DI CRISTINA, Giovanni
Nacque il 12 sett. 1875, da Pietro e da Maria Antonia Pincitore, a Palermo, ove nel 1902 si laureò in medicina e chirurgia. Si dedicò già da studente a studi di patologia generale e di anatomia patologica e affrontò precocemente, sotto la guida di L. Marifredi nell'istituto di igiene dell'università di Palermo, anche il campo della batteriologia che in quegli anni, animato da ricchezza di stimoli scientifici, si apriva a più vaste possibilità di ricerca.
Dopo la laurea compì viaggi di studio e di perfezionamento all'estero e soggiornò per periodi di formazione in qualificati centri di ricerca delle università tedesche: a Monaco, nel 1904, frequentò l'Istituto patologico di O. Bollinger e la scuola di H. Schmans; nel 1905 fu a Berlino presso E. L. Salkowski, molto noto per i suoi studi di chimica fisiologica e di patologia; successivamente si portò a Würzburg nell'istituto fisiologico di M. von Frey. Nelle università tedesche fece anche esperienze di clinica: a Berlino conobbe F. Leyden, I. Boas, G. Alexander e seguì corsi di idroterapia con L. Brieger e di ematologia con E. Grawitz; a Würzburg fu interno nella clinica di W. O. von Leube.
Si recò quindi a Napoli dove continuò la sua formazione nelle discipline biologiche frequentando come interno l'istituto di patologia generale e segnalandosi come uno dei primi e prediletti discepoli di G. Galeotti, accanto al quale compì importanti lavori di patologia, di istologia comparata e di batteriologia. Raggiunta una solida esperienza nell'ambito della ricerca scientifica, si indirizzò più decisamente verso il campo della clinica ed entrò come assistente volontario nell'istituto di P. Castellino, docente di patologia speciale dimostrativa medica nell'università di Napoli.
Rimase in quella sede per circa tre anni, dal 1906 al 1909, dedicandosi agli studi nei campi di indagine che gli erano allora più congeniali con lavori sperimentali di patologia, di fisiologia e soprattutto di ematologia e sierologia.
Gli istituti del Galeotti e del Castellino erano in quegli anni ambienti di ricerca molto qualificati per i lavori e i contributi originali condotti in diversi settori della patologia, della semeiotica e della clinica e indirizzati in modo particolare verso lo studio dell'ematologia e della endocrinologia.
In quel periodo il D. si occupò della patologia cardiaca, studiando il complicato capitolo delle aritmie tonotropiche con ricerche sperimentali sul cuore degenerato artificialmente. Nel giugno 1907, a conferma della buona preparazione scientifica che aveva oramai maturato, ottenne la libera docenza in patologia speciale medica dimostrativa e da allora si dedicò quasi esclusivamente alla indagine clinica.
Aveva conseguito una solida formazione e una buona notorietà nel campo della ricerca insieme con una vasta esperienza clinica quando, nel 1909, ebbe l'opportunità di tornare nella sua città natale. A Palermo compì la scelta di indirizzarsi al settore specialistico della pediatria e fu accolto nella clinica di R. Jemma che l'anno seguente lo nominò suo aiuto.
La clinica pediatrica di Palermo aveva avuto sostanzialmente nello Jemma il suo fondatore, il primo direttore e l'artefice della sua affermazione come scuola altamente qualificata in campo nazionale. Per iniziativa dello Jemma alla cattedra universitaria era stato aggiunto anche l'ospedale dei bambini per l'assistenza all'infanzia e per gli studi specialistici.
Il D. affiancò per alcuni anni lo Jemma nella gestione della clinica e nella didattica, segnalandosi con contributi di valore anche in questo settore, e nel 1911 conseguì a Palermo la libera docenza in patologia e clinica pediatrica.
Nel 1913, quando lo Jemma passò all'università di Napoli, il D. assunse la direzione della cattedra e della clinica palermitana. Aveva raggiunto oramai una completa maturità in campo clinico medico e seppe sviluppare il lavoro del suo istituto nella direzione di alta qualificazione scientifica e applicativa già avviata dallo Jemma. In breve tempo la sua scuola si segnalò come una delle migliori d'Italia, attenta ai più moderni orientamenti della batteriologia, dello studio delle malattie infettive e della terapia.
I primi lavori del D. erano stati indirizzati verso i temi della patologia generale. Sotto la guida del Galeotti aveva studiato i processi riparativi del rene dopo cause morbose transitorie, la funzione secretoria delle ghiandole dello stomaco, le alterazioni morfologiche del sangue negli avvelenamenti sperimentali, le proprietà dinamiche del cuore e diversi altri argomenti tra quelli che interessavano allora il campo della fisiopatologia indagata con metodo sperimentale.
Quando giunse alla pediatria il suo interesse venne subito attratto dal problema allora assai vivo della leishmaniosi infantile. Questa forma morbosa, nota anche con il nome di pseudoleucemia infantile infettiva o di anemia splenica infantile e infettiva, era stata descritta clinicamente in Italia da A. Cardarelli nel 1880; successivamente altri clinici ne intuirono la natura infettiva, ma si dovette attendere il contributo di G. Pianese nel 1905 prima di poterne individuare l'agente patogeno in un parassita morfologicamente simile a quello scoperto da W. B. Leishman in India nel 1903, come responsabile del kala-azar o splenomegalia tropicale. Nel 1908 la malattia fu descritta a Tunisi e il parassita venne isolato in coltura. Poi ne vennero segnalati parecchi casi in tutto il bacino del Mediterraneo e segnatamente in Sicilia, a Messina, a Catania e a Palermo per opera dello Jemma, mentre si sviluppavano gli studi che dimostravano l'identità etiologica della malattia con il kala-azar indiano e con le varie forme della leishmaniosi esterna. In Sicilia questa malattia si presentava come endemica e mieteva annualmente numerose vittime. La clinica palermitana compì indagini sull'agente patogeno, studiò il quadro clinico e raggiunse nella ricerca risultati di grande valore che costituirono un primato di quella scuola. Dapprima sotto la guida dello Jemma e poi con lo sviluppo del suo personale impegno, fu proprio il D. a compiere gli studi che ebbero il riconoscimento di tutto il mondo scientifico. Già nel 1910, in collaborazione con lo Jemma, aveva pubblicato i risultati di alcune ricerche sui caratteri morfologici e culturali del parassita dell'anemia splenica infantile (Sull'anemia da Leishmania nei bambini, in Annali di clinica medica, I[1910], pp. 467-632). Negli anni seguenti proseguì in questa direzione, fino a dare alle stampe la sua nota monografia Sulla sindrome, diagnosi, prognosi e cura della anemia da Leishmania, Palermo 1913. Ma il suo maggiore merito consistette nella messa a punto, insieme con G. Caronia, di un mezzo di terapia specifica contro la leishmaniosi basato sull'antimonio sotto forma di tartaro stibiato: questo rimedio era già stato proposto nel 1913 da A. Castellani, ma nel 1914 il D. e il Caronia fissarono le dosi proporzionate all'età e le modalità di applicazione nella via di somministrazione endovenosa. Dal 1915 al 1929 vennero curati circa 450 casi con il 90% di guarigione completa, laddove precedentemente si registravano altissimi tassi di mortalità.
La sua produzione scientifica, anche nella clinica, toccò molti campi di ricerca. Studiò diverse emopatie e diede contributi alla conoscenza delle pseudoleucemie, della linfogranulomatosi e del cloroma. Si occupò dei disturbi della nutrizione e del ricambio azotato in alcune malattie dell'infanzia.
Tra gli argomenti che egli studiò sempre con interesse un posto particolare è occupato dalla tubercolosi infantile, i cui diversi aspetti affrontò in un ampio lavoro: Osservazioni e ricerche sulla tubercolosi infantile nel comune di Palermo (in Annali di clinica medica, III[1912], pp. 53-108). In quell'epoca si conosceva bene l'incidenza della malattia nelle regioni del Nordeuropa e dell'Italia, ma difettavano le informazioni sul fenomeno nel Meridione, soprattutto in ordine alla patologia dell'infanzia. Il D. studiò a fondo la tubercolosi infantile in Palermo, lavorando sul materiale della clinica e dell'ambulatorio dello Jemma. In quella sede universitaria, infatti, erano stati istituiti un reparto di degenza e un servizio ambulatoriale per affrontare la malattia che si mostrava in pericolosa espansione in molti paesi siciliani. Analizzò la diffusione della patologia nella regione e le cause che la favorivano (il contagio familiare e quello bovino, le malattie predisponenti, la insalubrità delle abitazioni, l'igiene dell'alimentazione); affrontò la diagnosi precoce con i mezzi biologici; studiò l'affinità biologica tra i vari stipiti di bacilli tubercolari e le forme cliniche più comuni; si occupò dei mezzi di profilassi più adatti e della terapia specifica usata ambulatoriamente. In Germania si tentava proprio in quegli anni l'applicazione della cura tubercolinica, con metodi differenti da quelli usati precedentemente da R. Koch, e il D. fu tra i primi a introdurre in Italia queste tecniche e a proporne l'applicazione in pediatria nella clinica palermitana. Comunicò i risultati di queste esperienze (Terapia tubercolinica nei bambini praticata ambulatoriamente, ibid., II [1911], pp. 237-264), prima ancora che lo Jemma ne desse relazione al congresso internazionale per la tubercolosi a Roma nel 1912. Nei suoi lavori aveva affrontato il problema dei fenomeni di agglutinazione nella tubercolosi umana e aveva saggiato l'agglutinazione dei tubercolotici con emulsioni batteriche preparate mediante stipiti tubercolari diversi. Usando sulle cavie la tubercolina preparata con stipiti tubercolari vari si riusciva a ottenere l'immunizzazione contro lo stipite umano ed egli vide che uno stipite aviario agglutinava meglio dello stipite umano in presenza di sangue di individui tubercolotici. Sempre in questo campo si presentarono come originali le sue osservazioni sull'anemia splenica tubercolare dell'infanzia in rapporto con l'infezione latente e la descrizione della cardiocirrosi tubercolare.
Allo studio delle malattie infettive, del resto, il D. dedicò sempre gran parte della sua attività di scienziato: è ricordato come uno tra i più convinti sostenitori della vaccinoterapia ai suoi tempi; studiò la sieroterapia della meningite cerebrospinale epidemica e propose l'uso dei sieri preparati con stipiti locali, che si mostrarono efficaci nel ridurre la mortalità. Sosteneva il concetto dell'esistenza di una specie di diatesi allergica nella patogenesi delle malattie e le sue idee incontrarono anche una certa opposizione suscitando dibattiti e polemiche scientifiche. In questa prospettiva egli proclamava la superiorità della vaccinoterapia specifica sugli altri trattamenti e giunse a proporre nella cura dell'infezione tifoide una rapida desensibilizzazione con l'introduzione endovenosa di un vaccino lisizzato, preparato secondo un suo metodo originale: questo rimedio, noto come siero di Di Cristina, si dimostrò di indubbia efficacia nella cura del tifo e gli procurò riconoscimenti di valore. Sul tema della vaccinoterapia nelle malattie infettive dell'infanzia presentò una relazione al IX congresso pediatrico italiano a Trieste nel 1920, in collaborazione con G. Caronia (La vaccinoterapia nelle malattie infettive dell'infanzia, in Atti del IX Congr. ped. ital. ..., Napoli 1921, pp. 167-193). Il suo nome restò legato agli studi sull'etiologia della scarlattina i cui risultati comunicò nel 1921: egli osservò in terreni anaerobiotici insemenzati con materiale infetto proveniente da soggetti scarlattinosi lo sviluppo di corpuscoli che ritenne di poter identificare nel virus agente etiologico della malattia. Il problema sarebbe poi stato definitivamente risolto nel 1924 da G. F. e G. M. Dick che, con la scoperta della tossina eritrogena prodotta dallo streptococco beta emolitico di gruppo A, dimostrarono che questo microrganismo è il responsabile della scarlattina.
Diede contributi originali anche alla terapia della febbre mediterranea. Questa malattia, conosciuta con differenti denominazioni (febbre di Malta, febbre di Cipro, setticemia del Bruce, ecc.), era stata descritta dapprima a Malta e nel Mediterraneo e poi riscontrata in tutta Europa; D. Bruce, nel 1887, ne aveva scoperto l'agente etiologico nel micrococco melitense, ma la terapia praticata non dava risultati soddisfacenti. B. Trambusti e G. Donzello avevano preparato un siero antimelitense con proprietà curative specifiche e il D. si collegò a questi lavori, occupandosi a lungo dell'argomento: ottenne brillanti risultati con un vaccino antimelitense lisizzato che si dimostrò molto efficace nel controllo di molti sintomi della malattia.
Nella sua operosa carriera il D., soprattutto negli anni che seguirono la sua assunzione alla direzione della clinica, pubblicò numerosi lavori e articoli scientifici e spinse molti allievi a una vasta produzione. Sotto la sua guida si svilupparono gli studi sulla etiologia della encefalite letargica, sulla presenza delle leucolisine nel sangue in alcune malattie infettive, sul ricambio respiratorio. La sua opera si era sviluppata, dalla iniziale attenzione per i temi della biologia e della patologia sperimentale, verso la ricerca applicata alla clinica e in particolare verso il campo della sierologia che proprio in quell'epoca offriva promettenti prospettive di sviluppo. Dopo avere dato contributi di rilievo con lo studio sul meccanismo di azione dei vaccini, che affrontavano il problema dell'immunità, giunse poco prima di morire a pubblicare gli interessanti risultati delle sue ricerche sui processi di sensibilizzazione e desensibilizzazione nella difesa dell'organismo contro gli antigeni batterici. Un ampio lavoro sulle malattie dell'apparato urogenitale dell'infanzia rimase invece incompiuto alla sua morte (Malattie degli organi urogenitali, in Trattato di pediatria, diretto da C. Comba e R. Jemma, II, Milano 1934, pp. 252-360).
Egli aveva curato anche l'edizione italiana del Trattato di pediatria di E. Feer, H. Finkelstein e J. Ibrahim che apparve una prima volta nel 1916 a Milano e fu pubblicata nuovamente con revisioni nel 1923 e nel 1928. Nella sua lunga attività scientifica e in quella della sua scuola, più dei singoli contributi su argomenti specifici, oggi si deve valutare il complesso di una produzione vasta, articolata e attenta a tutti i principali temi della disciplina.
Al di là degli aspetti più strettamente clinici e scientifici il D. legò il suo nome a molte iniziative in favore dell'infanzia. Per certi versi egli è ricordato tra i protagonisti del moderno indirizzo di assistenza sociale. Si prodigò molto nel campo della difesa dell'infanzia da malattie sociali particolarmente gravi e diffuse in quell'epoca. Fu tra coloro che promossero e sostennero molte iniziative di interesse sociale indispensabili ad alleviare le difficili condizioni delle classi meno agiate in Palermo. Dal suo particolare impegno, e con il suo sostanziale contributo, nacquero l'Istituto dell'aiuto materno per lattanti appartenenti a famiglie povere e la Casa del sole "Ignazio e Manfredi Lanza di Trabia" per la cura elioterapica dei bambini tubercolotici o predisposti alla malattia.
Nella cattedra e nell'istituto palermitano egli aveva dato vita a una scuola di pediatria molto reputata in campo nazionale e internazionale. Aveva ampliato la clinica, dotandola anche di un reparto per gli infettivi, che ancora non esisteva, e sotto la sua guida si formarono molti allievi che raggiunsero posizioni di rilievo in campo specialistico. Aveva sposato a Palermo, nel 1924, Giuseppa Alliata.
Il D. morì prematuramente, a soli 52 anni, a Palermo, il 27 febbr. 1928, quando era nella piena maturità clinica e scientifica. Nella cattedra gli successe S. Cannata.
Bibl.: Necrol. in La Pediatria, XXXVI (1928), pp. 281-296 (con l'elenco delle pubblicazioni); La celebrazione dei grandi medici siciliani, Palermo 1940, pp. 90 ss.; I. Fischer, Biographisches Lexikon der hervorragenden Aerzte ... [1880-1930], I, p. 277.