Giovanni di Lussemburgo re di Boemia
Primogenito (1296-1346) dell'imperatore Enrico VII, ottenne nel 1310, dopo la cacciata di Enrico di Carinzia, la corona di Boemia sposando Elisabetta, sorella dell'ultimo Prĕmysl, Venceslao III (1289-1306).
Continuò il programma politico di Ottocaro e di Venceslao teso a formare un grande stato europeo gravitante attorno alla Boemia, senza riuscirvi sia per le pronte opposizioni esterne, sia per i molti contrasti interni con la nobiltà (v. anche Boemia). Sceso in Italia alla fine del 1330 in aiuto di Brescia minacciata da Mastino della Scala, acquistò ben presto un forte ascendente su molte città del settentrione; Lucca, minacciata da Firenze, gli si consegnò. Un'alleanza tra Ludovico il Bavaro, i duchi d'Austria, il papa Giovanni XXII e Roberto d'Angiò annullò il suo apparente successo politico nella penisola, sì che nel 1333 gli restava la sola Lucca. Nel 1346 riuscì a far eleggere re dei Romani il figlio Carlo; nello stesso anno morì a Crécy combattendo a fianco del re di Francia nel conflitto franco-inglese.
Citato in Ep VII 18 (Iohannes namque, regius primogenitus tuus et rex, quem, post diei orientis occasum, mundi successiva posteritas praestolatur, nobis est alter Ascanius), è preconizzato da D. come legittimo successore del padre al soglio imperiale e degnissimo continuatore, come Ascanio lo fu di Enea, dell'opera paterna nella lotta contro i nemici dell'autorità imperiale (in Turnos ubique sicut leo desaeviet) e nell'appoggiarne i sostenitori (et in Latinos velut agnus mitescet).
Il tono liturgico e sacrale dell'epistola - tono preminente anche nella V, pure ispirata alla figura di Enrico VII e perciò alle speranze di D. -, nell'accenno a G. è in un certo senso arricchito e completato dall'esplicita citazione di Virgilio (Aen. IV 272-276; cfr. § 17); l'espediente retorico di richiamare l'attenzione dell'imperatore sul dovere di trasmettere al figlio la missione di pace da cui l'Italia in particolare e l'umanità tutta attendevano prosperità e serenità avrebbe forse potuto, per D., toccare più intimamente il sovrano, inducendolo a riprendere finalmente e decisamente l'alto compito di pacificatore e di restauratore dell'ordine che molti - e D. in particolare - speravano ardentemente che egli potesse adempiere.