excavations, I, a cura di R. Hodges, London 1993, pp. 75-114; F. Riccioni, Un codice da rivalutare: il Chronicon Vulturnense, in Miniatura, III-IV (1993), pp. 33-50; V. von Falkenhausen, I rapporti tra il monastero di San Vincenzo al Volturno e Bisanzio, in San Vincenzo al Volturno. Dal Chronicon alla storia, a cura di G. De Benedittis, Isernia 1995, pp. 139-150; P. Delogu, I monaci e l'origine di San Vincenzo al Volturno, in P. Delogu - R. Hodges - J. Mitchell, San Vincenzo al Volturno. La nascita di una città monastica, Roma 1996, pp. 45-61; Rep. fontium hist. Medii Aevi, III, p. 471 (s.v.Chronicon Vulturnense); Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXVII, coll. 585 s.