MONTFORT, Giovanni di
MONTFORT, Giovanni di. – Nacque poco prima del 1260 da Filippo II signore di Castres, nella Francia meridionale, e da Jeanne de Lévis-Mirepoix. Era ancora minorenne, nel dicembre del 1270, quando la madre, rimasta vedova da pochi mesi, si rivolse al siniscalco di Carcassonne in qualità di balia dei figli Giovanni e Simone, eredi della signoria di Castres.
A differenza del padre, Montfort trascorse buona parte della sua vita in Italia meridionale, dove accumulò feudi importanti e incarichi di primo piano, lasciando ai suoi ufficiali il compito di occuparsi dei feudi francesi.
Il 24 gennaio 1271 ottenne da Carlo I d’Angiò, che nel diploma di concessione lo dice suo consanguineo e familiare, la terra di Geraci, in Sicilia, con il titolo comitale e con i feudi di Gangi e Castel di Lucio; contemporaneamente altri feudi furono concessi a suo fratello Simone: evidentemente il re di Sicilia intendeva in tal modo remunerare i servigi ricevuti da Filippo, morto pochi mesi prima durante la crociata contro Tunisi. Nel luglio successivo, i feudi siciliani furono cambiati con la contea di Squillace e con i feudi di Soverato e Satriano in Calabria.
A partire dal 1273 e fino alla morte Montfort portò il titolo di camerario del Regno, incarico che aveva perso buona parte delle sue originarie funzioni finanziarie, trasferite ai maestri razionali, ma conservava tutto il suo valore onorifico, in quanto a esso era demandata la cura della persona del re e della sua famiglia, e comportava lucrosi emolumenti. Gli vennero, inoltre, attribuite nel corso degli anni funzioni sempre più importanti in materia di fortificazioni e manutenzione delle difese regie, nonché il comando di operazioni militari destinate a contenere, dopo la rivolta dei Vespri del 1282, l’avanzata delle forze siculo-aragonesi in Calabria.
Nel 1275 sposò Margherita, figlia primogenita di Pietro di Beaumont, il potente camerario del Regno morto nella primavera del 1273, che gli portò in dote la contea di Montescaglioso, con i feudi di Camarda, Pomarico, Craco, Uggiano e Montepeloso.
Nel gennaio 1276 Giovanni si trovò coinvolto in uno degli episodi più foschi della prima età angioina: suo fratello Simone – da non confondere con l’omonimo conte di Avellino, fratello di Guido di Montfort-Leicester – affrontò in duello Folco Ruffo, cugino di Pietro II conte di Catanzaro, in una località al confine tra i giustizierati di Calabria e Val di Crati. Lo scontro, frutto della crescente tensione tra elementi della feudalità indigena ed esponenti della nuova aristocrazia feudale installatasi nella regione a seguito della conquista angioina, si concluse con la morte dei due contendenti e di un terzo cavaliere francese. Montfort, spalleggiato da altri baroni ultramontani, meditò di vendicare la morte del fratello assalendo i congiunti di Folco Ruffo, ma fu energicamente frenato dai tempestivi interventi di Roberto d’Artois, capitano generale del Regno, e del re Carlo d’Angiò. L’Artois, che era stato immediatamente avvertito dal conte di Catanzaro, evidentemente timoroso della reazione francese, l’11 gennaio impartì severe disposizioni tese al mantenimento dell’ordine pubblico e scrisse al conte di Montescaglioso, «dilecto amico suo», deprecando la morte di Simone e promettendo un’inchiesta per accertare e punire eventuali responsabilità, ma al tempo stesso ordinò a parenti e amici dei due defunti di licenziare gli armati, pena l’accusa di fellonia, l’arresto e la confisca dei beni, e alle università della regione di astenersi dal prendere parte alla disputa. Il 14 gennaio il re, pur dolendosi per la morte di Simone, ribadì le disposizioni dell’Artois, impose una tregua di tre settimane e convocò a Napoli i conti di Montescaglioso e di Catanzaro. A fine mese i risultati dell’inchiesta dimostrarono che i congiunti del Ruffo non avevano alcuna responsabilità dell’accaduto; i feudi di Simone, che non aveva avuto figli, furono devoluti al demanio regio.
Nell’aprile 1278 Montfort lasciò il Regno alla testa di truppe destinate al comune di Bologna e, per alcuni mesi, fu capitano di milizie in appoggio alla parte guelfa in Lombardia; all’inizio del 1281 fece parte della comitiva inviata a Bologna da Carlo d’Angiò per ricevere Clemenza d’Asburgo, destinata a sposare il principe Carlo Martello; nel 1283 fu uno dei 40 cavalieri angioini che, al pari di altrettanti cavalieri siculo-aragonesi, garantirono il rispetto degli accordi tra Carlo d’Angiò e Pietro III d’Aragona in merito al duello che si sarebbe dovuto svolgere a Bordeaux e che, com’è noto, non ebbe luogo.
Il 6 gennaio 1285 Carlo, nel dettare le sue ultime volontà, nominò Montfort capitano generale del Regno con il compito di affiancare il reggente Roberto d’Artois fino alla liberazione del figlio Carlo II, prigioniero degli aragonesi, o fino al raggiungimento della maggiore età del nipote Carlo Martello: fu lo stesso Montfort, il 12 gennaio successivo, a comunicare con una lettera inviata a tutte le autorità del Regno la morte del re, avvenuta a Foggia il 7 gennaio.
Durante il regno di Carlo II, Montfort fu uno dei più preziosi ufficiali della corona e mantenne un ruolo importante nell’amministrazione del Regno anche se, sempre più impegnato nella difesa del confine calabrese, restò per lunghi periodi lontano dalla corte: tra la primavera del 1286 e quella dell’anno successivo costrinse gli aragonesi ad abbandonare Taranto, pose il suo quartier generale a Pisticci e riprese il controllo della pianura ionica.
Nell’agosto 1289, fallito il tentativo aragonese di conquistare Gaeta – grazie al tempestivo intervento di Montfort che, alla testa dell’avanguardia angioina, impedì agli avversari di chiudere l’assedio della città tirrenica – fu concordata una tregua tra Giacomo II d’Aragona e Carlo II d’Angiò che prevedeva la cessazione delle ostilità, escluso il fronte calabrese, fino al 1° novembre 1291; secondo gli accordi, i danni derivanti da infrazioni della tregua, per essere risarciti, dovevano essere denunciati a Montfort per gli angioini e a Ruggero di Lauria per gli aragonesi. Nell’autunno del 1289 accompagnò Carlo II d’Angiò, recatosi in Francia per riprendere le trattative con gli aragonesi. Nel frattempo riuscì a compensare la perdita delle rendite provenienti dai feudi calabresi, erosi dalla conquista aragonese, con l’acquisizione di nuovi feudi: il 13 maggio 1284 ottenne la terra di Salandra in Basilicata, il 15 agosto 1289 la terra di Gravina in Puglia, nel 1290-91 il castello di Belvedere in Terra di Lavoro.
In seguito alla partenza di Roberto d’Artois – richiamato in Francia per combattere la rivolta nelle Fiandre – il 14 aprile 1291 Carlo II, che si trovava a Nîmes, nominò Montfort capitano generale del Regno, con il compito di condurre la guerra contro Giacomo d’Aragona e di assistere nell’azione di governo il figlio Carlo Martello, al quale raccomandò espressamente di non agire senza aver ascoltato il consiglio del conte di Montescaglioso. Quando poi, sul finire del 1293, il re decise di rientrare nel Regno, ordinò al figlio di andargli incontro e di nominare in sua assenza Montfort vicario generale, carica che il conte ricoprì senza lasciare gli altri incarichi, dal momento in cui Carlo Martello varcò il confine per ricongiungersi con il padre in Toscana (febbraio 1294), fino a quando Carlo II d’Angiò rientrò a Napoli (aprile 1294).
Il 15 aprile 1295 Montfort entrò nel consiglio di reggenza istituito per coadiuvare, in assenza del re, Carlo Martello nel governo del Regno e trascorse gli ultimi anni della sua vita come capitano degli eserciti impegnati a combattere in Calabria e Basilicata gli invasori siculo-aragonesi: nell’estate del 1296 pose sotto assedio Rocca Imperiale, al confine tra Basilicata e Calabria, ma fu costretto a ritirarsi per il sopraggiungere di ingenti forze aragonesi, comandate da Ruggiero di Lauria e da Federico III, ormai padrone dell’intera Calabria; nel giugno 1299 ottenne da Carlo II la facoltà di ricevere sotto la protezione regia e amministrare città, terre e castelli pronti a desistere dalla ribellione. Nel gennaio e nell’ottobre del 1300 ricoprì nuovamente, per brevi periodi, la carica di vicario generale in occasione di due viaggi del re a Roma.
Morì a Foggia il 1° dicembre 1300, senza lasciare figli.
Il suo corpo, temporaneamente deposto presso la cattedrale della città pugliese, fu successivamente inumato nella chiesa di Saint-Vincent de Castres, ai piedi della tomba materna, il 7 luglio 1305, dopo che la sorella l’ebbe riconosciuto da una cicatrice che aveva sul viso sin dall’infanzia. La successione feudale in Francia fu raccolta dalla sua unica sorella ancora in vita, Eleonora contessa di Vendôme. I feudi italiani furono in larga parte devoluti al demanio regio e riassegnati ad altri baroni, mentre la carica di camerario – già riformata nel 1295 con una ordinanza specifica inviata dal re a Montfort – fu temporaneamente abolita perché ritenuta inutile, infruttuosa e vacua. Alla moglie Margherita di Beaumont, passata già nel 1302 a seconde nozze con Roberto de Dreux, fu lasciata la contea di Montescaglioso.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Ricostruzione angioina, Arm. I, scaff. B, 14: C. De Lellis, Notamenta ex registris Caroli II, Roberti et Caroli ducis Calabriae, IV/2, ff. 239-240, 292, 294, 312, 315; Codice diplomatico salernitano del secolo XIII, a cura di C. Carucci, II-III, Subiaco 1934-46, ad ind.; Bernardus Guidonis, De fundatione et prioribus conventuum provinciarum Tolosanae et Provinciae ordinis Praedicatorum, a cura di P.A. Amargier, Roma 1961, p. 149; I registri della cancelleria angioina, a cura di R. Filangieri et al., VI-XVI, XIX-XXI, XXVXXXII, XXXV-XXXVI, XXXVIII-XLI, XLIII-L, Napoli 1954-2010, ad ind.; I fascicoli della cancelleria angioina ricostruiti dagli archivisti napoletani, II, a cura di S. Palmieri, Napoli 2004, pp. 193, 195 s., 198, 200 s.; Le carte di Léon Cadier alla Bibliothèque nationale de France, a cura di S. Morelli, Roma 2005, pp. 103 s., 133, 137 s., 145; C. De Vic - J. Vaissète, Histoire générale de Languedoc, a cura di A. Du Mège, VI, Toulouse 1843, pp. 146 s., 180 s., 185, 206, 212, 219, 232, 236, 246 s., 298 s., 344-346; C. Minieri Riccio, De�� grandi uffiziali del Regno di Sicilia dal 1265 al 1285, Napoli 1872, pp. 159, 164-172, 174 s.; L. Cadier, Essai sur l’administration du Royaume de Sicile sous Charles Ier et Charles II d’Anjou, Paris 1891, pp. 29, 115, 144, 170, 192, 215, 217 s., 220, 222 s., 225 s., 262-264, 274 s., 279, 283, 293-295; E. Pontieri, Ricerche sulla crisi della monarchia siciliana nel sec. XIII, Napoli 19502, pp. 144, 148- 151, 153, 227; E.G. Léonard, Les Angevins de Naples, Paris 1954, pp. 160, 168, 177, 180; M. Amari, La guerra del Vespro siciliano, a cura di F. Giunta, Palermo 1969, I, pp. 319, 362 s., 412, 435, 437, 499-501, 551; II, pp. 314, 335, 341; T. Pedio, La Basilicata dalla caduta dell’Impero romano agli Angioini, Bari 1989, pp. 173, 179, 223, 274, 287- 290, 304, 318, 333, 339; L. Catalioto, Terre, baroni e città in Sicilia nell’età di Carlo I d’Angiò, Messina 1995, pp. 16, 22 s., 90 s., 93, 95, 106, 110, 265, 270 s., 289 s., 295 s.; A. Kiesewetter, Die Anfänge der Regierung König Karls II. von Anjou (1278-1295), Husum 1999, pp. 94, 96, 113, 165, 207 s., 210, 215, 399-401, 432, 481, 489, 514; S. Palmieri, La cancelleria del Regno di Sicilia in età angioina, Napoli 2006, pp. 34, 150-152, 175; J. Dunbabin, The French in the Kingdom of Sicily 1266-1305, Cambridge 2011, pp. XIII, XV s., 103, 106, 108, 145-147, 151-153, 160, 164 s., 168, 171.
Berardo Pio