GIOVANNI di Bonino
Non si conoscono le date di nascita e di morte di questo pittore, mosaicista e maestro vetraio, originario di Assisi, documentato dal 1325 al 1347.
Si deve a Della Valle (1791) l'aver ricostruito per primo, anche se parzialmente, l'attività di G. presso l'Opera del duomo di Orvieto, documentandone l'attività sia per la decorazione dei vetri delle finestre, sia per la lavorazione dei mosaici della facciata; a tali ricerche fecero seguito, un secolo dopo, le circostanziate indagini di Fumi (1891) presso l'Archivio dell'Opera del duomo.
Dal settembre al dicembre del 1325 si trovano per la prima volta pagamenti a "M. Iohanni Bonini pictori de Asisio" da parte dell'Opera del duomo di Orvieto per alcune vetrate, probabilmente quelle delle navate laterali, oggi perdute (Fumi, p. 215). A questa data G. occupava già una posizione importante all'interno del cantiere delle vetrate del duomo, dal momento che la sua paga giornaliera risulta molto superiore a quella degli altri collaboratori; nello stesso periodo è probabile che G. abbia partecipato alla decorazione scultorea della facciata, ma in modo solo marginale, come si deduce da un pagamento di scarsa entità nel quale tuttavia si specifica la sua qualifica di pittore (ibid., p. 49). I pagamenti per le vetrate si succedono fino al 1334, testimoniando una ininterrotta continuità di rapporti di G. con il cantiere orvietano che culmina con l'esecuzione della grande vetrata absidale, l'unica conservata sino ai nostri giorni. L'ultimo pagamento per tale vetrata risale al 30 marzo: in esso si specifica, in particolare, che l'opera fu eseguita da G. "ad cottimum", vale a dire in maniera autonoma, secondo quanto convenuto con il capomastro Nicola Nuti (ibid., p. 216). In quest'opera, di dimensioni grandiose, è illustrata, in ventidue scene, la Storia della vita della Vergine (a cominciare dalla Nascita) compresi tre episodi dedicati alla Vita di Cristo, fronteggiati ad altrettante figure di Profeti; altri personaggi sono inseriti nelle lunette e nel rosone in cui compare il Redentore tra i simboli degli evangelisti.
La fervente attività all'interno del cantiere è inoltre documentata da una serie di registrazioni per i materiali, quali legno per cuocere il vetro e rame, utilizzati, tra gli altri, per esempio, dall'orafo Vannuccio di Betto che il 16 genn. 1334 veniva pagato "pro bactitura […] de VIII libris fili raminis […] pro fenestris vitri" (Andreani, 1992, p. 15).
Per ciò che concerne il ruolo ricoperto da G. nell'esecuzione dell'opera, un'ipotesi critica (Marchini, 1971, p. 67) tende a considerarlo quale esecutore dei disegni di Lorenzo Maitani, architetto e scultore senese capomastro della Fabbrica del duomo: tutte le figurazioni sarebbero infatti improntate a stilemi squisitamente senesi, vicini ai risultati che Simone Martini andava proponendo negli stessi anni in pittura. Carli, al contrario, ipotizza l'originalità del lavoro di G., anche in considerazione dell'anno di morte di Maitani, il 1330; mentre la nuova tribuna del duomo doveva essere compiuta tra la fine del 1334 e l'inizio del 1335. Secondo Boskovits, l'affinità tra alcuni pannelli della vetrata e parte dei rilievi della facciata riferiti a Maitani (in particolare le Storie della Genesi e il Giudizio universale appaiono molto vicine, nei volti e nelle corporature, alle figure presenti nel finestrone) rende del tutto plausibile l'ipotesi di un'influenza dell'artista senese sulla progettazione dei pannelli, soprattutto nell'ottica di un vero e proprio lavoro di cantiere, condotto in più tempi da maestranze diverse. All'interno di questo G. dovette ricoprire un ruolo importante, di responsabilità, anche nelle rifiniture, dal momento che la sua specifica qualifica di pittore lo distingueva da una semplice mansione artigianale. È importante inoltre sottolineare lo stretto rapporto esistente tra l'insieme delle scene presenti nella vetrata e la concezione architettonica della tribuna, espressione di una probabile comunanza di intenti tra G. e Maitani (Testa, 1992, p. 13).
La vetrata ha subito nel corso dei secoli numerosi restauri: ben documentati sono gli interventi, tra il 1369 e il 1375, di frate Giovanni di Buccio di Leonardello cui fecero seguito, nel corso del XV secolo, quelli di Francesco di Antonio di Orvieto, Antonio da Venezia, Stefano da Firenze, Domenico da Siena e, nei secoli successivi, di Fabiano Stasci di ser Pauli da Arezzo (1508-09), Salvatore da Montepulciano (1561), Benvenuto Biscia (1617). L'ultimo restauro, terminato nel 1999, segue quello realizzato tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento da Moretti e Caselli (1885-1905) e ha consentito di leggere numerosi particolari relativi all'esecuzione delle singole scene. In particolare, le notevoli affinità stilistiche riscontrabili nelle figure del rosone e delle lunette hanno indotto a ipotizzare la mano del medesimo artista; altri pannelli, realizzati probabilmente in un periodo di tempo precedente (tra questi quelli raffiguranti l'Incontro presso la porta Aurea, Giuseppe scelto come sposo di Maria, l'Adorazione dei magi), sono stati assegnati a una mano diversa contrassegnata da un disegno più sottile e raffinato; un terzo gruppo, in cui sono comprese le scene con la Cacciata di Gioacchino dal tempio, la Strage degli innocenti, la Fuga in Egitto, collocate nella zona bassa della vetrata, presenta caratteri stilistici ancora differenti, più vicini ad alcuni rilievi della facciata del duomo (Boskovits).
Il 17 luglio 1345 G. è documentato a Perugia, città dalla quale venne richiamato a Orvieto "pro muysyo faciendo et operando in anteriori pariete […] ecclesie" (Fumi, p. 121); due anni dopo, nel 1347, l'artista risulta ancora impegnato in questo lavoro (Lunghi, 1995, p. 716). A Perugia G. eseguì molto probabilmente la vetrata con la Crocifissione, s. Giovanni e la Vergine piangenti, oggi conservata nella Galleria nazionale dell'Umbria, proveniente dalla sacrestia della chiesa di S. Agostino.
Accostata per la prima volta al nome di G. da Cristofani, che notava la vicinanza della vetrata perugina e del finestrone di Orvieto, soprattutto in base a considerazioni tecniche, l'opera fu spostata successivamente in ambito senese (Bombe; Toesca) o umbro (Marchini, 1969, p. 288). Più recentemente è stato riproposto il nome di G., anche se si è sottolineata la debolezza del cartone di cui egli si sarebbe servito (Santi; Cicinelli).
Non si hanno notizie di G. successive al 1347.
Più complessa è la ricostruzione di un'eventuale attività di G. ad Assisi, poiché priva di riscontri documentari. Ranghiasci, citando alcune fonti oggi non verificabili, attribuisce all'artista, in collaborazione con Angioletto e Pietro da Gubbio, le vetrate della cappella di S. Caterina nella navata della basilica inferiore; secondo parte della critica, G. sarebbe stato autore anche delle vetrate delle cappelle di S. Martino, S. Antonio da Padova, S. Ludovico (Marchini, 1971; Lunghi, 1986). Databili intorno alla fine del secondo decennio del Trecento, le vetrate assisiati richiamano il nome di G. sulla base di considerazioni stilistiche e di raffronti con il finestrone orvietano. Si tratta di motivi iconografici (per esempio le modalità di rappresentazione degli evangelisti nella vetrata di S. Ludovico) e stilistici, come la prevalenza netta di luminosissimi bianchi nel registro coloristico e l'impostazione disegnativa delle figure (Marchini, 1971, p. 70). Ancora nella chiesa inferiore di Assisi è stata attribuita a G. la piccola immagine a mosaico di S. Francesco che decora il portale d'ingresso (Lunghi, 1996, p. 101).
Un'affinità con il linguaggio delle vetrate assisiati è stata riscontrata in quel gruppo di opere assegnate al cosiddetto Maestro di Figline Valdarno, attivo tra l'Umbria e la Toscana, e autore, in particolare, oltre che della Maestà eponima nella collegiata di Figline, anche di quella conservata nella sagrestia della basilica inferiore di Assisi; secondo parte della critica questo artista, seguace di Giotto e conosciuto anche come Maestro della Pietà Fogg (Marchini, 1969 e 1973; Lunghi, 1986), potrebbe essere identificato con Giovanni di Bonino. Tale ipotesi tuttavia è stata messa in dubbio da Boskovits che riconosce come sostanzialmente estraneo al mondo giottesco l'autore della vetrata orvietana, più vicino semmai alla visione pittorica di Simone Martini.
Fonti e Bibl.: D. Della Valle, Storia del duomo di Orvieto, Roma 1791, pp. 105 s., 271 s.; S. Ranghiasci, Descrizione ragionata della sagrosanta patriarcal basilica e cappella papale di S. Francesco d'Assisi, a cura di C. Fea, Roma 1820, pp. 11-13; L. Fumi, Il duomo di Orvieto e i suoi restauri, Roma 1891, pp. 49, 121, 215 s.; G. Cristofani, Le vetrate di G. di B. nella basilica di Assisi, in Rassegna d'arte umbra, I (1909), pp. 3-13; W. Bombe, Geschichte der peruginer Malerei bis zu Perugino und Pinturicchio, Berlin 1912, pp. 62-64; P. Toesca, Il Trecento, Torino 1951, p. 869; G. Marchini, Le vetrate italiane, Milano 1956, p. 347; E. Carli, Il duomo di Orvieto, Roma 1965, pp. 80, 132-137; G. Marchini, Le vetrate della basilica di S. Francesco, in Giotto e i giotteschi in Assisi, Roma 1969, pp. 288-299; F. Santi, Galleria nazionale dell'Umbria…, Roma 1969, p. 133; G. Marchini, Il giottesco G. di B., in Giotto e il suo tempo. Atti…, Assisi, Padova, Firenze 1967, Roma 1971, pp. 67-77; Id., Le vetrate, in Civiltà delle arti minori in Toscana, Atti…, Arezzo 1971, Firenze 1973, pp. 75-77; Id., Le vetrate dell'Umbria, in Corpus vitrearum Medii Aevi, Roma 1973, pp. 169-190; A. Conti, Le vetrate e il problema di G. di B., in Un pittore del Trecento. Il Maestro di Figline (catal.), Firenze 1980, pp. 23-27; E. Lunghi, G. di B., in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, pp. 579 s.; Id., Maestro di Figline, ibid., pp. 620 s.; A. Cicinelli, Le vetrate, l'Umbria, G. di B., in Il restauro della vetrata di G. di B. della Galleria nazionale dell'Umbria, Todi 1987, pp. 13-33; G. Testa - D. Tesoriere, Il degrado e i restauri, in La cattedrale di Orvieto. S. Maria Assunta in cielo, a cura di G. Testa, Roma 1990, pp. 218-225; G. Testa, Maestro Johanni pictori, in De Fabrica, I (1992), 2-3, pp. 12 s.; L. Andreani, 19 fiorini d'oro, ibid., pp. 14 s.; E. Lunghi, in Enc. dell'arte medievale, VI, Roma 1995, pp. 716-718; Id., S. Francesco ad Assisi, Firenze 1996, pp. 101, 117, 154, 182, 184; M. Boskovits, Il problema della vetrata, in De Fabrica, VIII (1999), 2, pp. 7-11; L. Andreani, Cronologia di un restauro, ibid., pp. 14-17.