GIOVANNI di Niccolò (Giovanni di Niccolò Romano)
Non si conosce la data di nascita di questo marmorario attivo nel Lazio meridionale presumibilmente negli anni Trenta-Quaranta del XIII secolo che si dichiara nativo di Roma e figlio di un Niccolò, molto probabilmente a sua volta "magister marmorarius".
Bertaux (p. 612), Hutton (pp. 34, 54) e Claussen (pp. 33-35) proposero di identificare Niccolò con il figlio di Angelo di Paolo, autore insieme con Pietro Vassalletto del candelabro pasquale di S. Paolo fuori le Mura (E. Bassan, Il candelabro di S. Paolo fuori le Mura: note sulla scultura a Roma tra XII e XIII secolo, in Storia dell'arte, XLV [1982], pp. 117-131, in particolare p. 120 n. 10). Invece Boni, De Rossi, Clausse (p. 213), Bessone Aurelj (p. 37, 103) e Stevenson ritennero si trattasse di Niccolò di Ranuccio, che incise il suo nome insieme con quelli del padre e del fratello Pietro su un listello di architrave proveniente dal frammento di una finestra rinvenuto in S. Silvestro in Capite a Roma (Lanciani) e che firmò la bifora di facciata della chiesa di S. Maria di Castello a Tarquinia. Frothingham e Matthiae (p. 266) si opposero a quest'ultima ipotesi.
Il nome "Ioh(ann)is romano genito cognomine Nicolao" ricorre in un'iscrizione incisa sulla cornice della cassa del pulpito della cattedrale di Fondi, nella quale G. rivendica la paternità del manufatto.
L'ambone proviene probabilmente dalla chiesa di S. Giovanni a Ponte, da dove venne rimosso tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento (Colino, pp. 173 s.; Matthiae, p. 265; Forte, 1972, p. 600 n. 41). Le operazioni di restauro e di riassemblaggio dei pezzi hanno comportato un'errata ricollocazione di una delle quattro colonnine marmoree che sorreggono la cassa e dei capitelli, posti fuori asse rispetto agli archivolti; il reimpiego sulla fronte di un paliotto d'altare con fenestella confessionis; e il danneggiamento dei pannelli laterali. Il solo pannello che ci è giunto integro è quello decorato con i simboli degli evangelisti; mentre parte delle cornici sono frutto di un recente restauro (Di Gioia, p. 183). Altri frammenti di lastre ritenute provenienti dal pulpito si conservano nella cappella della Croce e in una cappella a destra dell'ingresso (Carotti, p. 764).
Nonostante le interpolazioni subite in epoca barocca, il manufatto ha mantenuto nel complesso il suo aspetto primitivo. Esso appartiene al tipo a cassa su archivolti sostenuti da colonnine ottagonali, intarsiate da paste vitree, che insistono su coppie di leoni e arieti stilofori, con pannelli decorati a intarsi marmorei policromi partiti da fasce musive inquadrate da brevi bordure bianche. Sia la tipologia sia le soluzioni formali avvicinano l'opera a manufatti d'area campana e in particolare ai pulpiti del duomo di Terracina e della chiesa di S. Pietro a Minturno. L'estrema stilizzazione lineare che caratterizza le piccole figure degli evangelisti e la cifra stilistica impressa ai due leoni stilofori hanno fatto scorgere, inoltre, influssi islamici, forse mediati attraverso la coeva produzione siciliana (Matthiae, p. 265; Di Gioia, p. 183).
Il confronto con il pulpito del duomo di Terracina indusse Bertaux (p. 611) a datare il pergamo di Fondi al XIII secolo; una cronologia inizialmente avversata, anche in considerazione dell'identificazione di G. con Giovanni di Niccolò di Ranuccio (De Rossi; Frothingham; Toesca; Hutton), ma oggi pienamente accolta e ulteriormente circostanziata agli anni 1230-40 (Di Gioia, p. 183) o 1246 (Claussen, p. 34).
È stata, invece, decisamente abbandonata l'ipotesi di Bertaux di attribuire a G. il pulpito di Terracina, anche se si sono più volte rimarcate le stringenti affinità e la diretta dipendenza esistenti fra i due manufatti (Matthiae, p. 270; Di Gioia, p. 183). Di Gioia (p. 184), comunque, sottolineò l'esistenza di un'analogia fra la tecnica esecutiva e i motivi geometrici adottati nel pannello frontale del sedile della cattedra di Fondi e quelli di una formella reimpiegata nel pavimento davanti all'altare maggiore del duomo di Terracina, forse proveniente da uno dei plutei della recinzione liturgica (Carotti, p. 766). Successivamente, Claussen (pp. 34 s.) propose di attribuire a G. la realizzazione di quest'ultima.
Viene considerata opera di G. o riconducibile al suo ambito la cattedra episcopale frammentaria conservata nella cappella della Croce del duomo di Fondi (Di Gioia, pp. 183 s.). Ornata da intarsi di porfido, marmi policromi e paste vitree, la cattedra presenta motivi geometrici (rotae allacciate e meandri) e figurati (grifi alati affrontati a un calice) nello schienale e nei fianchi, nonché terminazioni a pigna (Carotti, p. 763).
Bertaux (p. 611) attribuì a G. un frammento marmoreo raffigurante un piccolo grifo, riutilizzato nel parapetto del pulpito della chiesa di S. Pietro a Minturno, opera palinsesto del XVII secolo, composta da parti provenienti da manufatti di diverse epoche (Aurigemma - De Santis). Carotti (p. 765) osservò, però, che il pezzo non corrisponde nella tecnica ai pannelli del pulpito di Fondi.
Un "civis Roman(us) doctissimus in arte Ioh(anne)s" insieme con il collega "bonus Andreas" firmò il pulpito della chiesa di S. Pietro ad Alba Fucense.
Promis ritenne si trattasse di Giovanni, figlio di Guittone di Niccolò, noto per aver eseguito nel 1209 l'ambone della chiesa di S. Maria di Castello a Tarquinia, e attribuì la realizzazione di questo agli anni Venti del Duecento.
Di G. non si conoscono né il luogo né la data di morte.
Fonti e Bibl.: C. Promis, Notizie epigrafiche degli artefici marmorarii romani dal X al XV secolo, Torino 1836, p. 12; Id., Le antichità di Alba Fucense negli Equi, Roma 1836, p. 227; G.B. De Rossi, Del così detto opus Alexandrinum, e dei marmorarii romani che lavorarono nella chiesa di S. Maria in Castello, in Bull. di archeologia cristiana, s. 2, VI (1875), p. 121; R. Lanciani, Frammenti medioevali romani venuti in luce negli scavi recenti, in Archivio della Soc. romana di storia patria, III (1880), pp. 375 s.; E. Stevenson, Chiesa di S. Maria di Castello a Corneto, in Mostra della città di Roma all'Esposizione di Torino nell'anno 1884, Roma 1884, p. 177; G. Boni, The Roman marmorarii, Roma 1893, p. 10; G. Clausse, Les marbriers romains et le mobilier presbytéral, Paris 1897, pp. 212 s., 497; G. Conte Colino, Storia di Fondi, Napoli 1901, pp. 173 s.; E. Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, II, Paris 1903, pp. 609-612; A.L. Frothingham, The monuments of Christian Rome from Constantine to the Renaissance, New York 1908, p. 362; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Il Medioevo, Torino 1927, p. 909 n. 77; A.M. Bessone Aurelj, I marmorari romani, Milano-Genova-Roma-Napoli 1935, pp. 37 s., 50, 103; E. Hutton, The Cosmati, London 1950, pp. 19, 34, 54; G. Matthiae, Componenti del gusto decorativo cosmatesco, in Rivista dell'Istituto nazionale di archeologia e storia dell'arte, n.s., I (1952), pp. 264-266, 269 s.; G.H. Crichton, Romanesque sculpturein Italy, London 1954, pp. 138 s.; S. Aurigemma - A. De Santis, Gaeta - Formia - Minturno, Roma 1955, p. 56; S. Aurigemma - A. Bianchini - A. De Santis, Circeo - Terracina - Fondi, Roma 1957, p. 58; M. Forte, Fondi nei tempi, Casamari 1972, pp. 600 s.; Id., Fondi. Guida storico-turistica, Casamari 1974, p. 56; A. Carotti, in Aggiornamento dell'opera di Émile Bertaux, Roma 1978, pp. 763-766; D.F. Glass, Studies on Cosmatesque pavements, Oxford 1980, ad indicem; E. Di Gioia, La cattedrale di Terracina, Roma 1982, pp. 119, 143, 183 s.; P.C. Claussen, Magistri doctissimi romani. Die Römischen Marmorkünstler des Mittelalters (Corpus Cosmatorum I), Stuttgart 1987, pp. 7, 33-35; Enc. universale dell'arte, III, p. 840 (s.v.Cosmati).