GIOVANNI di Rigino
Non si conosce la data di nascita di questo scultore, che si dichiara originario di Verona e che fu verosimilmente figlio del lapicida Rigino di Enrico. Tuttavia nel 1971 Mellini (pp. 11, 94) circoscrisse la sua nascita agli anni 1315-20 sulla scia di Simeoni (1909), che aveva identificato il nome di G. in una fonte del 1331, e considerato la data 1392 apposta sulla statua di S. Procolo, opera siglata dall'artista, estremo termine cronologico della sua vita.
Il nome di G. ricorre in altri due documenti, rispettivamente del 1364 (Varanini) e del 1389 (Simeoni, 1909), pertinenti, l'uno, all'assegnazione della dote matrimoniale a una figlia, l'altro, alla vendita di una casa in S. Pietro Incarnario a Verona.
Di G. sono note due sole opere autografe.
Un'iscrizione incisa ai piedi della figura della Vergine attesta la paternità di G. di un'edicola votiva, in origine probabilmente collocata in una piazza, poi inglobata in un muro esterno di S. Pietro Incarnario, almeno a partire dalla prima metà del Settecento (G.B. Biancolini, Notizie storiche delle chiese di Verona, II, Verona 1749, p. 717) e ora nel sagrato della chiesa (Filippi, p. 477).
G. "fecit et sculpsit suis expensis" il manufatto che si compone di un rocchio di colonna scanalato e di un fusto di marmo rosso di spoglio romano, di un basso capitello corinzio e di una sorta di tabernacolo a lampione in tufo di Avesa. Nei quattro lati dell'edicola sono state ricavate altrettante nicchie, coronate da archi ogivali sostenuti da colonnine tortili, all'interno delle quali sono scolpite ad altorilievo le immagini della Madonna con Bambino, di S. Francesco che riceve le stimmate, di S. Pietro e di S. Giovanni Evangelista che presenta alla Vergine l'offerente inginocchiato. Nei pennacchi della prima e dell'ultima nicchia sono disposti due stemmi, identificati l'uno con l'arme della famiglia Man o de Man (Mellini, 1971, p. 106) o di quella Mangano (Filippi, p. 477), l'altro con quella dello stesso G. (Mellini, 1971, p. 106) o della famiglia Nichesola (Filippi, p. 477).
Mellini riferì il manufatto alla metà del XIV secolo, giudicandolo opera appartenente alla maturità dell'artista, e lo accostò a un paliotto marmoreo conservato nella cripta di S. Maria in Organo, già attribuito da C. Baroni (Scultura gotica lombarda, Milano 1944, p. 101) all'orefice Francesco da Milano e quindi ricondotto da P. Toesca (IlTrecento, Torino 1951, p. 434) nell'ambito del maestro dell'arca di Mastino (II) Della Scala. Ragghianti (p. 53) ribadì l'opinione di Mellini circa l'esistenza di analogie stilistiche fra l'edicola e il dossale di S. Maria in Organo, sottolineando in particolar modo la comune trattazione dei "fondi fittamente operati", e su questa base estese il confronto all'altorilievo raffigurante la Madonna con Bambino tra s. Giovanni Evangelista e un devoto, una volta nel duomo poi trasferito in S. Elena, già attribuito a G. da Mellini (1971, p. 104). Anche Filippi sottolineò l'esistenza di similarità iconografiche con il paliotto, ma ravvisò nelle sculture dell'edicola una nuova e originale "modulazione" stilistica degli elementi culturali toscani e lombardi di matrice gotica, presenti a Verona nelle imprese scaligere, e la contemporanea sussistenza di un sostrato culturale locale di stampo tradizionale. Lo studioso, inoltre, proprio sulla base di un confronto con l'opera di S. Pietro Incarnario, ripropose, sebbene dubitativamente, l'attribuzione a G. del rilievo conservato nella chiesa di S. Elena e riscontrò un parallelismo con la Madonna di Albaredo d'Adige (frazione Beccacivetta di Coriano); un manufatto quest'ultimo assegnato a un anonimo lapicida veronese culturalmente affine a G. (Ericani).
Il S. Procolo venne realizzato da G. nel 1392 su commissione dell'arciprete Bonincontro e fu destinato alla chiesa veronese dedicata all'omonimo santo.
In origine era forse collocata all'interno dell'edificio (Simeoni, 1909); ma nel XVIII secolo è ricordata sopra la porta maggiore, da dove venne rimossa attorno al 1806, per essere trasportata nella chiesa di S. Zeno, sua attuale sede (Da Lisca). L'iscrizione attestante la paternità di G. venne resa nota per la prima volta da Maffei, che però fornì una lectio errata del nome di G., che fu in seguito correttamente pubblicata da Da Persico. L'immagine, scolpita in tufo avesano, a eccezione della base in marmo rosso, probabilmente di spoglio romano (Mellini, 1971, p. 116), si compone di un seggio con motivi decorativi fitomorfi e teste leonine, nonché della figura assisa del santo. Il manufatto fu giudicato negativamente da Venturi, che gli accostò la "rozza statua" di S. Bartolomeo proveniente dalla chiesa di S. Bartolomeo al Monte, oggi esposta al Museo civico di Verona. Mellini, invece, preferì ascriverlo alla tarda produzione di G. e considerarlo opera di "artefice quasi ottantenne, certo aiutato".
Oltre alle opere autografe, un nutrito catalogo di sculture è stato raccolto attorno al nome di G. da Mellini (1971), nell'economia di una ricerca intesa a restituire una fisionomia più definita alla plastica veronese del Trecento e sulla base di un'analisi complessiva della produzione locale conservatasi.
In particolare, Mellini riconobbe in G. l'autore della statua equestre di Cangrande della Scala (Verona, Museo di Castelvecchio) e l'ideatore del sepolcro monumentale di Mastino (II) Della Scala.
Le tesi di Mellini sono state riproposte con prudenza negli studi più recenti, nei quali si preferisce mantenere nell'anonimato l'autore delle imprese scaligere. La stessa opinione di F. De Maffei (Le arche scaligere, Verona 1954, pp. 49-57, 63-72) di ancorare strettamente queste opere all'ambiente veronese è stata riconsiderata criticamente alla luce delle novità stilistiche e culturali espresse nei due monumenti e nella produzione che da essi discende.
Non si conosce la data di morte di Giovanni di Rigino.
Fonti e Bibl.: A. Carli, Istoria della città di Verona, V, Verona 1796, pp. 307 s.; G. Da Persico, Descrizione di Verona e della sua provincia, I, Verona 1820, p. 103; A.G. Meyer, Lombardische Denkmäler des XIV. Jahrhunderts. Giovanni di Balduccio und die Campionesen, Stuttgart 1893, p. 85; D. Zannandreis, Le vite dei pittori, scultori e architetti veronesi, Verona 1891, pp. 26 s.; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, IV, Milano 1906, p. 779; L. Simeoni, La basilica di S. Zeno a Verona, Verona 1909, p. 66; Id., Verona, Verona 1919, pp. 178, 231; G. Trecca, Nuovissima guida grafica e descrittiva di Verona, Verona 1936, p. 84; A. Da Lisca, La basilica di S. Zenone, Verona 1941, p. 171; L. Magagnato, Arte e civiltà nel Medioevo veronese, in Arte e civiltà a Verona, a cura di S. Marinelli - P. Marini, Vicenza 1991, p. 44; G.L. Mellini, Scultori veronesi del Trecento, Venezia 1971, pp. 11, 31, 93-176, 180; C.L. Ragghianti, Scultura a Verona nel Trecento, in Critica d'arte, XLII (1977), 151, pp. 49-54; G.L. Mellini, Verona e l'Oriente in epoca gotica, in Le stoffe di Cangrande. Ritrovamenti e ricerche sul '300 veronese, a cura di L. Magagnato, Firenze 1983, pp. 58, 64, 68 s.; S. Marinelli, S. Libera…, ibid., p. 260; G. Ericani, Albareto d'Adige…, ibid., p. 264; R. Boschi, L'arca di Mastino II (1336-1351), in Gli Scaligeri (1277-1387), a cura di G.M. Varanini, Verona 1988, p. 109; A. Malavolta, Il sarcofago di Francesco Bevilacqua, ibid., p. 205; D. Samadelli, Le arche scaligere: quattro statue dal recinto, ibid., pp. 317 s.; E. Filippi, L'edicola votiva di G. di R., ibid., pp. 477 s.; A. Malavolta, Edicola marmorea con Madonna e santi, ibid., p. 479; G.M. Varanini, Parentele ed eredità di Albertino da Marcellise, ibid., p. 550; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 143.